Maurizio Abbatino: differenze tra le versioni

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*Si parla molto della [[Banda della Magliana|banda]] ancora oggi, quando all'epoca c'erano altre organizzazioni come ON o la [[P2]] che ora sembra che stanno nel dimenticatoio. Sembra che la banda della Magliana sia diventata una discarica per tutto quello che non si riesce o non si vuole capire.<ref>Citato in Massimiliano De Santis, Carlo Durante; ''[//www.lastoriasiamonoi.rai.it/puntate/italian-tabloid/843/default.aspx I segreti della Banda della Magliana]'', ''La Storia siamo noi'', puntata n° 843.</ref>
 
*L'omicidio di [[Michele Sindona]] e quello di [[Roberto Calvi]] sono legati al [[Sparizione di Emanuela Orlandi|sequestro Orlandi]]. Se non si risolve il primo non si arriverà mai alla verità sulla fine di Calvi e sulla scomparsa della ragazza. I tre casi sono collegati da un flusso di soldi finiti nelle casse del Vaticano e mai restituiti. [...]

*{{ndr|Su [[Massimo Carminati]]}} Era legatissimo a [[Danilo Abbruciati]] e aveva libero accesso al ministero della Sanità, dove c'era il deposito di armi. Da quegli scantinati [[Massimo Carminati|Carminati]] prese un mitra Mab, con numero di matricola abraso e calcio rifatto artigianalmente. Lo stesso mitra che fu ritrovato nel gennaio del 1981, pochi mesi dopo la [[strage di Bologna]], in una valigetta sul treno Taranto-Milano. Il contenuto di quella valigetta serviva per depistare le indagini sulla strage, per portarle su una pista straniera.<ref>http://roma.repubblica.it/cronaca/2017/04/23/news/la_verita_del_freddo_dalla_magliana_fino_a_mafia_capitale_carminati_c_e_sempre_-163676654/</ref>
 
*Franco disse dov'era il covo delle Brigate Rosse. Comunicò dove avrebbero potuto trovare [[Aldo Moro|Moro]]. Ma l'informazione fu ignorata. Ce lo chiese [di cercarlo, ndr] [[Raffaele Cutolo]] attraverso [[Nicolino Selis]]. Lo cercammo. Franco chiese anche a ''Faccia d'angelo'', quel De Gennaro che fu coinvolto nel sequestro del duca Grazioli. Comunque la prigione era in zona nostra, in via Gradoli. Riportammo la notizia a [[Flaminio Piccoli]], che arrivò da noi mandato da Cutolo. Non partecipai alla discussione, sulle rive del Tevere, andò solo Franco che poi mi riportò la richiesta: trovare la prigione di Aldo Moro. Nient'altro. Nessun intervento da parte della banda. Avremmo solo dovuto comunicare l'indirizzo. Pochi giorni dopo Franco passò l'informazione.
 
*Eravamo noi della Magliana a tenere i rapporti con Raffaele Cutolo, mentre il gruppo di De Pedis era più vicino ai siciliani. Prima a [[Stefano Bontade]] e poi a [[Pippo Calò]]. Con i calabresi - i [['Ndrina Piromalli|Piromalli]] e i [['Ndrina De Stefano|De Stefano]] - c'era una collaborazione ... ma non ricordo rapporti di affari. Ci facilitavano i contatti con persone importanti.
 
*Già con l'arresto di Franco [Giuseppucci, ndr] c'erano stati agganci con medici e direttori sanitari. Silvano Felicioni era un portantino dell'ospedale Sant'Eugenio che amava giocare e puntava parecchio. Oltre a procurarci i farmaci ci dava i nomi di medici compiacenti, che frequentavano bische e ippodromi. Erano tutti medici del San Camillo e del Sant'Eugenio, e molti lavoravano anche nelle carceri. Quando ero detenuto a Rebibbia arrivò un ispettore del ministero, un nome importante, che si interessò per farmi uscire in libertà provvisoria. Quel nome l'ho rivelato agli inquirenti all'inizio della mia collaborazione, ma non ho idea di che fine abbiano fatto quei verbali. Ci sono stati medici che con i nostri soldi si sono comprati case e apparecchiature per le loro cliniche private, e non sono stati condannati. A Regina Coeli c'era ancora più corruzione. Avevo trovato un oculista che riempiva le mie cartelle cliniche tutte le settimane. Scrisse che stavo perdendo progressivamente la vista pur di farmi ottenere la libertà provvisoria ... Altri due medici, i fratelli Scioscia, si fecero intestare un paio di lussuosi appartamenti in via di Vigna Murata.
 
