Robert Louis Stevenson: differenze tra le versioni

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*Al pappagallo di cucina, sulla nave che porta i pirati verso l'isola del tesoro, io gli ho voluto più bene che se fosse stato il pappagallo di casa mia; molti anni prima di sapere che c'erano stati anche i pappagalli di Daniel Defoe, e che cotesto, probabilmente, veniva da quella famiglia di pappagalli. E son sicuro d'avere sgranato gli occhi come un bambino, quando in ''Treasure Island'' la nave deserta vien bordeggiando sul risucchio come la più indubitabile e pazza delle apparizioni; e d'averli sgranati con non meno stupore, più tardi, e, questa volta, non più soltanto come un bambino ma anche come un critico, nell'accorgermi che cotesta nave, il più perfezionato dei vascelli fantasma, apparteneva alla stessa flottiglia della nave-scheletro in Coleridge e del pontone abbandonato di ''Gordon Pym''. ([[Emilio Cecchi]])
*E realismo magico è questo di Robert Stevenson. Tutto è strano, inaspettato, sorprendente ciò che accade lì dentro; eppure logico, naturale, necessario. ([[Angiolo Silvio Novaro]])
*Il protagonista Jim Hawkins trova l'intera esperienza un incubo [...] in un mondo sordido; il romanzo indica il caos shakespeariano che esiste sotto l'ordine superficiale dell'universo dove la civiltà è rimpiazzata dalla legge della giungla e dalla sopravvivenza dei più forti [...] il denaro emerge come il principio dominante che corrompe tutti [...] dio Mammona vittoriano. ([[Frank McLynn]])
*L'''Isola'', a tutta prima, sembra impiantata sulla classica opposizione: da una parte i buoni (i gentiluomini che salpano per recuperare il tesoro nascosto), dall'altra i pirati, capeggiati da John Silver; nel mezzo Jim, orfano sprovveduto, alla ricerca d'una identità. Ma lo schema non regge a lungo. Anche a prescindere dalle personali debolezze di ciascuno di essi, i buoni sono coinvolti in un'impresa di assai dubbia moralità; i pirati si dimostrano semplici comparse pittoresche. Ben presto lo scrittore e il lettore non si interessano che a Jim e a John Silver. Ma se uno è il tipico ''villain'', infatti il primo grande ''villain'' dello Stevenson, il ragazzo non è mai suo vero antagonista. Dapprima, come e meglio degli altri, resta affascinato dall'indomito brigante; più tardi, quando ne ha scoperto la vera natura e lo sa capace dei più nefandi crimini, non riesce a liberarsi dall'ammirazione che ne ha concepito, a reprimere l'intensa simpatia, l'irrazionale fiducia che, nonostante tutto, in lui ripone. Si ricordi la scena di più crudele tensione nel romanzo, quando Jim, tenuto al guinzaglio come un cane, deve accompagnare John Silver sulla collina dove era sepolto il tesoro e, dagli sguardi che il pirata gli lancia, capisce che potrebbe venirne sgozzato in qualsiasi istante. Persino allora la vicinanza del pirata gli infonde un calore rassicurante: tra i due intercorre una profonda intesa fisica, che supera ogni divergenza e fa pensare che, con la coppia Jim-John Silver, Stevenson sia riuscito nel suo assurdo assunto di scrivere la storia di un uomo, che è due uomini – differenti, in apparenza nemici, ma, nella profonda verità del sangue, intimamente fratelli e complementari. ([[Enzo Giachino]])
*''L'isola del tesoro'' è sempre qualcosa che non c'è. Il tesoro è quel che cerchiamo sempre nelle nostre vite, l'aspirazione al diverso, a ciò che è meglio di quel che abbiamo: e, forse, anche, che è meglio di ciò che siamo. È la trasfigurazione letteraria della legge evolutiva: l'uomo, sopratutto l'uomo giovane, il ragazzo-eroe, deve cercare di migliorarsi, per crescere deve sapere osare, deve fidare nel proprio istinto quando cerca soluzioni impreviste al pericolo immediato della morte. ([[Gianluigi Melega]])
*L'isola per Stevenson non è un miraggio della salute, ma un passaggio da una malattia a un'altra malattia. Alla fine dell'avventura Jim non rimpiange certo quell'"isola maledetta"; il suo incubo non è più "il marinaio con una gamba sola" bensì il suono della "risacca lungo le coste". ''L'isola del tesoro'' è un testo molto più complesso di quanto appaia a prima vista. ([[Guido Almansi]])
*La mia lettura dell'''Isola del tesoro'' è meno solare {{NDR|rispetto a quella di [[Giorgio Manganelli]], che ha parlato di «poema della vitalità, tenero e sempre d'una esattezza, d'una lucidità allucinante: ma senza paura, e senza istrionismo»}}: penso soprattutto al suo ''côté'' nero, a personaggi genuinamente spaventosi come Pew il cieco o Cane Nero con il suo angosciante Bollo Nero, al duello mortale fra Jim e Jordan {{NDR|''recte'': Israel}} Hands, alla bestialità di Ben Gunn, alla stessa ambiguità di Silver, a quella lugubre canzone ''Quindici uomini sulla cassa del morto'', alla rievocazione del terribile capitano Flint, quasi un morto vivente con le guance blu... ([[Michele Mari]])
