Francesco Gonin: differenze tra le versioni

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===[[Salvatore Silvano Nigro]]===
*La percezione di parole e immagini è sempre sincronica, nella Quarantana. Non è per niente divaricata. E le vignette non sono inerti. Fanno parte del testo, con il quale interagiscono. Sono un'altra forma (ineliminabile) della scrittura manzoniana. A chiusura del capitolo XXVI, [[Alessandro Manzoni|Manzoni]] vuole una illustrazione. Dà le necessarie istruzioni a Gonin: «parte di figura coll'indice d'una mano sotto un occhio; quell'atto cioè con cui si burla facilmente uno che, credendo d'averla indovinata, s'inganna».
*La "scatola" di [[fra Cristoforo]] è un'acquisizione dei [[I promessi sposi|''Promessi sposi'']]. Nel ''Fermo e Lucia'' il «pezzo di pane» sortisce da una «sporta». E viene consegnato a Fermo. Solo a lui; che ancora non si è ricongiunto con la sua Lucia. Diversa è la scena che i ''Promessi sposi'' raccontano. [[Renzo Tramaglino|Renzo]] e [[Lucia Mondella|Lucia]] si sono ormai ritrovati. E a loro due, congiunti nel «voi» e nel «figliuoli» delle allocuzioni del frate, viene dato «il resto del pane»: tolto sì dalla «sporta»; ma offerto dentro «una scatola». L'edizione illustrata del romanzo indugia sull'episodio ripensato. Con una silografia di Francesco Gonin (cfr. fig. 3). E si sa che la mano dell'artista fu costantemente guidata e controllata dallo stesso [[Alessandro Manzoni|Manzoni]]. la vignetta è fedele alla nuova situazione narrativa.
*[[Alessandro Manzoni|Manzoni]] aveva un deficiente senso degli affari. S'era convinto di riuscire a scoraggiare le contraffazioni e le speculazioni degli editori, con la proposta di un'edizione illustrata del [[I promessi sposi|romanzo]] che fosse di difficile riproduzione. Ci rimise gran parte del patrimonio. In compenso si concesse un'originalissima ristrutturazione testuale dell'opera. Si occupò dell'impaginazione tipografica. Decise la sceneggiatura illustrativa. Dettò le vignette ai disegnatori, e le corresse. I soggetti «furono tutti scelti e fissati da lui», scrisse l'illustratore Gonin a [[Stefano Stampa]], in una lettera del 9 marzo 1885: «dovendosi intercalare nel testo, ebbe la pazienza di calcolare ''quante righe'' occuperebbe quel tal disegno onde capitasse nella pagina dove c'era il fatto, e scelto il bosso della dovuta grandezza lo avvolgeva in carta bianca sulla quale scriveva il testo del soggetto, pagina tale, cosicché il disegnatore trovavasi fissata grandezza e soggetto».
 
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