*{{ndr|Su [[Nicolino Selis]]}} Ci fu un errore di valutazione in ordine a quanto accadeva fuori dal carcere da parte di Nicolino Selis. Questi era entrato in contatto con dei siciliani, i quali gli avevano assicurato la fornitura di tre chilogrammi di eroina. Secondo gli accordi, tale fornitura avrebbe dovuto essere ripartita al 50% tra il suo e il nostro gruppo, ma Nicolino ritenne di operare una ripartizione di due chilogrammi per i suoi e di uno per noi e, pertanto, impartì al Toscano istruzioni in tal senso. Si trattò di un passo falso: Edoardo Toscano non attendeva altro. Mi mostrò immediatamente la lettera, fornendo così la prova del "tradimento" del Selis, col quale diventava non più rinviabile il "chiarimento". In altre parole, Nicolino Selis doveva morire. Pensava di dettar legge, di cambiare le nostre regole. Pretendeva che durante i suoi periodi di carcerazione fosse il fratello a sostituirlo, uno inaffidabile, con problemi di dipendenza, e chiedeva una stecca pure per lui. Toscano faceva parte del suo gruppo ma era mio amico, e mi portò immediatamente la lettera con le indicazioni di Selis: si stava montando la testa, era evidente. Mi informarono che non era solo un conoscente di Cutolo, ma che era affiliato addirittura alla camorra, e davanti al dubbio che volesse prendere il comando dell'intera banda, appoggiato da don Raffaele, io e Edoardo decidemmo che doveva morire. Ci fu una riunione e gli altri approvarono.
 
*Abbiamo avuto diversi referenti. Andavo da un onorevole della Democrazia Cristiana, che aveva un ufficio vicino al pantheon, a portare soldi per aggiustare il processo a Marcello Colafigli. Mi chiese anche dei voti. Era stato un alto funzionario della cancelleria di piazzale Clodio a metterci in contatto, lo stesso che, ben pagato, riusciva a indirizzare i fascicoli a un giudice piuttosto che a un altro. Poi c'era anche un faccendiere che mi faceva entrare in tribunale con più facilità di certi avvocati: aveva un Bmw con lo stemma "servizio di Stato". Era legato a Corrado Iacolare.<ref>Iacolare era un camorrista molto amico di [[Claudio Sicilia]], legato a [[Raffaele Cutolo]] e ai servizi segreti come [[Vincenzo Casillo]].</ref> C'erano poliziotti e carabinieri corrotti, avvocati e magistrati. Ricordo che un procuratore una volta ci chiese due motorini per i figli, [...] Ci sono cose che non sono mai state chieste e altre che nessuno voleva che emergessero
 
*{{ndr|Riguardo la morte di Abbruciati}} Quando mi informarono, andai da ''[[Enrico De Pedis|Renatino]]'' e da [[Raffaele Pernasetti]] a chiedere spiegazioni. Volevo sapere perché si fossero mossi senza comunicare la decisione al resto della banda. Non era nelle nostre regole: tutto andava stabilito insieme. ''Renatino'' si giustificò dicendo che Danilo aveva agito anche a loro insaputa, che aveva ricevuto cinquanta milioni di lire per eseguire l'attentato. La spiegazione, ricordo, mi lasciò alquanto perplesso perché, pur essendo avido, Danilo non si sarebbe mai fatto usare come semplice killer.
 
*{{ndr|Su [[Angelo De Angelis]]}} Ero amico di De Angelis, la sua famiglia usciva con la mia, e cercai di rinviare l'esecuzione. Tentai di fargli capire che avevamo notato l'alterazione della cocaina dicendogli che da qualche tempo il Fuentes Cancino non si comportava bene, in modo che la smettesse di appropriarsene. Ero convinto che questo sarebbe bastato per evitare che venisse ucciso, ma Angelo non capì, e la sua eliminazione non poté essere evitata. Era un buon rapinatore. Aveva lavorato con la batteria dell'Alberone insieme a [[Enrico De Pedis|De Pedis]]. Dopo l'arresto di ''Renatino'', la batteria si sciolse e Angelo, che aveva interesse per noi della Magliana, in particolare per me e per [[Edoardo Toscano]], si unì alla nostra attirandosi l'antipatia di quelli del Testaccio. Fu lui a farmi incontrare [[Michele D'Alto]] detto ''Guancialotto''. Mi aiutò a ucciderlo. Era l'estate dell'82, forse luglio, Angelo si fece trovare con D'Alto in un bar del Tufello.[...] Non sospettò neanche per un attimo di essere caduto in trappola. Né poteva immaginare che fossi stato io ad ammazzare il suo amico [[Nicolino Selis]]. Quando arrivammo nel campo, esplosi due colpi contro un albero davanti a me [per testare una pistola, ndr], poi ruotai il braccio verso destra e sparai al petto di D'Alto. Lasciammo lì il corpo e ce ne andammo. Ci hanno messo venticinque anni per processarmi, nonostante avessi confessato.
 
