Indro Montanelli: differenze tra le versioni

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===Citazioni===
*Essere [[Àscari|ascaro]] vuol dire, press'a poco, avere un blasone; vuol dire avere tre lire al giorno, più un'indennità vestiario, più un'indennità farina, più un'indennità carne; vuol dire avere un ''tarbush'' e una fascia coi colori del battaglione; vuol dire soprattutto avere un fucile. La gente di questo Paese segue una logica sistematica semplice e dritta: l'umanità si divide in due categorie: gli armati che sono i forti, i disarmati che sono i deboli. Al culmine della gerarchia sociale sta il possessore di fucile, il guerriero: che è tanto più importante quanto più elevato è il suo grado e quanto è maggiore la sua anzianità. (p. 25)
*Toselli. Questo nome non ha in Italia la risonanza che ha qui. Toselli non è un uomo, è una leggenda: non solo alla cronaca, ma sfugge anche alla storia. È rimasto nei canti di questa gente, nelle sue memorie e anche nelle sue speranze. Pur ieri mi diceva il vecchio Sciumbasci, reduce di Adua e ora capopaese di Digsa, che «le cose che si sanno sono molto meno di quelle che non si sanno» e che «il fatto è questo: che il corpo del maggiore Toselli non era più sul campo dopo la battaglia». Su quello che ne sia avvenuto le opinioni sono discordi, ma nessuno crede che il maggiore sia morto. (pp. 35-36)
*Appollaiato ai suoi piedi, nascosto fra il verde tenero degli eucalipti, stava Pirzio Biroli. Il suo nome era mormorato con circospezione dagli [[Àscari|ascari]] disseminati fra le rocce di Mai Egadà a Saganeiti, da Agordar ad Assab, a Cheren, ad Adi Ugri, ad Adi Caieh. Raramente lo si vedeva e sempre a cavallo. Accanto a lui cavalcava Chiarini, la piccola ombra fedele, il fantasma sorto una notte da un roveto della conca di Adua. Chiarini, settantenne, pallido, non scompariva nell'alone magico che Pirzio, il buon gigante, suscitava intorno. (pp. 87-88)
*Poi arrivava anche lui, Pirzio il leone, altissimo, quadrato, col profilo calmo incorniciato dalla folta criniera. Il cavallo, domo dai suoi ginocchi di ferro, caracollava senza un tentativo di ribellione. Dalla sella pendevano, di qua e di là, due aquile colossali, abbattute in volo dal moschetto infallibile di Pirzio. Nessuna tromba sonava l'attenti al suo ingresso. Non ce n'era bisogno. Tutti, nel quartiere, sentivano come per miracolo la sua presenza e restavano ischeletriti. Pirzio non se n'accorgeva: era uno di quegli uomini pei quali gli uomini sentono rispetto per istinto e che passano attraverso la vita come attraverso un'eterna parata, fra due fila di bipedi schiaffati meccanicamente sull'attenti. Gli [[Àscari|ascari]] ebbero ragione quando lo battezzarono «il Leone»: non aveva bisogno di ruggire perché il largo gli si facesse automaticamente intorno. (pp. 88-89)