Maurizio Abbatino: differenze tra le versioni

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'''Maurizio Abbatino''' (1954 – vivente), ex collaboratore di giustizia ed ex mafioso italiano.
 
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*Avevamo a disposizione quasi tutti gli avvocati di Roma, medici, dottori, perché no, anche qualche politico. C'è stato un periodo in cui entravamo con le macchine al servizio dello Stato, entravamo sotto al tribunale, scaricavamo pellicce, oggetti d'antiquariato, avevamo un contratto con un capo cancelliere che ci diceva che quei giudici erano corrotti… i processi prendevano la direzione che volevamo noi.<ref>Citato in Pino Rinaldi, ''[https://ilsegnodeltempo.wordpress.com/2005/11/26/194/ Intervista a Maurizio Abbatino]'', ''Chi l'ha visto'', Rai 3, 7 novembre 2005.</ref>
 
*Era accaduto che Giovanni Tigani, la cui attività era quella di scippatore, si era impossessato di un'auto Vw "maggiolone" cabrio, a bordo nella quale Franco Giuseppucci custodiva un "borsone" di armi appartenenti ad Enrico De Pedis. Il Giuseppucci aveva lasciato l'auto, con le chiavi inserite, davanti al cinema "Vittoria", mentre consumava qualcosa al bar. Il Tigani, ignaro di chi fosse il proprietario dell'auto e di cosa essa contenesse, se ne era impossessato. Accortosi però delle armi, si era recato al Trullo e, incontrato qui Emilio Castelletti che già conosceva, gliele aveva vendute, mi sembra per un paio di milioni di lire. L'epoca di questo fatto è di poco successiva ad una scarcerazione di Emilio Castelletti in precedenza detenuto. Franco Giuseppucci, non perse tempo e si mise immediatamente alla ricerca dell'auto e soprattutto delle armi che vi erano custodite e lo stesso giorno, non so se informato proprio dal Tigani, venne a reclamare le armi stesse. Fu questa l'occasione nella quale conoscemmo Franco Giuseppucci il quale si unì a noi che già conoscevamo Enrico De Pedis cui egli faceva capo, che fece si che ci si aggregasse con lo stesso. La "batteria" si costituì tra noi quando ci unimmo, nelle circostanze ora riferite, con Franco Giuseppucci. Di qui ci imponemmo gli obblighi di esclusività e di solidarietà. (dall'interrogatorio di Maurizio Abbatino, 13 dicembre 1992){{c|fonte?}}
 
*Negli anni settanta, nella zona dell'Alberone si riunivano varie "batterie" di rapinatori, provenienti anche dal Testaccio. Ne facevano parte, oltre ad alcune persone che non ricordo, Maurizio Massaria, detto "rospetto", Alfredo De Simone, detto "il secco", i tre "ciccioni", cioè Ettore Maragnoli, Pietro "il pupo", e mi sembra Luciano Gasperini – questi tre, persone particolarmente riconoscibili per la mole corporea, svolgevano più che altro il ruolo di basisti e di ricettatori – Angelo De Angelis, detto "il catena", Massimino De Angelis, Enrico De Pedis, Raffaele Pernasetti, Mariano Castellani, Alessandro D'Ortenzi e Luigi Caracciolo, detto "gigione". Tutti costoro affidavano le armi a Franco Giuseppucci, chiamato allora "il fornaretto", ancora incensurato e che godeva della fiducia di tutti. Questi le custodiva all'interno di una roulotte di sua proprietà che teneva parcheggiata al Gianicolo. All'epoca frequentavo l'ambiente dei rapinatori della Magliana, del Trullo e del Portuense. Nel corso del tempo si erano cementati i rapporti tra me, Giovanni Piconi, Renzo Danesi, Enzo Mastropietro ed Emilio Castelletti, ma non costituivamo quella che in gergo viene chiamata "batteria", cioè un nucleo legato da vincoli di esclusività e solidarietà, in altre parole non ci eravamo ancora imposti l'obbligo di operare esclusivamente tra noi, ne di ripartire i proventi delle operazioni con chi non vi avesse partecipato. In particolare, negli anni precedenti il 1978, ognuna delle suddette persone operava o da sola ovvero aggregata in gruppi più piccoli o diversi. (dall'interrogatorio di Maurizio Abbatino, 13 dicembre 1992) {{c|fonte?}}
 