*In carcere stavo andando fuori di testa. Mi dissero di un detenuto che stava male, con i linfonodi ingrossati. Non sapevo di cosa si trattasse ma mi iniettai una siringa del suo sangue.<ref name= "ver">[https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2017/04/23/la-verita-del-freddo-dalla-magliana-fino-a-mafia-sempre19.html La verità del Freddo] </ref> Al Sant'Eugenio pagai cinquanta milioni di lire per avere un vetrino di cellule tumorali e una diagnosi di malato oncologico terminale, e per rendere più credibile la finta malattia accettai di sottopormi a un ciclo di chemioterapia. Era stato Franco a farmeli conoscere [gli Spallone, proprietari della casa di cura Villa Gina, ndr], andavano in giro con una Lancia blindata che poi vendettero a De Pedis. [...] Nell'ultima carcerazione mi rivolsi a loro. Avevo avuto gli arresti domiciliari in una clinica, non a casa, dissi che avrebbero dovuto solo confermare la diagnosi del tumore dell'ospedale. Si intascarono per questo un centinaio di milioni. Rimasi nella loro clinica all'Eur fino all'evasione.<ref> Nessun componente della famiglia Spallone risulterà indagato per aver favorito Abbatino o altri. </ref> A Villa Gina portai avanti per mesi la sceneggiata del malato terminale, paralizzato dalla vita in giù. Mi spostavo su una sedia a rotelle sotto gli occhi dei tre carabinieri che mi piantonavano. I miei rapporti con la banda erano sempre più freddi, sia per l'atteggiamento di Marcellone [ [[Marcello Colafigli|Colafigli]], ndr] sia per il fatto che molti degli associati erano detenuti e con loro non avevo contatti. Solo nell'ultimo periodo, a Villa Gina, riuscii a parlare un paio di volte con [[Claudio Sicilia]], che mi raccontò quello che stava avvenendo all'esterno. [...] La rabbia per i miei compagni che avevo sempre messo al primo posto e che pure dubitavano di me ... Mi immaginavo in una stanza a cinque stelle e con una vestaglia di seta, ma non era così. Già dall'epoca del mio ricovero agli arresti domiciliari presso Villa Gina, avevo constatato il totale raffreddamento dei rapporti con gli altri componenti della banda; raffreddamento che si era tradotto nella cessazione dell'assistenza economica sia a me che alla famiglia subito dopo il nuovo provvedimento di cattura. In conseguenza del fatto che non potevo avere contatti con l'esterno mi trovai completamente isolato dal resto della banda e quindi impossibilitato a spiegare le ragioni per le quali era opportuno che io restassi in clinica sino a che non fosse intervenuto un provvedimento di scarcerazione, chiarendo l'equivoco per il quale sarebbe stata una soluzione opportunistica quella di non evadere. Ovviamente, attesa la gravità dei reati dei quali dovevo rispondere e per i quali mi trovavo detenuto, era impensabile che potessi restare a Roma una volta fuggito. Pertanto non ritenni di riprendere contatti con i componenti della banda che in quel momento si trovavano in libertà, ma preferii farmi aiutare da mio fratello Roberto, il quale avrebbe dovuto, per come fece, trovarsi nei pressi della clinica con un'autovettura. Il personale addetto alla sorveglianza non fu da me corrotto. Mi limitai ad approfittare della loro buona fede, in quanto, convinti che io fossi veramente malato e paralizzato come davo a credere, durante la notte si limitavano a controllare che io fossi a letto e non stazionavano nella stanza. Alle quattro di notte, dopo aver messo nel letto un cestino e un cuscino che dessero l'impressione che qualcuno vi dormisse, scavalcai la finestra della mia camera posta al primo piano, e con un lenzuolo mi calai nel cortile, scavalcai la bassa inferriata di recinzione e con una certa difficoltà, considerato il lungo periodo di degenza, durante il quale ero stato sempre attento a non fare movimenti con le gambe, affinché non venisse scoperta la mia simulazione, raggiunsi l'auto nella quale mi aspettava mio fratello. Voglio aggiungere che della paralisi dei miei arti si erano convinti anche i componenti della banda, i quali anche per questo, ritenendomi ormai finito, avevano smesso di darmi assistenza economica.
 
