Lorenzo Bianchini (regista): differenze tra le versioni

sceneggiatore e regista italiano
Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
Nuova pagina. NB: la voce corrispondente è presente in Wikipedia Lorenzo_Bianchini_(regista) ma non sono riuscito a fare il collegamento. Ho preferito omettere Altri progetti per non lasciare il campo vuoto. Grazie per l'attenzione.
(Nessuna differenza)

Versione delle 23:23, 1 giu 2020

Lorenzo Bianchini (1968– vivente), regista italiano.

Citazioni di Lorenzo Bianchini

  • Attingere alla cultura popolare locale significa attingere all’immaginario collettivo universale. Le grandi paure dell’animo umano sono comuni a tutti noi appartenenti alla razza umana.[1]
  • Ci sono molte difficoltà che si devono affrontare quando lavori in forma indipendente. Devi occuparti di moltissimi aspetti che partono dalla scrittura del soggetto alla sonorizzazione del montaggio finale, con tutto quello che ci sta in mezzo, e il dispendio di energie è veramente notevole. La cosa buona è che ti formi un’esperienza ampia su tutte le fasi di realizzazione del film.[2]
  • Del licantropo m’affascina il senso del doppio che c’è nella sua essenza e la solitudine e il dolore che racchiude in sè. M’affascina la fragilità umana mescolata alla forza istintiva dell’animale.[2]
  • Film Sporco è un film realizzato in tempi record sia in fase di scrittura che di riprese. Scherzosamente dicevo che era come un esercizio per tenermi in allenamento. È un film volutamente grottesco ed esagerato nella messinscena. Narra la nefasta avventura notturna di quattro simpatici spacciatori perseguitati da un misterioso serial killer che li conduce tra le strade della provincia in un percorso forzato pieno di tappe mortifere.[1]
  • Il luogo come metafora, dei labirinti della mente. Luoghi che rimandano sempre al passato, perché l’orrore non è certo qualcosa di moderno. Il passato non ci abbandona mai, è sempre con noi.[3]
  • In ogni mio film, a ben vedere, viene descritto un mestiere con una stretta connessione con la solitudine: il giornalista di Custodes bestiae, impegnato in una ricerca che non può divulgare. In Occhi c’è il restauratore di affreschi che deve vivere all’interno di una villa, dove trovano sfogo le sue ossessioni e le sue suggestioni legate a segreti sepolti. In Oltre il guado il mestiere è quello dell’etologo naturalista che è destinato a un’esistenza al di fuori della società umana. I mestieri portano i protagonisti a vivere una dimensione di solitudine, che ti costringe a riflettere sulle tue paure più profonde.[3]
  • In Oltre il Guado la ricerca di paure vere è spinta all’estremo descrivendo quell’inquietudine che si insidia nelle attese di ciò che di orribile potrebbe avvenire da un momento all’altro, o che tu ti immagini possa avvenire o nascondersi nelle penombre, dietro le porte, nei corridoi o per le strade abbandonate di un luogo che diventa metafora di solitudine e di abbandono, di freddo e di marcio e di tutto ciò che della morte del corpo e della coscienza a me fa più paura… Film che è la partenza di un percorso di minimalismo narrativo che nell’ultimo Oltre il guado ha trovato ancor più spazio nel tentativo di descrivere paure vere, pure, primordiali. Un percorso che vorrebbe portare a quello che ironicamente definisco come il “neorealismo delle paure”.[2]
  • La differenza è che nei primi film ero più solo. In Occhi e Oltre il guado ho avuto un aiuto-regista, varie professionalità, una produzione che poteva risolvere i problemi che venivano a crearsi di volta in volta, magari burocratici o contrattuali.[3]
  • La necessità di vivere e raccontare storie misteriose nasce da bambino. I film che trasmettevano in tv mi hanno stimolato a pensare che proprio quel tipo di espressione artistica potesse essere lo strumento per soddisfare quella necessità.[1]