*Si parla molto della [[Banda della Magliana|banda]] ancora oggi, quando all'epoca c'erano altre organizzazioni come ON o la [[P2]] che ora sembra che stanno nel dimenticatoio. Sembra che la banda della Magliana sia diventata una discarica per tutto quello che non si riesce o non si vuole capire.<ref>Citato in Massimiliano De Santis, Carlo Durante; ''[//www.lastoriasiamonoi.rai.it/puntate/italian-tabloid/843/default.aspx I segreti della Banda della Magliana]'', ''La Storia siamo noi'', puntata n° 843.</ref>
 
*L'omicidio di [[Michele Sindona]] e quello di [[Roberto Calvi]] sono legati al [[Sparizione di Emanuela Orlandi|sequestro Orlandi]]. Se non si risolve il primo non si arriverà mai alla verità sulla fine di Calvi e sulla scomparsa della ragazza. I tre casi sono collegati da un flusso di soldi finiti nelle casse del Vaticano e mai restituiti. [...] {{c!fonte?}}
 
*{{ndr|Su [[Massimo Carminati]]}} Era legatissimo a [[Danilo Abbruciati]] e aveva libero accesso al ministero della Sanità, dove c'era il deposito di armi. Da quegli scantinati [[Massimo Carminati|Carminati]] prese un mitra Mab, con numero di matricola abraso e calcio rifatto artigianalmente. Lo stesso mitra che fu ritrovato nel gennaio del 1981, pochi mesi dopo la [[strage di Bologna]], in una valigetta sul treno Taranto-Milano. Il contenuto di quella valigetta serviva per depistare le indagini sulla strage, per portarle su una pista straniera.<ref>http://roma.repubblica.it/cronaca/2017/04/23/news/la_verita_del_freddo_dalla_magliana_fino_a_mafia_capitale_carminati_c_e_sempre_-163676654/</ref>
 
*Franco disse dov'era il covo delle Brigate Rosse. Comunicò dove avrebbero potuto trovare [[Aldo Moro|Moro]]. Ma l'informazione fu ignorata. Ce lo chiese [di cercarlo, ndr] [[Raffaele Cutolo]] attraverso [[Nicolino Selis]]. Lo cercammo. Franco chiese anche a ''Faccia d'angelo'', quel De Gennaro che fu coinvolto nel sequestro del duca Grazioli. Comunque la prigione era in zona nostra, in via Gradoli. Riportammo la notizia a [[Flaminio Piccoli]], che arrivò da noi mandato da Cutolo. Non partecipai alla discussione, sulle rive del Tevere, andò solo Franco che poi mi riportò la richiesta: trovare la prigione di Aldo Moro. Nient'altro. Nessun intervento da parte della banda. Avremmo solo dovuto comunicare l'indirizzo. Pochi giorni dopo Franco passò l'informazione.
 
*Eravamo noi della Magliana a tenere i rapporti con Raffaele Cutolo, mentre il gruppo di De Pedis era più vicino ai siciliani. Prima a [[Stefano Bontade]] e poi a [[Pippo Calò]]. Con i calabresi - i [['Ndrina Piromalli|Piromalli]] e i [['Ndrina De Stefano|De Stefano]] - c'era una collaborazione ... ma non ricordo rapporti di affari. Ci facilitavano i contatti con persone importanti.
 
*Già con l'arresto di Franco [Giuseppucci, ndr] c'erano stati agganci con medici e direttori sanitari. Silvano Felicioni era un portantino dell'ospedale Sant'Eugenio che amava giocare e puntava parecchio. Oltre a procurarci i farmaci ci dava i nomi di medici compiacenti, che frequentavano bische e ippodromi. Erano tutti medici del San Camillo e del Sant'Eugenio, e molti lavoravano anche nelle carceri. Quando ero detenuto a Rebibbia arrivò un ispettore del ministero, un nome importante, che si interessò per farmi uscire in libertà provvisoria. Quel nome l'ho rivelato agli inquirenti all'inizio della mia collaborazione, ma non ho idea di che fine abbiano fatto quei verbali. Ci sono stati medici che con i nostri soldi si sono comprati case e apparecchiature per le loro cliniche private, e non sono stati condannati. A Regina Coeli c'era ancora più corruzione. Avevo trovato un oculista che riempiva le mie cartelle cliniche tutte le settimane. Scrisse che stavo perdendo progressivamente la vista pur di farmi ottenere la libertà provvisoria ... Altri due medici, i fratelli Scioscia, si fecero intestare un paio di lussuosi appartamenti in via di Vigna Murata.
 
