Oliver Goldsmith: differenze tra le versioni

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==''Il vicario di Wakefield''==
===[[Incipit]]===
====[[Giovanni Berchet]]====
Sono sempre stato d'opinione che un uomo onesto, il quale si sia [[Matrimonio|sposato]] e abbia allevato una numerosa famiglia, si sia reso più utile di chi è rimasto [[Celibato|celibe]], limitandosi a parlare di popolazione. E così dopo un anno appena dacché avevo preso gli ordini sacri, mi misi a pensare seriamente al matrimonio, e scelsi mia moglie come essa scelse la sua veste nuziale, guardando, non a una bella superficie brillante, ma alle qualità che promettevano di essere durevoli. Essa era una donna buona e degna di considerazione, per renderle giustizia; e quanto a istruzione, poche signore provinciali avrebbero potuto superarla. Era in grado di leggere qualsiasi libro inglese e senza stare a compitare; quanto, poi, a sottaceti, a marmellate e a far cucina, nessuna la superava. Si vantava pure di una notevole abilità nell'amministrare la casa, sebbene io non abbia mai potuto scoprire che i suoi espedienti ci rendessero più ricchi. (Utet, 1966)
Io fui sempre di parere che l'uomo onesto che si marita ed alleva molta famiglia sia più utile di colui che cinguettando solamente di popolazione vive scapolo tutta sua vita. Però appena, dopo un anno ch'io ebbi assunti gli ordini sacri, rivolsi seriamente il pensiero al matrimonio, e mi elessi la sposa con quell'istesso senno con cui ella si scelse la veste {{sic|nunziale}}, non badando ad una gentile e splendida apparenza, ma alle qualità da poterne trarre buon uso. A dir vero, ella era una donna d'ottimo cuore, di condizion ragguardevole, e per educazione la cedeva a ben poche altre gentildonne di contado. Senza tanto compitare, ella leggeva qualunque libro inglese, e nessuna la superava nel confettar frutti, serbar carni salate ed in apprestar vivande d'ogni sorta. Ella si vantava altresì di esser saputa: nella masserizia di una casa; io però non m'avvidi mai che per opera di tutta la di lei accortezza noi avanzassimo in fortune.
 
====Maria Luisa Cervini====
Sono sempre stato d'opinione che un uomo onesto, il quale si sia [[Matrimonio|sposato]] e abbia allevato una numerosa famiglia, si sia reso più utile di chi è rimasto [[Celibato|celibe]], limitandosi a parlare di popolazione. E così dopo un anno appena dacché avevo preso gli ordini sacri, mi misi a pensare seriamente al matrimonio, e scelsi mia moglie come essa scelse la sua veste nuziale, guardando, non a una bella superficie brillante, ma alle qualità che promettevano di essere durevoli. Essa era una donna buona e degna di considerazione, per renderle giustizia; e quanto a istruzione, poche signore provinciali avrebbero potuto superarla. Era in grado di leggere qualsiasi libro inglese e senza stare a compitare; quanto, poi, a sottaceti, a marmellate e a far cucina, nessuna la superava. Si vantava pure di una notevole abilità nell'amministrare la casa, sebbene io non abbia mai potuto scoprire che i suoi espedienti ci rendessero più ricchi. (Utet, 1966)
 
