Ugo Ojetti: differenze tra le versioni

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==Citazioni di Ugo Ojetti==
*C'è per poco a Bologna una bella piazza di più: una piazza con quattro [[Torri di Bologna|torri]]. Due le conosce tutto il mondo: la Garisenda e quella degli Asinelli. Le altre due, pare che fino a cinque o sei anni fa non le conoscesse più nessuno, nemmeno per sentito dire: la torre degli Artenisi e la torre dei Riccadonna. Sono venute fuori, rosse e rozze, dalle demolizioni del centro di Bologna tra via Mazzini e via Capreria, ma potenti e imponenti sebbene i loro venticinque metri di d'altezza {{sic|sieno}} una statura da casa borghese in confronto ai quarantasette metri della Garisenda e ai novantotto della Asinelli regina del cielo. E si sposano così bene, nella stessa piazza, a quelle due, col colore e con le linee, e rivelano {{sic|súbito}} con {{sic|tanto}} pittoresca evidenza al passante più distratto, l'aspetto della fiera Bologna di sette od otto secoli fa, tutta torri, che si rimane estatici a guardarle, il cuore in sogno.<ref>da ''[https://archive.org/details/inanitralecolonn00ojet/page/n4/mode/1up/ I nani tra le colonne]'', Fratelli Treves editori, Milano, 1920, cap. III, p. 184.</ref>
*{{NDR|In occasione della morte di [[Giulio Aristide Sartorio]]}} Era un lavoratore infaticabile, di una puntualità meticolosa. Gli offrivano, in una esposizione, una sala di tanti metri. Rispondeva che, per il giorno tale, avrebbe consegnato tanti paesi di metri e di centimetri tanti, e ancora non ne aveva dipinto uno; ma arrivava, con le sue casse, all'ora promessa. Per il fregio del parlamento si vantava tranquillo, di aver dipinto in novecentotrenta giorni, duecentottantacinque figure di uomini e di animali su quattrocentocinquanta metri di tela. Teneva questa tela avvolta sopra un gran rullo diritto, e la tela dipinta faceva ogni settimana un passo, come dicono i meccanici, di tanti metri, non uno di meno.<ref>da ''Corriere della Sera'', 6 ottobre 1932; citato in Vittorio Sgarbi, ''Davanti all'immagine'', RCS Rizzoli Libri, Milano, 1989, p. 187. ISBN 88-17-53755-1</ref>
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*{{NDR|[[Adolfo Wildt]]}} La sua voce ha alti e bassi improvvisi: o grida o bisbiglia. Di corpo egli è piccolo e lieve, agile a cinquantasett'anni quanto un adolescente. I capelli son radi, grigi, corti e ritti. Sul volto raso, ossuto quanto un teschio, la pelle elastica e bruna si distende o si raggrinza in smorfie eccessive. Si direbbe che per un niente egli voglia dare al suo volto il massimo dell'espressione, con quel poco che ha. Tutto è mobile, occhi, sopracciglia, palpebre, narici, labbra, orecchie, e tutto si sposta su quella faccia cubica a distanze inaspettate. Le sopracciglia ecco, si congiungono ad angolo ottuso sul mezzo della fronte, componendo una maschera tragica e plorante, che tien del giapponese. D'un tratto si distendono, si separano, si pacificano, e tra l'una e l'altra restano quattro dita di pelle nuda.<ref> da ''[https://archive.org/details/dedalorassegnada0702ojetuoft/page/452 Lo scultore Adolfo Wildt]'', in ''Dedalo'', Anno VII, 1926/27, vol. II, p. 452.</ref>
*Noi abbiamo qualche puro disegnatore che nulla ha da invidiare a certi acclamati francesi. Basterebbe nominare tre nomi: [[Cesare Pascarella]], [[Luigi Arnaldo Vassallo]] e [[Pietro Scoppetta]], i quali farebbero con una collezione dei loro disegni patetici o ironici, mollemente sensuali o rudemente sintetici, la fama di qualunque esposizione.<ref>da ''[https://archive.org/details/lartemodernavene00ojet/page/214 L'arte moderna a Venezia. {{small|Esposizione mondiale del 1897}}]'', Enrico Voghera Editore, Roma, 1897, p. 214.</ref>
*Parlare di razza e cercare le origini ataviche nell'arte d'uno scultore o d'uno scrittore è fuori moda, e m'inchino; ma oso sfidare anche Benedetto Croce, se vedesse i tragici contorcimenti e i simboli astrusi di quest'arte, a non gridare al tedesco e a non pensare che {{sic|Mathias}} Grünewald<ref>Mathis Gothart Nithart, meglio noto come Matthias Grünewald (1480 circa-1528), pittore tedesco noto per la drammaticità visionaria dei suoi temi di carattere religioso.</ref>, ad esempio, abbia suggerito a Adolfo Wildt vesti, volti, gesti, mani, spasimi e svenimenti. Ho scelto {{sic|pel}} paragone un pittore perché i marmi di Wildt traforati, assottigliati, lucidati, tanto che ogni raggio e riflesso vi si frantumano e immillano, suggeriscono a noi italiani il confronto prima con la pittura che con la scultura come l'intendiamo noi da Vulca<ref>Scultore etrusco del VI secolo a.C.</ref> a Canova.<ref> da ''[https://archive.org/details/dedalorassegnada0702ojetuoft/page/442 Lo scultore Adolfo Wildt]'', in ''Dedalo'', Anno VII, 1926/27, vol. II, pp. 442-443.</ref>
*{{NDR|Su [[Henry de Montherlant]]}} [...] uno scrittore muscoloso e spietato, anzi insolente, formatosi, carattere e stile, nella guerra e nello sport più rischioso, tanto che s'è perfino esercitato in parecchie corride a fare da espada. Nelle lodi dei corpi belli e dell'ardimento continuo e del franco piacere, lo stesso D'Annunzio sembra meno sfrontato di lui perché spesso attutisce l'urto con l'olimpica evocazione degli antichi e dell'arte.<ref>da ''Ragazze'', ''Corriere della Sera'', 27 settembre 1936, p. 3.</ref>