Vittorio Alfieri: differenze tra le versioni
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*'''Carlo''': ''Ah! scusa involontario sfogo | di un cor ripieno troppo: intera aprirti | l'alma pria d'or, mai nol potea...''<br> '''Isabella''': ''Né aprirla | tu mai dovevi a me ; né udir...''<br>'''Carlo''': ''T'arresta; | deh! se del mio dolore udito hai parte, | odilo tutto. A dir mi sforza...''<br>'''Isabella''': ''Ah! taci; lasciami''.<br>'''Carlo''': ''Ahi lasso! Io tacerò; ma, oh quanto | a dir mi resta! Ultima speme...''<br>'''Isabella''': ''E quale | speme ha, che in te non sia delitto?''<br>'''Carlo''': ''... Speme,... | che tu non m'odi''.<br>'''Isabella''': ''Odiarti deggio, e il sai,... | se amarmi ardisci''. (I, 2)
==''La Congiura
===[[Incipit]]===
'''Raimondo''': ''[[Sofferenza|Soffrire]], ognor soffrire? altro consiglio | darmi, o padre, non sai? Ti sei tu fatto | schiavo or cosí, che del [[Lorenzo de' Medici|mediceo giogo]] | non senti il peso, e i gravi oltraggi, e il danno?''<br>
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== ''Vita di Vittorio Alfieri da Asti scritta da esso'' ==
===[[Incipit]] ===
Il parlare, e molto più lo scrivere di sé stesso, nasce senza alcun dubbio dal molto amor di sé stesso. Io dunque non voglio a questa mia Vita far precedere né deboli scuse, né false o illusorie ragioni, le quali non mi verrebbero a ogni modo punto credute da altri; e della mia futura veracità in questo mio scritto assai mal saggio darebbero. Io perciò ingenuamente confesso, che allo stendere la mia propria vita inducevami, misto forse ad alcune altre ragioni, ma vie più
===Citazioni===
*Nella città d'Asti in Piemonte, il
*Ripigliando
*
*Oh
▲*Ripigliando adunque a parlare della mia primissima età, dico che di quella stupida vegetazione infantile, non mi è rimasta altra [[memoria]] se non se quella d'uno zio paterno, il quale avendo io tre anni in quattr'anni, mi facea por ritto su un antico cassettone, e quivi molto accarezzandomi mi dava degli ottimi confetti. Io non mi ricordava quasi punto di lui, né altro me n'era rimasto fuorch'egli portava certi scarponi riquadrati in punta. Molti anni dopo, la prima volta che mi vennero agli occhi certi stivali a tromba, che portano pure la scarpa quadrata a quel modo stesso dello zio morto già da gran tempo, né mai più veduto da me da che io aveva uso di ragione, la subitanea vista di quella forma di scarpe del tutto oramai disusata, mi richiamava ad un tratto tutte quelle sensazioni primitive ch'io aveva provate già nel ricevere le carezze e i confetti dello zio, di cui i moti ed i modi, ed il sapore perfino dei confetti mi si riaffacciavano vivissimamente ed in un subito nella [[fantasia]]. (1967, pp. 11-12)
*Onde io imparai sin da allora, che la vicendevole [[paura]] era quella che governava il [[mondo]]. (
*Allora imparai, che bisognava sempre parere di dare spontaneamente, quello che non si potea impedire d'esserti tolto. (
*E mi ricordo, tra l'altre, che nella Biblioteca Ambrosiana, datomi in mano dal bibliotecario non so più quale manoscritto autografo del
*[...] dell'andare non mi saziava mai, ma immediatamente mi addolorava lo stare. (III, II; 1967)
*Ma il libro dei libri per me, e che in quell'inverno mi fece veramente trascorrere, dell'ore di rapimento e beate, fu [[Plutarco]], le vite dei veri grandi. Ed alcune di quelle, come Timoleone, Cesare, Bruto, Pelopida, Catone, ed altre, sino a quattro e cinque volte le rilessi con un tale trasporto di grida, di pianti, e di furori pur anche, che chi fosse stato a sentirmi nella camera vicina mi avrebbe certamente tenuto per impazzato. All'udire certi gran tratti di quei sommi uomini, spessissimo io balzava in piedi agitatissimo, e fuori di me, e lagrime di dolore e di rabbia mi scaturivano dal vedermi nato in Piemonte ed in tempi e governi ove niuna alta cosa non si poteva né fare né dire, ed inutilmente appena forse ella si poteva sentire e pensare. (
*{{NDR|Sui ''Saggi'' di [[Montaigne]]}} Mi dilettavano ed instruivano, e non poco lusingavano anche la mia ignoranza e pigrizia, perché aperti cosí a caso, qual che si fosse il volume, lettane una pagina o due, lo richiudeva, ed assai ore poi su quelle due pagine sue io andava fantasticando del mio. (III, VIII; 1967)
*Nella sua
*L'[[ *Ma non possedendo io allora nessuna lingua, e non mi sognando neppure di dovere né poter mai scrivere nessuna cosa né in prosa né in versi, io mi contentava di ruminar fra me stesso, e di piangere alle volte dirottamente senza saper di che, e nello stesso modo di ridere: due cose che, se non sono poi seguitate da scritto nessuno, son tenute per mera [[pazzia]], e lo sono; se partoriscono scritti, si chiamano [[poesia]], e lo sono. (III, XII; 1967)
*Bisogna veramente che l'uomo muoia, perché altri possa appurare, ed ei stesso, il di lui giusto valore. (
*Ed io sempre ho preferito originale anche tristo ad ottima copia. (
*Chi molto legge prima di comporre, ruba senza avvedersene, e perde L'originalità, se
*
*
*[...] mi ritrovai perciò nell'aprile una fierissima [[gotta|podagra]] a ridosso, la quale m'inchiodò per la prima volta in letto, e mi vi tenne immobile e addoloratissimo per quindici giorni almeno, e pose
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*Vittorio Alfieri, ''[http://www.gutenberg.org/cache/epub/31080/pg31080-images.html Sofonisba]'', Laterza, 1947.
*Vittorio Alfieri, ''Tragedie'', a cura di L. Toschi, Sansoni, 1985.
*Vittorio Alfieri, ''[
==Altri progetti==
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{{DEFAULTSORT:Alfieri, Vittorio}}
[[Categoria:Commediografi]]
[[Categoria:Drammaturghi italiani]]
[[Categoria:Memorialisti italiani]]
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