===Citazioni===
*Un [[libro]] può essere divertente con molti errori o molto noioso pur senza contenere una sola assurdità. (1995, p. 5)
*[...] è bello colui che agisce bene. (1995, p. 12)
*Dopo esserci salutati a vicenda con il debito cerimoniale, perché io ho sempre pensato che sia bene osservare alcune manifestazioni abitudinarie di buona educazione, senza le quali la libertà finisce per scalzare l'affetto, ci inchinavamo tutti con gratitudine all'Essere supremo che ci concedeva un altro giorno. (Utet, 1966, pp. 30-31)
*Quella virtù che ha sempre bisogno di essere custodita, non vale la pena che la si custodisca. (Utet, 1966, p. 36)
*''«Guardati figlio mio», grida l'[[eremita]], | «dallo sfidare le tenebre pericolose; | ché lì volano spettri perfidi | che ti attirano verso la rovina. || Qui al povero e al ramingo, | la mia porta è sempre aperta; | e anche se la mia porzione è scarsa, | la dò via con tutto il cuore».'' {{NDR|[[poesie dai libri|poesia]]}} (1995, p. 50)
*''Le greggi che pascolano libere per la valle, | io non le condanno a morte: | mi è stato insegnato da Colui che ha pietà di me, | e ho imparato a essere misericordioso. || Ma dal lato verde del monte, | porto un banchetto innocente; | una bisaccia piena di erbe e di frutti, | e acqua di fonte.'' {{NDR|[[poesie dai libri|poesia]]}} (1995, p. 50)
*[...] come gli uomini non sanno distinguere il merito nelle donne, così esse spesso giudicano di noi molto più esattamente. Si direbbe che i [[Uomini e donne|due sessi]] siano in grado di spiarsi a vicenda, e siano forniti di capacità differenti, atte alla reciproca osservazione. (Utet, 1966, p. 56)
*Fu già osservato mille volte, e debbo notarlo ancora una volta, che le ore che trascorriamo in prospettive di [[felicità]], sono più piacevoli di quelle coronate dal [[godimento]]. Nel primo caso, ci prepariamo il piatto secondo il nostro appetito, nel secondo, la natura ce lo prepara lei. (Utet, 1966, p. 62)
*Si passa presto sopra al disagio che dà la [[coscienza]] quando abbiamo agito male. La coscienza è vigliacca, e raramente è abbastanza giusta, per riconoscere quelle mancanze che non ebbe la forza di impedire. (Utet, 1966, p. 81)
*''L'uomo dal morso guarì, | e fu il [[cane]] che morì.'' {{NDR|[[poesie dai libri|poesia]]}} (1995, p. 109)
*L'uomo non sa quali calamità sono al di là della sua [[sopportazione]] sino a che non le sopporta [...] (Utet, 1966, p. 111)
*A misura che ci avviciniamo, gli oggetti più [[Oscurità|oscuri]] paiono illuminarsi, e l'occhio della mente diviene adatto alla sua tetra situazione. (Utet, 1966, p. 111)
*La buona [[compagnia]] lungo il cammino, dice il proverbio, è la scorciatoia più breve [...]. (Utet, 1966, p. 111)
*Va', figlio mio, e se cadrai, anche se sarai lontano, non seppellito, e non pianto da quelli che ti amano, le lacrime più preziose sono quelle della rugiada mandata dal cielo sulla testa insepolta di un soldato. (Utet, 1966, p. 143)
*[...] la moltitudine delle [[Legge|leggi]] produce nuovi [[Vizio|vizi]], e nuovi vizi provocano nuove restrizioni. (Utet, 1966, p. 179)
*Anche se esaminassimo il mondo intero, non troveremmo nessuno così felice, che non gli resti nulla da desiderare; ma vediamo ogni giorno migliaia di uomini che, suicidandosi, ci mostrano che non hanno nulla da sperare. È ovvio, dunque, che in questa vita non possiamo essere del tutto felici, ma possiamo invece essere del tutto infelici. (Utet, 1966, p. 192)
 
===[[Explicit]]===
Non eravi più cosa oramai ch'io desiderassi al di qua della tomba, poiché tutti gli affanni erano terminati, e la mia consolazione non si poteva con parole narrare. Però non mi restava che di trovare modo onde nella prospera fortuna la gratitudine dell'animo mio superasse la mia passata rassegnazione nell'avversa.
 
{{NDR|Traduzione di Giovanni Berchet}}
 
==Note==
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==Bibliografia==
*Oliviero Goldsmith, ''[https://books.google.it/books?id=dCYvAAAAYAAJ Il Vicario di Wakefield]'', traduzione di Giovanni Berchet, Le Monnier, Firenze, 1864.
*Oliver Goldsmith, ''Il Vicario di Wakefield'' (''The vicar of Wakefield''), a cura di Maria Luisa Cervini, Unione Tipografico-Editrice Torinese, Torino, 1966.
*Oliver Goldsmith, ''[https://books.google.it/books?id=4kr3VOpXFO4C&pg=PA0 Il vicario di Wakefield: una storia che si presume scritta da lui stesso]'', a cura di Enrico Fenzi, traduzione di Barbara Bartoletti, Fazi, Roma, 1995. ISBN 88-8112-008-9.
 
==Altri progetti==