Salvatore Silvano Nigro: differenze tra le versioni

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*[[Alessandro Manzoni|Manzoni]] aveva un deficiente senso degli affari. S'era convinto di riuscire a scoraggiare le contraffazioni e le speculazioni degli editori, con la proposta di un'edizione illustrata del [[I promessi sposi|romanzo]] che fosse di difficile riproduzione. Ci rimise gran parte del patrimonio. In compenso si concesse un'originalissima ristrutturazione testuale dell'opera. Si occupò dell'impaginazione tipografica. Decise la sceneggiatura illustrativa. Dettò le vignette ai disegnatori, e le corresse. I soggetti «furono tutti scelti e fissati da lui», scrisse l'illustratore [[Francesco Gonin|Gonin]] a [[Stefano Stampa]], in una lettera del 9 marzo 1885: «dovendosi intercalare nel testo, ebbe la pazienza di calcolare ''quante righe'' occuperebbe quel tal disegno onde capitasse nella pagina dove c'era il fatto, e scelto il bosso della dovuta grandezza lo avvolgeva in carta bianca sulla quale scriveva il testo del soggetto, pagina tale, cosicché il disegnatore trovavasi fissata grandezza e soggetto». (pp. 14-15)
*La percezione di parole e immagini è sempre sincronica, nella Quarantana. Non è per niente divaricata. E le vignette non sono inerti. Fanno parte del testo, con il quale interagiscono. Sono un'altra forma (ineliminabile) della scrittura manzoniana. A chiusura del capitolo XXVI, [[Alessandro Manzoni|Manzoni]] vuole una illustrazione. Dà le necessarie istruzioni a [[Francesco Gonin|Gonin]]: «parte di figura coll'indice d'una mano sotto un occhio; quell'atto cioè con cui si burla facilmente uno che, credendo d'averla indovinata, s'inganna». (p. 108)
*[[Alessandro Manzoni|Manzoni]] sapeva che i costumi non sono semplice indumenteria. Hanno una loro necessità sociale e morale. Quando sulla soglia del [[I promessi sposi|romanzo]], nel frontespizio cosiddetto «morto», dovette presentare la compagnia degli attori, per vestire [[don Rodrigo]] additò al [[Francesco Gonin|disegnatore]], come modelli, due ritratti (del negoziante di sete Francesco Camisano e di Silvestro de Mattanza) custoditi nella Quadreria della Ca' Granda di Milano), entrambi di pittori anonimi del Seicento lombardo. E fece attribuire al personaggio una posa spavalda alla maniera dei ritratti di [[Antoon van Dyck|Van Dyck]]. Da questa misura screziata di connotazioni borghesi e aristocratiche formò il carattere del persecutore. (p. 109)
*La traversata dell'Adda era un motivo agiografico e pittorico. Un altro santo, [[Giovanni il Buono (santo)|Giovanni Buono]], era andato di là dal fiume, camminando sulle acque senza bagnarsi. Lo attestano due dipinti secenteschi (attribuiti interamente o in parte a Gian Giacomo Barbelli: ''S. Giovanni Buono attraversa l'Adda a piedi asciutti''), un tempo esposti nel transetto meridionale del [[Duomo di Milano]], dove era collocato l'altare del santo. [[Alessandro Manzoni|Manzoni]] riprese il motivo. Lo laicizzò. Fece in modo che [[Renzo Tramaglino|Renzo]] passasse per l'Adda in «barchetta». Ma dentro un miracolo di paesaggio: piccolo uomo in fuga. visto dall'alto delle vignette, a testimoniare il primato della natura; ad ascoltare la voce liquida del fiume. (p. 111)
*[[Leone Leoni]] era un artista di successo. Ma aveva anche una violenta propensione a delinquere. Organizzava agguati, maneggiava i pugnali a tradimento: li faceva volare nell'ombra; li lanciava da dentro il segreto di un travestimento. Non risparmiava i nemici. E neppure gli amici. Tentò persino di assasinare il pittore Orazio Vecellio, figlio del suo amico [[Tiziano Vecellio|Tiziano]]. Voleva derurbarlo dei quadri del padre. (p. 115)