Roberto Longhi: differenze tra le versioni

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*{{NDR|Su [[Piero di Cosimo]]}} Che cosa di più affine, nella mistura di nordiche lontananze rese intime, e di giustezze italiane nelle zone spaziali cromatiche, che i paesaggi veri e sognati di [[Piero di Cosimo|Piero]] nei sublimi cassoni del Ricketts di New York e del Principe di Serbia [si tratta della ''Battaglia fra Centauri e Lapiti'' e delle 'storie' dell'umanità primitiva] e questo misterioso paese [nella ''Venere dormiente'' della Galleria Borghese] dove soltanto è più chiaro il punto di partenza dalla sintesi prospettica del [[Giovanni Bellini|Bellini]], invece che da quella dei toscani?<ref>Da ''Precisioni nella Galleria Borghese'' 1928; citato in ''{{small|L'opera completa di}} Piero di Cosimo'', introdotta e coordinata da Mina Bacci, Rizzoli, Milano, 1976, p. 13.</ref>
*Che cosa significasse per il Caravaggio l’incontro con la immensa [[Napoli|capitale meriterranea]], più classicamente antica di Roma stessa, e insieme spagnolesca e orientale, non è difficile intendere a chi abbia letto almeno qualche passo del Porta o del Basile; un’immersione entro una realtà quotidiana violenta e mimica, disperatamente popolare. (da ''Caravaggio, Roma, 1968.<ref>Citato in Francesco Abbate, ''Storia dell'arte nell'Italia meridionale. {{small|Il secolo d'oro}}'', Donzelli, Roma, 2002, [https://books.google.it/books?id=j8f6u_2TwqgC&lpg=PA4&dq=&pg=PA4#v=onepage&q&f=false p. 4]. ISBN 88-7989-720-9</ref>)
*{{NDR|[[Michelangelo Merisi da Caravaggio]]}} Dalle esperienze luministiche dei suoi precursori, fra cui erano anche quel Lotto che il Lomazzo [...] chiama "maestro del dare il lume" e quel Savoldo in cui il Pino esalta "le ingegnose descrittioni dell'oscurità", il Caravaggio scopre "la forma delle ombre": uno stile dove il lume, non più asservito, finalmente, alla definizione plastica dei corpi su cui incide, è anzi arbitro coll'ombra seguace della loro esistenza stessa. Il principio era per la prima volta immateriale; non di corpo ma di sostanza; esterno ed ambiente all'uomo, non schiavo dell'uomo [...] Che cosa importasse questo nuovo stile nei confronti col Rinascimento ch'era invece partito dall'uomo, e vi aveva sopra edificato una superba mole antropocentrica, cui anche la luce era anodina servente, è facile intendere. All'artificio, al simbolo drammatico dello stile attendeva ora il lume medesimo, non l'idea che l'uomo poteva aver formato di se stesso. Ma quando in un battito del lume una cosa assommasse, e poiché non era più luogo a preordinarla nella forma, nel disegno, nel costume, e neppure nella rarità del colore, essa non poteva sortire che terribilmente naturale. Il dirompersi delle tenebre rilevava l'accaduto e nient'altro che l'accaduto; donde la sua inesorabile naturalezza e la sua inevitabile varietà, la sua incapacità di "scelta". Uomini, oggetti, paesi, ogni cosa sullo stesso piano di costume, non in una scala gerarchica di degnità... (da ''Quesiti caravaggeschi, "Pinacotheca"'', 1928-1929; citato in ''Caravaggio'', pp. 186-187)
*Eh! la paura d'esser fatti fessi, questo segnale infallibile dell'[[imbecillità]]! (da ''Opere complete'', Sansoni, 1961, vol. 1, pt. 1)