Enrico Emanuelli: differenze tra le versioni

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*{{NDR|Veduta aerea del delta del Volga}} Cento chilometri il [[Volga]] ha ancora di vita e già si dilata, si ramifica, gira su se stesso, dilaga a destra ed a sinistra. Si direbbe che non voglia abbandonare la terra dove vive per annullarsi nel mare. Forse per la varietà della vegetazione, o per la diversa natura del terreno, o per il variare della profondità, quei corsi d'acqua, quei rigagnoli, quei rami che spesso s'allargano formando piccoli laghi e paludi hanno i più matti colori. Li ho visti gialli, rosa, violacei, verdi, ora lucidi come l'argento, ora torbidi come rifiuti di fogna. Intorno c'è un paesaggio caotico, di rapidi contrasti, qua è landa deserta, là boscaglia fitta; qua terra bruciata, là sabbia brillante, più lontano prati d'un tenero verde. [...] È una mostruosa e variopinta macchia che s'espande con moto indecifrabile, col capriccio d'una goccia quando scivola sopra il vetro d'una finestra; è il disegno d'un gigantesco ganglio nervoso, ogni piccolo filamento contrassegnato da un colore diverso. Una barca, vista là sopra, pare la mosca nella ragnatela, se si vede un uomo è persin troppo facile pensare che ormai è perduto nel labirinto. Per cento chilometri dura la visione di questo spettacolo che, nello stesso tempo, sa di agonia e di trionfo.<ref>Da ''Il viaggio possibile e poi la vacanza'', p. 156.</ref>
*I pozzi petroliferi di [[Baku]] apparvero all'orizzonte come il disegno d'un maniaco che per mille e mille volte, su uno sfondo di carta azzurra, avesse ripetuto sempre la stessa figura geometrica: una piccola piramide. Era una strana foresta di alberi tutti uguali, neri, spogli, disseminati su una terra gialla. Erano le armature dei pozzi. Pareva, anche, che si stesse per giungere in un mondo in cui persino la natura risulti irriconoscibile. Si superò una sbavatura di terra, non più gialla ma d'un viscido nero; si sorvolò uno stagno in fiamme; per un buon tratto si volò sopra la foresta dei pozzi. Lontano sorgevano contrafforti disuguali, scavati dal vento, forse levigati da antichi incendi e nell'aria calda, pregna di esalazioni, in un tramonto tempestoso, pareva dondolassero come malferme quinte d'uno strano palcoscenico.<ref>Da ''Il viaggio possibile e poi la vacanza'', pp. 156-157.</ref>
*Giunti in cima al parco, da una terrazza guardai a lungo il panorama. Il porto, l'insenatura di Baku erano sotto i miei occhi e quando il mio compagno s'accorse che mi ero indugiato su molti particolari, mi mormorò: «Assomiglia a [[Napoli]]. Non è vero forse?». Sotto un cielo giallognolo, come riflettesse il colore della terra, vedevo la macchia della città. Ma era una cosa da nulla; da nulla era anche il mare liscio come una palude. [...] I minareti delle moschee, le cupole delle chiese ortodosse con sopra la croce sorretta dalla mezzaluna, le sinagoghe rivelavano quale groviglio di genti, di razze e di divinità vivessero circondate dal petrolio. Domandai al mo compagno se aveva visto Napoli durante un viaggio. «No» mi rispose «la conosco attraverso le fotografie. Ma noi diciamo che proprio Baku le assomiglia.»<br>Si ridiscese ed imparai a conoscere meglio gli abitanti. Allora anch'io ebbi una piccola sorpresa. Il meridione mi veniva davvero incontro ad ogni attimo con una cordialità che sarei stato pronto a riconoscere quasi per napoletana.<ref>Da ''Il viaggio possibile e poi la vacanza'', pp. 156-157.</ref>
*[...] [[Tbilisi|Tibilisi]] invoglia a prendere una vacanza; viene spontaneo il desiderio di godere cose molto semplici: una passeggiata, un tramonto, la compagnia anonima della gente. Si sale all'Orto botanico, per viali silenziosi e d'un bel verde; s'indugia al sommo del monte Davide, dalle terrazze l'occhio riposa su dolci colori e su disegni di monti gentili. Si va nella città vecchia, le case sono addossate l'una all'altra, hanno balconi e verande per dar modo di non perdere lo spettacolo della strada; e nelle strade gli uomini vivono per tre quarti della loro giornata. La natura epicurea della città, per chi arrivi da [[San Pietroburgo|Leningrado]], da [[Mosca (Russia)|Mosca]], da {{sic|Gorki}} che è ritenuta la Detroit dell'[[Unione Sovietica]] o da {{sic|Novo Sibirsk}} che dicono sia la Chicago russa, deve sembrare cosa incredibile.<ref>Da ''Il viaggio possibile e poi la vacanza'', pp. 176-177.</ref>
*Nei racconti di non so più quale viaggiatore, ho letto che non lontano da {{sic|Tibilisi}}, sopra una grande strada, c'era un cartello segnavia che da una parte diceva "Asia" e, dall'altra, "Europa". Trascorsi parecchi giorni con questa sbrigativa indicazione sempre presente e non soltanto nella immaginazione, ma anche ai miei stessi occhi. È una specie di ambiguità che risultava dovunque, nelle stradette dei quartieri vecchi come nelle vie della città moderna, nello sguardo di una donna come nei gesti di un uomo.<ref>Da ''Il viaggio possibile e poi la vacanza'', p. 180.</ref>