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*O Dei, allontanate dalla terra un tale flagello! (III, 620)
:''Dî, talem terris avertite pestem!''
*''Quinci partito allor che da vicino | Scorgerai la Sicilia, e di Peloro | Ti si discovrerà l'angusta foce, | Tienti a sinistra, e del sinistro mare | Solca pur via quanto a di lungo intorno | Gira l'isola tutta, e da la destra | Fuggi la terra e l'onde. È fama antica | Che di questi or due disgiunti lochi | Erano in prima uno solo, che per forza | Di tempo di tempeste e di ruine | (Tanto a cangiar queste terrene cose | Può de' secoli il corso), un dismembrato | Fu poi da l'altro. Il mar fra mezzo entrando | Tanto urtò, tanto ròse, che l'esperio | Dal sicolo terreno alfin divise: | E i campi e le città, che in su le rive | Restaro, angusto freto or bagna e sparte. | Nel destro lato è Scilla; nel sinistro | è l'ingorda Cariddi.'' ({{Source|Eneide (Caro)/Libro terzo|658|III, 658-675}})
*{{NDR|Su Polifemo}} Orribile mostro. (III, 658)
:''Monstrum horrendum''.
*''Nel destro lato è [[Scilla]]; nel sinistro | È l’ingordal'ingorda [[Cariddi]]. Una vorago | D’unD'un gran baratro è questa, che tre volte | I vasti flutti rigirando assorbe, | E tre volte a vicenda li ributta | Con immenso bollor fino a le stelle. | Scilla dentro a le sue buie caverne | Stassene insidïando; e con le bocche | De’De' suoi mostri voraci, che distese | Tien mai sempre ed aperte, i naviganti | Entro al suo speco a sè tragge e trangugia. | Dal mezzo in su la faccia, il collo e ’l'l petto | Ha di donna e di vergine; il restante, | D’unaD'una pistrice immane, che simíli | A’A' delfini ha le code, ai lupi il ventre. | Meglio è con lungo indugio e lunga volta | Girar Pachino e la Trinacria tutta, | Che, non ch’altroch'altro, veder quell’antroquell'antro orrendo, | Sentir quegli urli spaventosi e fieri | Di quei cerulei suoi rabbiosi cani.'' ({{Source|Eneide (Caro)/Libro terzo|675|III, 675-694}})
*''Ma sì d’d'[[Etna]] vicino, che i suoi tuoni | E le sue spaventevoli ruine | Lo tempestano ognora. Esce talvolta | Da questo monte a l’aural'aura un’atraun'atra nube | Mista di nero fumo e di roventi | Faville, che di cenere e di pece | Fan turbi e groppi, ed ondeggiando a scosse | Vibrano ad ora ad or lucide fiamme | Che van lambendo a scolorir le stelle; | E talvolta, le sue viscere stesse | Da sè divelte, immani sassi e scogli | Liquefatti e combusti al ciel vomendo | In fin dal fondo romoreggia e bolle.'' ({{Source|Eneide (Caro)/Libro terzo|897|III, 897-909}})
*''Giace de la Sicania al golfo avanti | un'isoletta che a Plemmirio ondoso | è posta incontro, e dagli antichi è detta | per nome [[Isola di Ortigia|Ortigia]]. A quest'isola è fama | che per vie sotto al mare il greco Alfeo | vien da Dòride intatto, infin d'Arcadia | per bocca d'Aretusa a mescolarsi | con l'onde di [[Sicilia]].'' ({{Source|Eneide (Caro)/Libro terzo|1093|III, 1093-1100}})
;Libro IV
*Conosco i segni dell'antica fiamma<ref>Traduzione di [[Annibal Caro]]; con queste parole Didone confessa alla sorella il suo amore per Enea.</ref>. (IV, 23)