Salvatore Silvano Nigro: differenze tra le versioni

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*Era stata donna [[Teresa Borri|Teresa Stampa]], dirigista come sempre a volere che si effigiasse quella tabacchiera. Al [[Francesco Hayez|pittore]] non restò che assecondarla. E l'assecondò pure il [[Alessandro Manzoni|marito]] che, per quanto riluttante ai ritratti, acconsentì a posare nello studio di Hayez: facendosi ritrarre – senza mai uso di manichino – seduto, con in mano la familiare tabacchiera accarezzata più che stretta. Donna Teresa, dopo che il venerato consorte aveva portato a termine la risciacquatura in Arno dei [[I promessi sposi|''Promessi sposi'']], lavorava già per i posteri e pensava al museo degli oggetti domestici da conservare a futura memoria. Per questo aveva imposto l'umile accessorio. Voleva che «si facesse nota di una di quelle familiari abitudini, che poi appunto in grazia della loro familiarità sfuggono, o sono dimenticate dalla Storia», scriveva d'accordo con lei il figlio Stefano. (p. 4)
*La "scatola" di [[fra Cristoforo]] è un'acquisizione dei [[I promessi sposi|''Promessi sposi'']]. Nel ''Fermo e Lucia'' il «pezzo di pane» sortisce da una «sporta». E viene consegnato a Fermo. Solo a lui; che ancora non si è ricongiunto con la sua Lucia. Diversa è la scena che i ''Promessi sposi'' raccontano. [[Renzo Tramaglino|Renzo]] e [[Lucia Mondella|Lucia]] si sono ormai ritrovati. E a loro due, congiunti nel «voi» e nel «figliuoli» delle allocuzioni del frate, viene dato «il resto del pane»: tolto sì dalla «sporta»; ma offerto dentro «una scatola». L'edizione illustrata del romanzo indugia sull'episodio ripensato. Con una silografia di [[Francesco Gonin]] (cfr. fig. 3). E si sa che la mano dell'artista fu costantemente guidata e controllata dallo stesso [[Alessandro Manzoni|Manzoni]]. la vignetta è fedele alla nuova situazione narrativa. (pp. 9 e 11)
*{{NDRSolo nei ''[[I promessi sposi|SullaPromessi simbologiasposi]]'' della dannazione degli scarsi lettori si qualifica nella discussa misura: «Pensino ora i miei [[venticinque|numero]] 25lettori..» [...] Su questa scena si esibiscono i «venticinque» già visti in visione (con l'approssimazione di un circa) dal profeta [[Ezechiele]] nei(8,16) e riproposti (in cifra piena) dall'incandescente oratoria del ''Memoriale ai milanesi'' di [[ICarlo promessiBorromeo]]: sposi|Promessi«Ezechiele sposivide quei venticinque uomini, che avevano voltato le spalle al tempio e la faccia ad oriente e adoravano il sole. Non vi pare, o figlioli, che in un certo modo a guisa di questi siano tutti coloro che, voltate le spalle a Dio, si daranno a godere il mondo...?» [...] Ch'era un modo, in estremo, per strizzare l'occhio e dar di gomito al [[Daniello Bartoli|Bartoli]}}] della ''Geografia trasportata al morale''. Il gesuita aveva tenuto il conto delle ore che in un anno un «pazzo» investe in sonno, giochi, cicalecci, commedie, novelle, romanzi, poesie, ozi, e «fatiche peggiori dell'ozio». Fatta la somma, e calcolato il resto, aveva concluso: «D'ottomile settecento sessantase' ore che compongono un anno, inorridirà al non vedercene rimanere, delle spese utilmente (che sole può dir sue), voglialo Iddio, che venticinque». Venticinque ore sante. Venticinque lettori «pazzi». E ancora, dentro la favola del [[I promessi sposi|romanzo]]: le venticinque berlinghe di un debito con il curato; i venticinque scudi di una multa; i venticinque giorni di un contagio di peste; i venticinque anni di una monaca giunta al punto. (pp. 3635-37)
*Il Seicento del ''Fermo e Lucia'' ha una forte rilevatura barbarica. Di tipo tragico. E ancora nella lettera del ''Discorso sur alcuni punti della storia longobardica in Italia'' (1822): "[...] salvare una moltitudine dalle ugne atroci delle fiere barbariche". Di "unghie" e "sozzi artigli", che graffiano l'aria, il romanzo è stipato; come pure di varie "fiere": tanto che la stessa Lucia è "bella fera". La società è divisa in "facinorosi" e in "circospetti": bracchi e pernici; in cacciatori (talvolta leggiadri) e lepri; in uccellacci e uccellini; in diavoli incarnati e prede. Tutto il romanzo è una caccia all'uomo, crudele e barbarica. Che in parte sopravvive nei [[I promessi sposi|''Promessi sposi'']], ma nella superiore dimensione del "patire" dell'[[Alessandro Manzoni|adelchiano]] "[...] far torto o patirlo [...]" (V,7,52); e di una feroce forza che “il mondo possiede” (V,7,52-53). La morale della Chiesa “comanda di patire piuttosto che di farsi colpevole", dice Manzoni. E il principio viene indegnamente tradotto da [[don Abbondio]], nel suo idioletto della paura: "Non si tratta di torto o di ragione; si tratta di forza". (pp. 51-52)
*La [[scrittura]] è un metter nero su bianco, che impegna "così... dalla vita alla morte". Con la "gestuosa arte de' cenni" (ampiamente frequentata dalla trattatistica del Seicento, ed evocata da [[Alessandro Manzoni|Manzoni]] nell'apertura del capitolo VI del primo tomo del ''Fermo e Lucia'') condivide la qualità visibile della "muta favella": altro non è infatti, la scrittura, che un conversar "sulla carta [...] con parole mute, fatte d'inchiostro". Carta, penna e calamaio sono gli emblemi dell'"applicazione studiosa". Sono gli strumenti "del miglioramento umano" e della "coltura pubblica"; se per loro tramite si riversa nella società la scienza attiva di una [[biblioteca]], come quella ambrosiana fondata da [[Federico Borromeo]] per confondere l'"ignorantaggine" e l'"inerzia" di un secolo capzioso agitato da malestri e turpitudini... (p. 68)