*{{ndr|Su [[Nicolino Selis]]}} Ci fu un errore di valutazione in ordine a quanto accadeva fuori dal carcere da parte di Nicolino Selis. Questi era entrato in contatto con dei siciliani, i quali gli avevano assicurato la fornitura di tre chilogrammi di eroina. Secondo gli accordi, tale fornitura avrebbe dovuto essere ripartita al 50% tra il suo e il nostro gruppo, ma Nicolino ritenne di operare una ripartizione di due chilogrammi per i suoi e di uno per noi e, pertanto, impartì al Toscano istruzioni in tal senso. Si trattò di un passo falso: Edoardo Toscano non attendeva altro. Mi mostrò immediatamente la lettera, fornendo così la prova del "tradimento" del Selis, col quale diventava non più rinviabile il "chiarimento". In altre parole, Nicolino Selis doveva morire. Pensava di dettar legge, di cambiare le nostre regole. Pretendeva che durante i suoi periodi di carcerazione fosse il fratello a sostituirlo, uno inaffidabile, con problemi di dipendenza, e chiedeva una stecca pure per lui. Toscano faceva parte del suo gruppo ma era mio amico, e mi portò immediatamente la lettera con le indicazioni di Selis: si stava montando la testa, era evidente. Mi informarono che non era solo un conoscente di Cutolo, ma che era affiliato addirittura alla camorra, e davanti al dubbio che volesse prendere il comando dell'intera banda, appoggiato da don Raffaele, io e Edoardo decidemmo che doveva morire. Ci fu una riunione e gli altri approvarono.
 
*Abbiamo avuto diversi referenti. Andavo da un onorevole della Democrazia Cristiana, che aveva un ufficio vicino al pantheon, a portare soldi per aggiustare il processo a Marcello Colafigli. Mi chiese anche dei voti. Era stato un alto funzionario della cancelleria di piazzale Clodio a metterci in contatto, lo stesso che, ben pagato, riusciva a indirizzare i fascicoli a un giudice piuttosto che a un altro. Poi c'era anche un faccendiere che mi faceva entrare in tribunale con più facilità di certi avvocati: aveva un Bmw con lo stemma "servizio di Stato". Era legato a Corrado Iacolare.<ref>Iacolare era un camorrista molto amico di [[Claudio Sicilia]], legato a [[Raffaele Cutolo]] e ai servizi segreti come [[Vincenzo Casillo]].</ref> C'erano poliziotti e carabinieri corrotti, avvocati e magistrati. Ricordo che un procuratore una volta ci chiese due motorini per i figli, [...] Ci sono cose che non sono mai state chieste e altre che nessuno voleva che emergessero
 
*{{ndr|Riguardo la morte di Abbruciati}} Quando mi informarono, andai da ''[[Enrico De Pedis|Renatino]]'' e da [[Raffaele Pernasetti]] a chiedere spiegazioni. Volevo sapere perché si fossero mossi senza comunicare la decisione al resto della banda. Non era nelle nostre regole: tutto andava stabilito insieme. ''Renatino'' si giustificò dicendo che Danilo aveva agito anche a loro insaputa, che aveva ricevuto cinquanta milioni di lire per eseguire l'attentato. La spiegazione, ricordo, mi lasciò alquanto perplesso perché, pur essendo avido, Danilo non si sarebbe mai fatto usare come semplice killer.
 
*{{ndr|Su [[Angelo De Angelis]]}} Ero amico di De Angelis, la sua famiglia usciva con la mia, e cercai di rinviare l'esecuzione. Tentai di fargli capire che avevamo notato l'alterazione della cocaina dicendogli che da qualche tempo il Fuentes Cancino non si comportava bene, in modo che la smettesse di appropriarsene. Ero convinto che questo sarebbe bastato per evitare che venisse ucciso, ma Angelo non capì, e la sua eliminazione non poté essere evitata. Era un buon rapinatore. Aveva lavorato con la batteria dell'Alberone insieme a [[Enrico De Pedis|De Pedis]]. Dopo l'arresto di ''Renatino'', la batteria si sciolse e Angelo, che aveva interesse per noi della Magliana, in particolare per me e per [[Edoardo Toscano]], si unì alla nostra attirandosi l'antipatia di quelli del Testaccio. Fu lui a farmi incontrare [[Michele D'Alto]] detto ''Guancialotto''. Mi aiutò a ucciderlo. Era l'estate dell'82, forse luglio, Angelo si fece trovare con D'Alto in un bar del Tufello.[...] Non sospettò neanche per un attimo di essere caduto in trappola. Né poteva immaginare che fossi stato io ad ammazzare il suo amico [[Nicolino Selis]]. Quando arrivammo nel campo, esplosi due colpi contro un albero davanti a me [per testare una pistola, ndr], poi ruotai il braccio verso destra e sparai al petto di D'Alto. Lasciammo lì il corpo e ce ne andammo. Ci hanno messo venticinque anni per processarmi, nonostante avessi confessato.
 
