Salvatore Silvano Nigro: differenze tra le versioni

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==''La tabacchiera di don Lisander''==
*Era stata donna [[Teresa Borri|Teresa Stampa]], dirigista come sempre a volere che si effigiasse quella tabacchiera. Al [[Francesco Hayez|pittore]] non restò che assecondarla. E l'assecondò pure il [[Alessandro Manzoni|marito]] che, per quanto riluttante ai ritratti, acconsentì a posare nello studio di Hayez: facendosi ritrarre – senza mai uso di manichino – seduto, con in mano la familiare tabacchiera accarezzata più che stretta. Donna Teresa, dopo che il venerato consorte aveva portato a termine la risciacquatura in Arno dei [[I promessi sposi|''Promessi sposi'']], lavorava già per i posteri e pensava al museo degli oggetti domestici da conservare a futura memoria. Per questo aveva imposto l'umile accessorio. Voleva che «si facesse nota di una di quelle familiari abitudini, che poi appunto in grazia della loro familiarità sfuggono, o sono dimenticate dalla Storia», scriveva d'accordo con lei il figlio Stefano. (Da ''Viaggio sentimentale attorno a una tabacchiera (in forma di prefazione'', p. 4)
*Il Seicento del ''Fermo e Lucia'' ha una forte rilevatura barbarica. Di tipo tragico. E ancora nella lettera del ''Discorso sur alcuni punti della storia longobardica in Italia'' (1822): "[...] salvare una moltitudine dalle ugne atroci delle fiere barbariche". Di "unghie" e "sozzi artigli", che graffiano l'aria, il romanzo è stipato; come pure di varie "fiere": tanto che la stessa Lucia è "bella fera". La società è divisa in "facinorosi" e in "circospetti": bracchi e pernici; in cacciatori (talvolta leggiadri) e lepri; in uccellacci e uccellini; in diavoli incarnati e prede. Tutto il romanzo è una caccia all'uomo, crudele e barbarica. Che in parte sopravvive nei [[I promessi sposi|''Promessi sposi'']], ma nella superiore dimensione del "patire" dell'[[Alessandro Manzoni|adelchiano]] "[...] far torto o patirlo [...]" (V,7,52); e di una feroce forza che “il mondo possiede” (V,7,52-53). La morale della Chiesa “comanda di patire piuttosto che di farsi colpevole", dice Manzoni. E il principio viene indegnamente tradotto da don Abbondio, nel suo idioletto della paura: "Non si tratta di torto o di ragione; si tratta di forza". (Da ''Parte prima. Con questo manoscritto davanti, con una penna in mano. Capitolo III. L'Anonimo e il Gesuita'', pp. 51-52)
*La [[scrittura]] è un metter nero su bianco, che impegna "così... dalla vita alla morte". Con la "gestuosa arte de' cenni" (ampiamente frequentata dalla trattatistica del Seicento, ed evocata da [[Manzoni]] nell'apertura del capitolo VI del primo tomo del ''Fermo e Lucia'') condivide la qualità visibile della "muta favella": altro non è infatti, la scrittura, che un conversar "sulla carta [...] con parole mute, fatte d'inchiostro". Carta, penna e calamaio sono gli emblemi dell'"applicazione studiosa". Sono gli strumenti "del miglioramento umano" e della "coltura pubblica"; se per loro tramite si riversa nella società la scienza attiva di una [[biblioteca]], come quella ambrosiana fondata da [[Federico Borromeo]] per confondere l'"ignorantaggine" e l'"inerzia" di un secolo capzioso agitato da malestri e turpitudini... (Da ''Parte prima. Con questo manoscritto davanti, con una penna in mano. Capitolo IV. Carta, penna e calamaio'', p. 68)