Fabrizia Ramondino: differenze tra le versioni

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*Chi non è vissuto in una città balia, ma solo in una città madre, difficilmente potrà comprendere come le ordinate costellazioni celesti, a immagine dell’ordine terrestre – spirituale, sociale, politico, – siano indifferenti al napoletano, mentre nella Via Lattea egli ritrova quell'indistinto luminoso brulichio, privo di forme e di nomi, quel caos chiaro e nutriente, specchio celeste della sua città.<ref>Da ''Taccuino tedesco'', la Tartaruga, 1987. Citato in Claudia Provenzano, ''Avventure di carta. {{small|Scrittori italiani dal 1979 al 1993}}'', Alpha & Beta, Merano (BZ), 1994, [https://books.google.it/books?id=UUkeAQAAIAAJ&q=Chi+non+%C3%A8+vissuto+in+una+citt%C3%A0+balia+ma+solo+in+una+citt%C3%A0+madre&dq=Chi+non+%C3%A8+vissuto+in+una+citt%C3%A0+balia+ma+solo+in+una+citt%C3%A0+madre&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwij16_CzNfpAhXqwosKHYuKBcEQ6AEIMjAB p. 230].</ref>
*{{NDR|[[Maiorca]]}} Ci sono isole che hanno forma di pesci, di delfino, ad esempio o di torpedine, altre che hanno forma di coralli, altre di sirena. Sono collegate oggi ai continenti da molteplici canali: i cavi dell’elettricità e del telefono, le tubazioni del gas, perfino le condutture dell'acqua. La mia isola, invece, secondo la leggenda – attraverso vene sotterranee profonde che scorrevano sotto il mare –, il Creatore l'aveva unita al continente con legami d'acqua, sicché essa invano tentava di navigare alla deriva. Come a consolarla, sgorgavano per ogni dove nelle sue piane sorgenti che la rendevano fertile e verde, ma l’isola si torceva su un lato, assumendo forma di un drago, quasi volesse liberarsi dalla fluida materia a cui era avvinta, per navigare alla volta dell’oceano attraverso le Colonne di Ercole.<ref>Da ''Guerra d'infanzia e di Spagna'', Einaudi, Torino, 2001. Citato in Rossella Di Rosa, ''[https://rucore.libraries.rutgers.edu/rutgers-lib/51267/PDF/1/play/ Itinerari nomadici ed ecologici nella narrativa di Anna Maria Ortese, Elsa Morante e Fabrizia Ramondino]'', New Brunswick, New Jersey, ottobre 2016, p. 156.</ref>
*Dietro il silenzio, sono in agguato il mormorio e il rumore, cioè la protesta, come dietro il troppo rumore è in agguato il silenzio, cioè la paura e la rimozione. Mentre la riflessione sulla propria condizione umana e sul modo giusto di superarne i limiti sono negati. Ora, oltre questo stordente rumore dei [[Quartieri Spagnoli|Quartieri]], vedo manifestarsi inconsapevole e sordo dolore. Le mamme spingono i carrozzini con i lattanti, destreggiandosi<ref>Nella fonte: "sestreggiandosi", refuso .</ref>disinvolte, come se fosse naturale, fra motorini e auto, sempre attente a lasciare loro libera la strada, mai pronte a protestare. Ma loro sanno, rassegnandovisi, che cosa respirano i loro bambini. Oppure stendono il loro bucato, come io stessa, chi al livello della strada, chi più sopra, apparentemente indifferenti alla polvere e ai veleni che escono dai tubi di scappamento, di cui sono impregnati. Quando vedo questi lattanti, queste giovani mamme, i canarini appesi accanto alle finestre, le verdure e i frutti, offerti quasi più all'occhio che al nutrimento, penso che tutte queste creature soffrano. Poi, in pochi minuti a piedi arrivi a [[Via Toledo|via Roma]], davanti alla [[Galleria Umberto I|Galleria]], e un po' più avanti, dinanzi ai giardini del Palazzo Reale, finalmente aperti al pubblico e gratis. E mi chiedo perché sono così poche le donne dei Quartieri che vi conducono i propri bambini. Come se questi giardini fossero a chilometri e chilometri di distanza o come se non osassero invadere una zona tabù, da sempre loro preclusa. Come vedi, nonostante i tanti cambiamenti positivi, da noi come da voi il [[Muro di Berlino|muro]] non è ancora caduto.<ref>Da ''Napoli – Berlino,una corrispondenza di Andreas F. Müller e Fabrizia Ramondino'', in ''Lo Straniero'', n. III, anno 2, primavera 1998. Citato in ''[https://annamariaortese.wordpress.com/2008/09/18/786/ annamariaortese.wordpress.com]'', 17 maggio 2009.</ref>
*E fuggendo [[Napoli]], per inseguire un Nord mitico, che quasi sempre non oltrepassava Roma, [i giovani intellettuali napoletani] venivano a loro volta inseguiti da Napoli, come da una segreta ossessione. Ché Napoli usa seguire i suoi concittadini dovunque, come un'ombra, se si trasferiscono altrove.... Così Napoli, dove è così difficile vivere e che invoglia tanto a partire, che è così difficile abbandonare e che costringe sempre a tornare, diventa, più di molti altri, il luogo emblematico di una generale condizione umana nel nostro tempo: trovarsi su un inabitabile pianeta, ma sapere che è l'unico dove per ora possiamo star di casa. (da ''Star di casa'', Garzanti, Milano, 1991, pp. 59-60<ref>Citato in Maria Ornella Marotti, ''Ethnic Matriarchy: Fabrizia Ramondino's Neapolitan Word'', in ''Italian Women Writers from the Renaissance to The Present, {{small|Revising the Canon}}'', Edited with an Introduction by Maria Ornella Marotti, The Pennsylvania State University Press, University Park, Pennsylvania, 1996, [https://books.google.it/books?id=-jj5TNYvakMC&lpg=PA184&dq=&pg=PA184#v=onepage&q&f=false p. 184]</ref>)
*[...] il deserto [...] somiglia a una [[metropoli]] più di quanto non si pensi; la poca vegetazione è come un'oasi, il paesaggio è composto di materia inorganica e, nonostante le folle, gli uomini vi possono essere soli e dimenticati da tutti.<ref>Da ''La colombaia'', pp. 234-237.</ref>