Adolfo Venturi (storico dell'arte): differenze tra le versioni

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====''La pittura del Trecento e le sue origini''====
*Abbiamo veduto così, tra i maestri che dipinsero le tavole del {{sic|Dugento}}<ref>Toscanismo per Duecento.</ref>, il Berlinghieri ligio a forme antiquate, Margaritone disfatto, Giunta grossolano, [[Coppo di Marcovaldo]] imitatore garbato de' Bizantini, Guido da Siena stampatore di Madonne, ecc. Tuttavia dagli uni agli altri le forme si vanno elaborando e digrossando, finché Cimabue irrompe con la sua passione tra gli stanchi fantasmi dell'arte romanica, e sopraggiungono Pietro Cavallini, a ridare romana forza ad Apostoli e Santi, Duccio di {{sic|Boninsegna}}, a coronare le tradizioni bizantine; Giotto a creare il damma sacro, la divina Commedia. (vol. 5V, pp. 121-122)
*Nel 1291, quando [[Pietro Cavallini]] lavorava i {{sic|musaici}} di Santa Maria in Trastevere, un gran progresso dovette essere avvenuto nella sua maniera, [...]. Non si vedono più figure piatte su fondi d'oro, ma scene aventi rilievo e gareggianti con la pittura, vesti a colori schiariti e svaniti nelle parti avvivate da bianche luci, intensi gradatamente nelle ombre. L'oro, non steso più ne' manti come su lastre metalliche, s'intesse ne' broccati e nelle tele, trae dalle penne del pavone il suo splendore per raggiare nell'ala dell'angiolo dell'''Annunciazione'', filetta i contorni, sparge di moschette o alluciola i panni per mettere all'unisono il fondo con le figure sovrapposte, che sembrano intagliate nelle onici o nelle gemme. (vol. 5V, pp. 141-143)
*Nonostante le affinità che si devono riconoscere tra i due maestri, [[Cimabue]] è più plastico, poderoso e massiccio, il Cavallini più grandioso e monumentale; Cimabue modella con insistenza le figure, come se dovesse formarle nel bronzo, il Cavallini dà loro slancio potente; Cimabue elabora tipi bizantini rendendoli grifagni, Cavallini è più libero dalla convenzione bizantina e più classico; Cimabue prepara gl'intonachi con una tinta nerastra, il Cavallini di rosso. (vol. 5V, pp. 201-206)
*L'ultima opera certa di lui, la tavola della ''Natività della Vergine'', nel Museo dell'Opera di Siena, ci mostra come, invecchiando, debole di spirito e di forma, sempre più si accostasse alla vita, vestendo de' costumi del tempo i personaggi, staccandosi dagli esemplari di Duccio<ref>[[Duccio di Buoninsegna]].</ref> e avvicinandosi sempre di più al fratello<ref>[[Ambrogio Lorenzetti]].</ref>. Ma la morte troncò, verso il 1350, i nuovo conati di [[Pietro Lorenzetti]]. Gli ultimi suoi anni sono avvolti nel mistero; e la notizia d'un quadro di lui, esistente nella chiesa di San Francesco ad Avignone, potrebbe generare il sospetto che là si recasse il maestro dopo avvenuta la morte di Simone Martini. (vol. 5V, p. 678)
*Un ciclo di pitture che ha reso famoso Pietro Lorenzetti è quello della basilica inferiore d'Assisi. Prudentemente il Thode<ref>Thode, ''Franz von Assisi'', Berlin, 1904, pag. 294. {{NDR|(N.d.A., p. 680)}}</ref> notò che si ebbe ragione a toglierle a Puccio Capanna, a Pietro Cavallini e a Giotto, ma che si andò troppo oltre nell'assegnarle a quell'autore e non a' suoi seguaci. (vol. 5V, p. 680)
*{{NDR|Commentando il ciclo degli affreschi dell'''Allegoria ed effetti del Buono e del Cattivo Governo'' nel Palazzo Pubblico di Siena}} Prima che l'umanesimo richiamasse in onore le divinità pagane rimaste per tutto il medioevo nell'immaginazione popolare, rideste ai primi tepori della civiltà nuova, [[Ambrogio Lorenzetti]] rende loro lo scettro sugli uomini.<br>L<nowiki>'</nowiki>''Estate'' ha il tipo pieno, rubicondo, proprio di Ambrogio, il quale qui fu meno scarso del solito nel segnare i tre quarti del volto della figura, e rapido nel tratto, sciolto, freschissimo. L<nowiki>'</nowiki>''Autunno'' pare un'incisione a due tinte per le bianche lumeggiature sulle carni abbronzate, ora a tratti veloci e ora a masse sulle parti prominenti e più esposte alla luce. C'è modernità in quegli schizzi a colpi, saldezza d'arte progredita, libertà di maestro. Ambrogio Lorenzetti è più nuovo che non nelle opere finite in quegli abbozzi decorativi dove si lascia sorprendere senza la dottorale zimarra che sembra indossare di solito. (vol. 5V, pp. 709-710)
*[...] più che da Giotto e dai Fiorentini, come si è ritenuto sin qui, Ambrogio attinse da Simone Martini e dal fratello {{NDR|[[Pietro Lorenzetti|Pietro]]}}, come può vedersi nella ''Madonna del latte'' in San Francesco di Siena, dove i contorni del volto di Maria sono crudi, scarsi e manchevoli nello scorcio, le mani hanno dita staccate e aperte, il drappo involgente il Bambino prende curve gotiche. Era naturale che Ambrogio e Pietro, fratelli e talvolta cooperanti, influissero l'uno sull'altro, e che il più giovane {{NDR|Ambrogio}} prendesse qualche abitudine dal fratello maggiore saputo ed esperto. (vol. 5V, p. 722)
*Recò nuove forze in Toscana, pure attingendovi nobiltà di forma, [[Antonio Veneziano]], succeduto ad Andrea da Firenze come continuatore delle ''Storie di Ranieri'' nel Camposanto di Pisa. Vuolsi scolaro di Taddeo Gaddi, perché le sue forme si attengono ai grandi esemplari di Giotto, ma son più prossime direttamente a queste che non a quelle di Taddeo o di Agnolo Gaddi, più vere, più equilibrate e armoniose, più limpide di colore e più liete. (vol. 5V, p. 915)
 
====''La scultura del Quattrocento''====