  • L’evoluzione della tecnologia ha permesso a molte persone di realizzare i propri lavori. Quando ho cominciato io non si poteva veramente fare un tubo: ho iniziato con le prime videocamere, i primi piccoli programmi di montaggio, che costavano tra l’altro molto e non tutti potevano permetterseli. Adesso con molto meno puoi permetterti tutto, c’è gente che gira film con il telefonino e sempre sul cellulare può anche montarli.[3]
  • L’idea di Radice quadrata di tre nasce quasi suggerita dalle inquietanti location naturali dei sotterranei della scuola in cui è stato girato. Interminabili corridoi, labirintici sotterranei, angoli angusti e nascosti, intrappolati quasi in un’altra dimensione… L’intenzione era di trasformare quegli ambienti in una sorta di percorso infernale che ti trascinava, ti risucchiava, quasi, verso i meandri più lontani, claustrofobici e sconociuti di una realtà parallela, di una sorta di sogno, di incubo.[2]
  • L’impressione è che ci sia gente che si dà da fare, che porta avanti in maniera personale il proprio modo di vedere le cose: c’è chi si avvicina al mio mood e altri che si avventurano su progetti più splatter, più truculenti. Ce n’è per tutti i gusti, ma le cose che vengono girate sono poco viste, tutto rimane relegato a festival, quasi sempre indipendenti anche loro, circuitazioni rapide, sotterranee. È davvero un peccato.[3]
  • Ma si tratta sempre di parole delicate: indipendenza cosa dovrebbe significare, che si fa quel che si vuole?[3]
  • Mi piace dunque ciò che si annida alla base delle angosce e delle paure, amo mostrare un’attesa che non necessariamente deve portare a qualcosa di reale o di tangibile. Racconto la premessa di quello che poi avviene di solito in un horror, ovvero l’arrivo del mostro, la materializzazione dell’incubo.[3]
  • È ovvio che poi, all’interno di un film, qualcosa di tangibile allo spettatore lo devi regalare, ma a me piace descrivere paure suggerite da rumori quotidiani, quelli che si sentono durante lavori di assestamento, o provocati dal vento o magari da animaletti nel granaio.[3]
  • Non ho girato tutti i miei film in lingua friulana, solo alcuni. Comunque uno dei motivi è perché li rendeva più autentici, più realistici, più calati in un perturbante substrato di cultura popolare locale.[1]
  • Non mi piace l’idea che il male sia qualcosa di esterno, che aspetta “fuori”, credo che ogni terrore nasca da proiezioni personali. Pensa a Shining, dove i fantasmi che interagiscono con il protagonista non ha importanza se esistano davvero o meno.[3]
  • Non vedo produttori che si guardano in giro per cercare registi, o attori adatti ai loro film. I meccanismi mi sembra che siano diversi.[3]
  • Parto dalle paure che ho provato. Il mio ricordo da bambino, quando ero a Monteprato, che è non solo il paese di mia madre ma anche il set di buona parte dei miei film, è pervaso da storie, leggende popolari, che sicuramente mi hanno influenzato.[3]
  • Per me il cinema rappresenta un veicolo comunicativo per trasmettere emozioni, illusioni, sogni. Le prime riprese ho comiciato a farle quando mi sono potuto permettere la mia prima telecamera nel lontano 1996.[2]
  • Poi c’è la bestia, anche se non si tratta proprio di un licantropo ma piuttosto di quello che in dialetto friulano è chiamato salvàns, una figura notturna che vive nei boschi, quasi come uno yeti. Avevo voglia di raccontare l’archetipo classico della paura di un paese, ribaltando però la prospettiva: la paura non viene da fuori, ma vive e fa parte proprio del paese. [3]
  • Ritengo che il dialetto e la lingua diano un aspetto più realistico alle storie, soprattutto se le tematiche trattate sono radicate nel territorio e fanno parte della cultura popolare locale.[2]

Filmografia

  • L'angelo dei muri (2019)
  • Sidera (2015)
  • Oltre il guado (2013)
  • Occhi (2010)
  • Film sporco (2005)
  • Custodes bestiae (2004)
  • Radice quadrata di tre (2001)
  • I denti della Luna' (1999)
  • Smoke Allucination (1998)
  • Paura dentro (1997)

Note

  1. a b c d Da Intervista a Lorenzo Bianchini, cineavatar.it.
  2. a b c d e f Da Intervista a Lorenzo Bianchini, darkveins.com.
  3. a b c d e f g h i j k l Da Intervista a Lorenzo Bianchini, quinlan.it.