*{{ndr|Sul perché De Pedis avrebbe dovuto prendere Emanuela Orlandi}} Per i soldi che aveva dato a personaggi del Vaticano. Soldi finiti nelle casse dello [[Istituto per le opere di religione|IOR]] e mai restituiti. E non c'erano solo i miliardi dei Testaccini ma pure i soldi della mafia. L'omicidio di [[Michele Sindona]] e quello di [[Roberto Calvi]] sono legati al sequestro Orlandi. Se non si risolve il primo non si arriverà mai alla verità sul presunto suicidio di Calvi e sulla scomparsa della ragazza. Secondo me non fu un ordine [della mafia, ndr] ma una cosa fatta in accordo. So dei rapporti di ''Renatino'' con monsignor [[Agostino Casaroli|Casaroli]]. Posso confermare i rapporti della banda con il Vaticano. Ma non ho mai conosciuto don Vergari. Può anche aver fatto beneficenza ma sicuramente non era cattolico, Renato era buddhista. I rapporti tra Vaticano e banda della Magliana risalgono a quegli anni lì [almeno al 1976, ndr]. E si devono alle amicizie di [[Franco Giuseppucci|Franco]]. C'era un ragazzo omosessuale, si chiamava Nando. Fu lui a portare Franco da Casaroli. Di Casaroli si sapeva. Giuseppucci lo conosceva. E so che poi questa amicizia fu "ereditata" da ''Renatino''. ''Renato'' l'ha ammazzato [[Marcello Colafigli|Marcello]] ma, se ci fossi stato, lo avrei fatto io. Sapeva tante cose. Così come [[Franco Giuseppucci]] e [[Danilo Abbruciati]]. Sono stati eliminati da chi non voleva (e non vuole ancora) testimoni. Quando ero detenuto a Villa Gina, [[Giorgio Paradisi]], passato coi Testaccini, mi fece sapere che stavano organizzando la mia evasione. Avevano fatto lo stesso giochetto con [[Edoardo Toscano]], che dall'aula bunker mandò fuori [[Vittorio Carnovale]] ... Da quella clinica sono uscito con le mie gambe e con l'aiuto di mio fratello. Forse chi aveva agevolato la morte di Franco, di Danilo e di Renato avrebbe voluto fare la stessa cosa con me. Dopo l'omicidio di ''Renatino'' girò la voce che ero io uno dei killer arrivati in via Pellegrino. Che ero io a guidare la moto. Puntavano a farmi fuori, ovvio. Volevano che i Testaccini mi cercassero.
 
*A Roma si era aperta una caccia all'uomo mai vista. Mi cercavano ovunque. Falsificai un passaporto sottratto a un amico di mio fratello e passai il confine con la Svizzera. Poi da Ginevra mi imbarcai su un volo per Rio de Janeiro.
 
*{{ndr|Riguardo al suo arresto}} Nella mano sinistra avevo un sacchetto pieno di frutta appena acquistato al mercato. Carolina, la mia compagna venezuelana, era in casa. Non ci furono domande. Mi circondarono senza darmi il tempo di estrarre dalla cinta la pistola. [...] Rimasi per cinque giorni in una cella della questura centrale, guardato a vista. So che l'arma che mi sequestrarono al momento dell'arresto fu restituita alla mia compagna. Senza l'accusa di porto abusivo d'armi, per loro sarebbe stato più facile ottenere l'estradizione. Un giorno si presentò in carcere l'avvocato Luigi Mele e mi riferì che [[Enzo Mastropietro]], [[Giovanni Piconi]] e [[Renzo Danesi]] avevano messo a disposizione il denaro per far fronte alle spese legali. Mi chiese se era mia intenzione tornare in Italia o se, in alternativa, preferissi restare in Venezuela o essere estradato in altro paese, tipo il Messico. Mi fece anche capire che l'interessamento degli amici era dovuto al fatto che girava voce che io stessi collaborando. Non ci pensavo neanche ... volevo solo scappare. Uno strano piano di fuga mi fu proposto da un detenuto spagnolo quando ero nel carcere La Planta di Caracas. Mi avvicinò e mi disse di un tunnel scavato tempo prima, ancora intatto. Che da lì si poteva scappare con la complicità di una guardia. Sapevo chi ero. E questo mi mise in allarme. Come la sua decisione di non evadere con me. Il piano non mi convinse. Giorni dopo fui trasferito.
 