*La prima parte dell'''Isola del Tesoro'', quando ancora il meccanismo dell'avventura non è scattato, e regna ancora il senso dell'attesa, si può dire sia la più bella [...], in tutte queste pagine l'atto di raccontare raggiunge, coi mezzi più semplici, una delle sue più alte vette mondiali; e il fatto che s'usino ingredienti narrativi logori [...] non fa mai perdere il sapore genuino d'Inghilterra tra mare e campagna che circola per ogni pagina. Poi, man mano che l'avventura si sviluppa [...] e man mano che Hawkins, il ragazzo, diventò, come tutti i protagonisti di romanzi per l'infanzia, un troppo facile collezionista d'imprese eroiche quanto fortunate, il libro, privo di quel fondo d'esperienza vera, che lo sosteneva al principio, rischia spesso la caduta nel romanzo d'appendice vero e proprio, e sempre si salva per la sua meravigliosa leggerezza, per la grazia con cui i colori della scena, lo scorrer via delle frasi, lo scattare dei sentimenti riempiono l'attenzione del lettore di qualcosa che va al di là del prevedibile interesse per l'intreccio. ([[Italo Calvino]])
*La scoperta (e la fascinazione) della letteratura venne con l'adolescenza grazie a un libro "magico" che per me continua ad essere magico, ''L'isola del tesoro''. [...] Quel libro mi trasportò verso oceani favolosi, era un vento che non gonfiava solo le vele del vascello salpato alla ricerca del tesoro ma muoveva soprattutto le ali dell'immaginazione. ([[Antonio Tabucchi]])
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*Sebbene racconti delle storie che fanno stare col fiato sospeso, Stevenson è moderatamente interessato a quel che di "interessante" egli sta raccontando. Con una eleganza provocatoria, da gentiluomo e da baro, nelle prime righe dell'''Isola del Tesoro'' Stevenson ci spiega tutto quello che accadrà nel libro che si accinge a scrivere; e noi, indifesi e drogati, lo leggiamo esattamente come se non sapessimo nulla, e ci deliziamo di ansie ingiustificate, e sprechiamo palpiti e sollievi. ([[Giorgio Manganelli]])
*Se ci fu mai poema che ricostruì, che 'fermò' – non rimpianse, o ricordò, o commentò, o tentò idealizzare secondo il vezzo lunare di ieri – quei nostri giorni, e sensazioni, e colori, e proporzioni, e desideri e maschi rilievi e ingenuo amore di stragi e innocenti ferocie e ogni altro aspetto di quei nostri giorni, è appunto il libro di Stevenson. ([[Silvio D'Arzo]])
*Stevenson risale all'origine del romanzo d'avventura inglese, al secolo che si era aperto con ''[[Robinson Crusoe]]'' (1719) di Daniel Defoe, l'opera in cui venne per la prima volta data rappresentazione al concetto che un luogo abitato dai 'selvaggi' – sia esso un'isola o un continente – sia da considerarsi deserto: un comodo espediente, questo, che avrebbe in seguito legittimato le innumerevoli acquisizioni territoriali della Corona. Restituito al suo alveo letterario il sottogenere del romanzo d'avventura per ragazzi, Stevenson procederà poi a sovvertirne le basi ideologiche. Prima di partire, Jim già si vedeva protagonista di chissà quali gesta, su un'isola popolata di "selvaggi, contro i quali combattevamo" e di "animali pericolosi che ci perseguitavano". Ma queste fantasie verranno smentite, allorché si scoprirà che non sono i cannibali a portare la violenza e la morte sull'isola, ma la ciurma dell'''Hispaniola'', quei pirati cioè la cui mitografia è inscindibile dalla storia dell'espansione inglese sui mari – come Stevenson non omette di ricordare quando nella locanda i giovani del luogo, affascinati dai racconti del vecchio bucaniere, prendono ad ammirarlo, "asserendo che era proprio quel tipo di uomo a rendere l'Inghilterra temibile sui mari" [terribile in mare].<br>Stevenson, quindi, anziché inscrivere il suo romance in un macrotesto storicamente e ideologicamente definito, usa le convenzioni del sottogenere dell'avventura per deviare dall'inevitabile progressione dall'infanzia alla maturità codificata dal romanzo di formazione ottocentesco. Se di un'evoluzione si può parlare nel caso di Jim, questa si ha allorché lui si lascia alle spalle il mondo che potrebbe condividere con il protagonista di un romanzo psicologico per entrare nel mondo del romanzo d'avventura, uscendone trasformato. Fatto sorprendente per un romanzo presentato dall'autore come scevro di analisi psicologiche, questa evoluzione è scandita da due incubi che rispettivamente inaugurano e suggellano – perpetuandola – la lotta di Jim contro la fascinazione del male, e dai diversi momenti della storia in cui Jim, addormentandosi, varca una soglia dopo l'altra, in un percorso che accompagna la sua progressiva metamorfosi in eroe dell'avventura. ([[Richard Ambrosini]])
*Tutti pensano sia un libro per ragazzi: lo è, ma non nel senso in cui si crede. Non perché è semplice, o solare, non perché racconta l'avventura, non perché parla di pirati, e di battaglie, e di arrembaggi, e neppure perché tiene con il fiato sospeso. No Francesco, ''L'isola del tesoro'' è un libro per ragazzi perché insegna quanto sottile e ambiguo sia il discrimine che separa il bene e il male; e quanto l'avventura sia un percorso doloroso che però non può non essere vissuto. ([[Roberto Cotroneo]])