Ferdinand Gregorovius: differenze tra le versioni

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*Ammassato in un cupo e triste angolo dell'Urbe, rimpetto al Trastevere, abita qui da più secoli, quasi reietto dal resto del genere umano, il popolo degli ebrei di Roma. (''Il Ghetto e gli ebrei di Roma, 1853'', vol. II, p. 94)
*Il [[Ghetto di Roma|Ghetto romano]] è fra tutte le comunità israelitiche d'Europa la più importante, per i rapporti storici del popolo d'Israele con l'Urbe. Altre, soprattutto quelle della Spagna e del Portogallo, e la Sinagoga di Amsterdam, offrono un più vivo interesse, ma tutto teologico, a causa delle loro scuole talmudiche; nessuna però è tanto antica e tanto importante quanto la Sinagoga romana: questa rappresenta la più vetusta radice del cristianesimo nella capitale stessa del mondo cristiano. (''Il Ghetto e gli ebrei di Roma, 1853'', vol. II, p. 97)
*Esiste un prestigio incancellabile in questo nome di Provenza, e questa contrada, irradiata dal più bel sole, rinomata per il suo bel canto, ricca di vigneti e di olivi, irrigata da un grande fiume, animata da mille ricordi dei tempi antichi, esercita tuttora un vero fascino sopra gli abitanti dei paesi settentrionali. Il riflesso romantico delle canzoni dei trovatori sta su di essa come la gloria di un tramonto sanguigno; imperocchè quell'epoca della poesia del medio evo è tragicamente collegata allo sterminio degli [[Albigesi]], di quegli eretici coraggiosi, di quegli eroi del pensiero, che insanguinarono la poesia provenzale, la libertà delle repubbliche cittadine della Francia meridionale, la civiltà sociale di quelle contrade. Fu quello uno dei punti culminanti della storia del medio evo; i contrasti di tale epoca, sempre forti e pronunciati, lo furono maggiormente ancora colà ed in quel periodo di tempo di libertà e dispotismo, di amore poetico, voluttà, ed inquisizione, di fiori, feste e roghi fumanti di Giraldo di Borneil e di Pietro di Castelnau; di Bertran del Bornio e di S. Domenico. Si aggiunga l'attrattiva di una lingua melodiosa, nobile, la quale a poco a poco venne scomparendo del tutto, della lingua più antica fra le lingue romane, nella quale si scrisse e si poetò prima che l'italiano s'innalzasse a lingua letteraria; della [[Lingua occitana antica|lingua d'Oc]] o di Occitania, dalla quale ebbero origine quasi per contatto geografico le tre lingue principali di razza latina, l'italiana, la spagnuola e la francese. Non havvi per avventura in tutta la Francia una provincia, nella quale si vada con eguale commozione. (''Avignone'', vol. III, pp. 230-231)
*[[Roma]], da dopo la rivoluzione del 1848, appare ancor più silenziosa che nel passato; tutta la vivacità del popolo è scomparsa e le classi agiate si tengono paurosamente nascoste, guardandosi bene di far parlare di sè; e le classi infime sono ancora più misere e più oppresse di prima. Le feste popolari sono scomparse, o quasi; il carnevale è in piena decadenza; e persino le feste di ottobre, un tempo sì allegre fuori delle porte, fra i bicchieri di vino dei Castelli e il saltarello, sono presso che dimenticate. [...] Ben diverso è l'aspetto di [[Napoli]], dove il vivace, febbrile e continuo chiassoso movimento di tutto quel popolo, ha del fantastico. Si direbbe una città in rivoluzione, perché tutti si muovono, tutti si agitano, tutti gridano e schiamazzano. Nel porto, sulle rive del mare, nei mercati, in [[via Toledo]], persino a Capodimonte, al Vomero, a Posillipo, lo stesso movimento, lo stesso chiasso. A Napoli non si riesce a far nulla, e il nostro occhio nulla può fissare: ovunque bisogna guardarsi senza posa contro gli urti e gli spintoni. La stessa viva luce del mare e delle rive mantiene in continua agitazione, eccita la vista e la fantasia; e il frastuono delle voci umane e delle carrozze non cessa nemmeno nel cuore della notte. (''Napoli, 1854'', vol. IV, pp. 4-5)
*Rimasi a lungo sulla terrazza di S. Martino appoggiato al parapetto ad ascoltare le voci che salivano da Napoli. Se questo popolo, pensavo, fa tanto chiasso nella sua vita comune, quanto ne farà quando è agitato da passioni, durante le lotte, quando vuole il saccheggio, come fecero il 15 maggio 1848 i lazzaroni a migliaia dietro la carrozza di re Ferdinando!<br>Il frastuono napoletano ha però di solito un carattere pacifico: è allegro ed in fondo è ordinato nel suo apparente disordine. Tutta quella gente, che brulica come formiche, si muove in certe direzioni fisse, con uno scopo determinato. In questo popolo la vita circola come il sangue nel corpo umano, e quelle sue pulsazioni febbrili in apparenza, sono in realtà regolari e normali. (''Napoli, 1854'', vol. IV, p. 6)