Adrienne von Speyr: differenze tra le versioni

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*Di tanto in tanto io ripetevo a me stessa: è troppo triste, non può esser vero, cesserà. Ma non cessò; il dolore si annidava invece che cessare, deformava ogni cosa, riempiva ogni spazio. (p. 138)
*A poco a poco venne su di me una grande chiarezza. Non ci si poteva mai [[Suicidio|uccidere]]; la vita era degna di essere vissuta, perché ''Lui'' l'aveva donata. Ed essendo degna di essere vissuta, era anche giusto che venisse offerta diversamente da una cosa di cui non si ha più semplicemente voglia. (p. 144)
*Questa cugina {{NDR|[[Charlotte Olivier]]}} era di origine russa, molto vivace, parlava con insolita rapidità e con un forte accento. Mi dava spiegazioni sulla mia malattia e sul suo trattamento, che sarebbe stato lungo. Lei mi era estremamente estranea, ma attraverso tutta l'estraneità intravvedevointravedevo la sua grande bontà. (p. 147)
*E io sentivo che non era spiacevole essere trattati come una creatura preziosa, unica, perché appartenevo a Dio. (pp. 155–156)
*I Forel erano soprattutto [[Oscar Forel]], il giovane psichiatra, vivace, musicale e infinitamente indulgente con il giovane essere che io ero allora. [...] lui mi leggeva qualcosa, parlava di psicologia, spiegava il carattere dei suoi figli, sollevava problemi psichiatrici e suonava il violino. Talvolta la sera andavamo giù a Mòsli, alla casa delle donne anziane di cui egli aveva la cura. Ci sedevamo là vicino sull'erba e lui suonava: per le malate? per noi? per se stesso? Chi può mai saperlo? Ma suonava bene, e questa specie di romanticismo non mancava di far impressione su di me. (p. 156)
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*Benché la [[verità]] sia razionale, obiettiva e anche assoluta, non la si può mai pensare come separabile dalla [[Grazia divina|grazia]]. Essa rimane un dono della grazia che non ci viene affidato mai una volta per tutte, ma si effonde sempre in modo nuovo come dono duraturo. (p. 86)
*La luce riguardante Dio viene da Dio. (p. 86)
*Noi non riusciamo a intravvedereintravedere in anticipo dalle [[Promessa|promesse]] come saranno gli adempimenti. Solo dal compimento si può scoprire il senso proprio della promessa. (p. 86)
*La grazia ci inonda: ciò costituisce la sua essenza. Essa non chiarisce punto per punto, ma irradia la sua luce come il sole. L'uomo su cui Dio prodiga se stesso dovrebbe esser preso da vertigini così da poter vedere solo la luce di Dio e non più la propria debolezza. Dovrebbe rinunciare ad ogni equilibrio, ad un dialogo tra sé e Dio come due ''partners'', essere un semplice ricevitore con le braccia aperte che non riescono ad afferrare, poiché la luce scorre su tutti e rimane inafferrabile e rappresenta molto di più di quanto possa accogliere il singolo. (pp. 87–88)
*Ogni [[parola]] partecipa della infinità di Dio e [...] egli la può rendere accessibile in modo che le nostre parole la possano comunicare. (p. 88)
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===[[Rino Fisichella]]===
*Adrienne von Speyr si presentò agli occhi di Balthasar come [...] una donna che facilmente spingeva, per un suo carisma [...], ad intravvedereintravedere le linee del paradosso e del dramma nascosto nel mistero dell'incarnazione di Dio.
*Ciò che permette alla von Speyr di accedere nel numero delle profetesse, comunque, è quello che costituisce, a nostro avviso, l'intuizione più originale del mistero del Sabato santo: «il più grande regalo teologico che Adrienne von Speyr ha ricevuto da Dio e lasciato in eredità alla Chiesa», per usare l'espressione di von Balthasar.<ref>{{Cfr}} ''[[Hans Urs von Balthasar#La vita, la missione teologica e l'opera di Adrienne von Speyr|La vita, la missione teologica e l'opera di Adrienne von Speyr]]'', p. 39.</ref> [...] Dovremmo attraversare l'intera teologia neotestamentaria, da [[Giovanni apostolo ed evangelista|Giovanni]] a [[Paolo di Tarso|Paolo]], da [[Lettera agli Ebrei|Ebrei]] ad [[Apocalisse di Giovanni|Apocalisse]] per riconoscere il fondamento dell'intuizione di Adrienne. Il Figlio di Dio incarnato esprime l'essenza della vita intratrinitaria di totale accoglienza della volontà del Padre.
*La significatività dell'opera di Adrienne, a nostro avviso, consiste appunto in questa capacità ad aver posto al centro di ogni cosa il mistero della Trinità e della rivelazione di Dio non come un fatto comune per la vita della Chiesa e del credente, ma come evento fondativo e primario. La perenne menzione dell'obbedienza del Figlio, la sua vita compresa come pura missione alla volontà del Padre, la sua discesa agli inferi come momento estremo della salvezza che raggiunge il peccato «oggettivo» e lo distrugge per risalire nella gloria del Padre, sono i temi che caratterizzano questa profezia; nessuna teologia, quindi, che voglia essere produttiva ed efficace per l'oggi può pensare di relegarli in spazi marginali. Qualunque potrà essere il giudizio sulla von Speyr, queste sue intuizioni [...] rimangono come una ricchezza per l'intelligenza della fede e segnano il passaggio necessario per il recupero dell'unità inscindibile tra teologia e spiritualità.