Gesualdo Bufalino: differenze tra le versioni

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*Conviene, a chi [[Nascita|nasce]], molta oculatezza nella scelta del luogo, dell'anno, dei genitori.<ref name=pens>Da ''Pensieri a perdere''.</ref>
*[[Comiso]] è un paese nell'estremo lembo della Sicilia orientale, cresciuto secolo dopo secolo ai piedi degli Iblei, nel punto in cui il monte perde vigore e s'arrende ai vigneti e ai seminati della pianura. Le case – nane, tozze, ma le rallegra agli stipiti un'improvvisa pergola di gelsomino – in parte salgono verso i primi carrubi della costa; in parte si sporgono sul greto dell'Ippari, ridotto ormai da ''pozzari'' e ladri d'acqua a una ruga sottile e secca; in parte fanno ressa e cicaleccio intorno a un'antica fontana. Qui la gente è (ma bisogna forse già dire ''era'') d'indole operosa, di sangue tiepdido e savio, non senza qualche goccia di calcolo, di avarizia: disposta perciò a far festa piena, indigestioni comprese, non più di due volte l'anno, in occasione delle solennità rivali dell'Annunziata e dell'Addolorata, e anche allora solo per non sfigurare, nella propria ironia e misura ionica, al paragone con le baldanze della vicina [[Vittoria (Italia)|Vittoria]].<ref>Dall'introduzione a Gioacchino Iacono, Francesco Meli, ''Comiso ieri. Immagini di vita signorile e rurale'', Sellerio, Palermo, 1978, p 3.</ref>
*[[DonAlonso Chisciotte della ManciaChisciano|Don Chisciotte]]. Uno dei massimi emblemi letterari d'ogni epoca. Templare e romeo dell'ideale, indeciso fra realtà e visione, dissennatezza e senno, lacrime e umore; lirica marionetta che rimette ogni volta a posto i suoi pezzi bastonati e malconci dopo l'ennesima testarda collisione coi giganti a vento e le nuvole... Questo e mille altre cose ancora: metafora di libertà, battista e cristo di ''hispanidad'', ossuto spettatore-attore di un universale teatrino di Maese Pedro; l'unico, insomma, per cui si possa dire, contro [[Francisco Goya|Goya]], che il sonno della ragione genera angeli.<ref>Da ''Dizionario dei personaggi da romanzo'', Oscar Mondadori, Milano, 1989, p. 35. ISBN 88-04-31997-6</ref>
*{{NDR|Su [[Leonardo Sciascia]]}} È come se avessi subito un'amputazione e mi svegliassi senza una gamba, senza un braccio, oggi perdo non solo un amico, ma anche un padre, un fratello, un figlio. In tanti anni di amicizia questa è la prima scortesia che mi fa, morire.<ref>Citato in Attilio Bolzoni, ''L'addio a Sciascia'', ''la Repubblica'', 23 novembre 1989.</ref>
*{{NDR|Su [[Fabrizio Clerici]]}} Ecco: davanti a quel brulicante, proteiforme poema che è l'opera di Clerici, gremito di teste-uovo, scatole di sardine simili a bare, cavoli imparruccati come Nobili di Spagna, violoncelli dalle viscere umane, spille da balia e mollette da bucato promosse a fossili, a dolmen... davanti alle tante razze d'uccelli, dei quali nessuno sa dire se siano corpi o larve, uomini o dèi... in presenza, soprattutto, del Minotauro che al centro d'un fatiscente areopago recrimina muggendo la sua sorte d'uomo a metà... ecco, il primo nome che viene alle labbra è Ovidio: un nome , se non erroneo, evasivo. Poiché il poeta latino, nell'esibire le ''mirabilia'' del camgiamento, indulgeva volentieri a un'artefatta sorpresa, subito soccorsa, del resto, e rassicurata dal morbido "ron ron" dell'esametro; mentre in Clerici ogni squilibrio, ghiribizzo, spaesamento si tinge a tal punto dei più intriganti allarmi morali da risultarne alla fine un risultato iniziatico, non solo attraverso le biblioteche e i musei, ma giù negl'inferi, dove abitano le Madri; di conseguenza, un'avventura della cultura che fa tutt'uno con un tirocinio della coscienza.<ref>Da ''Latitudine Clerici'', in ''Saldi d'autunno'', Bompiani, Milano, 1990, pp. 166-167. ISBN 88-452-1538-5</ref>