*{{ndr|Su Massimo Carminati}} Cacciarmi fuori dal programma è stato un messaggio agli imputati di quel processo. Hanno fermato chi voleva collaborare. E' stata una sorta di invito a tacere, rivolto forse anche allo stesso Carminati. lui non avrà l'associazione mafiosa, e la farà franca anche con Mafia Capitale. Sconterà gli anni concordati. Pochi. Ha negato i suoi rapporti con noi della Magliana, "quelli che spacciavano droga" ci ha definito. Lui invece è più onesto: ha fatto i soldi con gli immigrati. C'era anche lui nel tentato omicidio Parente-Marchesi .<ref>La sera del 19 settembre [[1980]], Maurizio Abbatino, [[Paolo Frau]], [[Edoardo Toscano]] e [[Marcello Colafigli]], appostati davanti ad una villa tra Ostia e Castelfusano abitualmente frequentata da Enrico Proietti detto ''er Cane'' fecero fuoco contro una macchina a bordo della quale c'erano Pierluigi Parente, avvocato ventottenne e figlio di un industriale, e la sua fidanzata Nicoletta Marchesi, completamente estranei al clan Proietti. Il ragazzo fece in tempo a darsi alla fuga, mentre la sua fidanzata rimase gravemente ferita. Il pentito Abbatino farà anche il nome di Carminati come membro del commando di quella sera; il ''nero'' però durante un confronto in aula smentirà di essere stato presente poiché sarebbe stato ricoverato all'[[Policlinico militare Celio|Ospedale militare Celio]].</ref> Era in macchina con me. Eppure è stato assolto, con un alibi tirato fuori a distanza di anni grazie alle amicizie che avevamo all'[[Policlinico militare Celio|ospedale militare del Celio]]. Da quando è stato imputato nel processo per l'omicidio Pecorelli, Carminati è sempre stato tutelato. Qualche scemo sarebbe disposto ad uccidermi solo per prestigio criminale. Massimo Carminati, ma non solo lui [mi vuole morto, ndr]. Nel corso del tempo ho ricevuto molti segnali. Carminati sicuramente è uno di quelli, poi ci sono gli apparati deviati. Era freddo, lucido. Il più freddo e lucido di noi. E quello con più potere di attrazione. A ogni assoluzione il potere di Carminati è cresciuto. Ha avuto la fortuna di godere di protezioni dall'alto e di essere imputato nell'omicidio del giornalista Mino Pecorelli insieme a Giulio Andreotti. Non ero più protetto. E poi avevano ammazzato mio fratello, lo avrebbero fatto anche con me. Lo faranno, visto che lo Stato mi ha lasciato senza protezione. E le parla uno che ha un senso di rispetto per la giustizia. Ho collaborato proprio perché non avvenisse più niente di tutto quello che fu. Roma era il Far West. A un certo punto [nella collaborazione, ndr] mi sono fermato fino al punto in cui avevo le prove. Oltre non sono andato. Non potevo. Ma la storia della banda della Magliana è molto più complessa. E c'entra molto di più con la P2 rispetto a quanto è emerso. Lei tenga conto che ogni tanto il generale Santovito, l'ex capo del Sismi, mi faceva arrivare i saluti. Io non l'avevo neanche mai conosciuto. A un certo punto non so se per la nostra capacità di uccidere e il controllo del territorio, ma eravamo rispettati dai poteri deviati e da una certa politica, allora molto influente. E se Mafia Capitale, come è stata ribattezzata, è emersa quando ormai tutti sapevano e non potevano fare a meno che esplodesse lo scandalo, qualcuno li aveva coperti. Carminati sapeva benissimo che lo avrebbero arrestato.<ref>[https://www.ilgiornale.it/news/cronache/carminati-ci-vuole-morti-noi-potremmo-aiutare-i-servizi-cont-1207447.html "Carminati ci vuole morto" ] </ref> L'avvocato di Carminati ha messo in discussione le mie dichiarazioni e quelle di altri collaboratori parlando di "pentiti coccolati dalla procura". In realtà Carminati non mi ha mai querelato perché sa bene che ho detto la verità. Il Cecato ha svuotato cassette di sicurezza di magistrati e avvocati: io ho fatto la scelta di collaborare, lui quella di ricattare. Chi di noi è il più infame? Non è solo per quello che ho detto che sono un bersaglio. Ma per tutte le cose che so e che non ho raccontato perché impossibili da dimostrare. Carminati l'ha sempre fatta franca e anche questa volta finirà che lo grazieranno e sconterà solo qualche anno. Ha negato i suoi rapporti con noi della Magliana, ci ha chiamato "quelli che spacciavano droga".
 
==Note==