*{{ndr|Sul perché De Pedis avrebbe dovuto prendere Emanuela Orlandi}} Per i soldi che aveva dato a personaggi del Vaticano. Soldi finiti nelle casse dello [[Istituto per le opere di religione|IOR]] e mai restituiti. E non c'erano solo i miliardi dei Testaccini ma pure i soldi della mafia. L'omicidio di [[Michele Sindona]] e quello di [[Roberto Calvi]] sono legati al sequestro Orlandi. Se non si risolve il primo non si arriverà mai alla verità sul presunto suicidio di Calvi e sulla scomparsa della ragazza. Secondo me non fu un ordine [della mafia, ndr] ma una cosa fatta in accordo. So dei rapporti di ''Renatino'' con monsignor [[Agostino Casaroli|Casaroli]]. Posso confermare i rapporti della banda con il Vaticano. Ma non ho mai conosciuto don Vergari. Può anche aver fatto beneficenza ma sicuramente non era cattolico, Renato era buddhista. I rapporti tra Vaticano e banda della Magliana risalgono a quegli anni lì [almeno al 1976, ndr]. E si devono alle amicizie di [[Franco Giuseppucci|Franco]]. C'era un ragazzo omosessuale, si chiamava Nando. Fu lui a portare Franco da Casaroli. Di Casaroli si sapeva. Giuseppucci lo conosceva. E so che poi questa amicizia fu "ereditata" da ''Renatino''. ''Renato'' l'ha ammazzato [[Marcello Colafigli|Marcello]] ma, se ci fossi stato, lo avrei fatto io. Sapeva tante cose. Così come [[Franco Giuseppucci]] e [[Danilo Abbruciati]]. Sono stati eliminati da chi non voleva (e non vuole ancora) testimoni. Quando ero detenuto a Villa Gina, [[Giorgio Paradisi]], passato coi Testaccini, mi fece sapere che stavano organizzando la mia evasione. Avevano fatto lo stesso giochetto con [[Edoardo Toscano]], che dall'aula bunker mandò fuori [[Vittorio Carnovale]] ... Da quella clinica sono uscito con le mie gambe e con l'aiuto di mio fratello. Forse chi aveva agevolato la morte di Franco, di Danilo e di Renato avrebbe voluto fare la stessa cosa con me. Dopo l'omicidio di ''Renatino'' girò la voce che ero io uno dei killer arrivati in via Pellegrino. Che ero io a guidare la moto. Puntavano a farmi fuori, ovvio. Volevano che i Testaccini mi cercassero.
 
*A Roma si era aperta una caccia all'uomo mai vista. Mi cercavano ovunque. Falsificai un passaporto sottratto a un amico di mio fratello e passai il confine con la Svizzera. Poi da Ginevra mi imbarcai su un volo per Rio de Janeiro.
 
*{{ndr|Riguardo al suo arresto}} Nella mano sinistra avevo un sacchetto pieno di frutta appena acquistato al mercato. Carolina, la mia compagna venezuelana, era in casa. Non ci furono domande. Mi circondarono senza darmi il tempo di estrarre dalla cinta la pistola. [...] Rimasi per cinque giorni in una cella della questura centrale, guardato a vista. So che l'arma che mi sequestrarono al momento dell'arresto fu restituita alla mia compagna. Senza l'accusa di porto abusivo d'armi, per loro sarebbe stato più facile ottenere l'estradizione. Un giorno si presentò in carcere l'avvocato Luigi Mele e mi riferì che [[Enzo Mastropietro]], [[Giovanni Piconi]] e [[Renzo Danesi]] avevano messo a disposizione il denaro per far fronte alle spese legali. Mi chiese se era mia intenzione tornare in Italia o se, in alternativa, preferissi restare in Venezuela o essere estradato in altro paese, tipo il Messico. Mi fece anche capire che l'interessamento degli amici era dovuto al fatto che girava voce che io stessi collaborando. Non ci pensavo neanche ... volevo solo scappare. Uno strano piano di fuga mi fu proposto da un detenuto spagnolo quando ero nel carcere La Planta di Caracas. Mi avvicinò e mi disse di un tunnel scavato tempo prima, ancora intatto. Che da lì si poteva scappare con la complicità di una guardia. Sapevo chi ero. E questo mi mise in allarme. Come la sua decisione di non evadere con me. Il piano non mi convinse. Giorni dopo fui trasferito.
 
==Note==