Plutarco: differenze tra le versioni

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===Citazioni===
*Siccome adunque ammoniva [[Senofonte]], che nelle prosperità più che in altro tempo ci ricordassimo degli Iddii, e gli riverissimo, acciò ne' nostri bisogni con più sicurezza gli invochiamo, come già conosciuti per propizj ed amici; così conviene che i prudenti ed accorti facciano provvedimento, avanti che vengano le passioni, di que' discorsi che possono sovvenire alle passioni; affinché essendo prima presti e pronti, maggiormente profittino. Perché {{sic|sicome}} i cani più fieri ferocemente abbaiano a tutte le voci che sentono, e s'ammansano a quella sola che sogliono udire, così non è agevole quietar le passioni dell'anima, allorché sono più inasprite e più contumaci, se non hai a mano ragioni proprie e familiari che l'arrestino, quando cominciano a travagliarla. (I; 1827, p. 322)
*Or quanto a quelli {{NDR|[[Democrito|quelli]]}} che dicono che per viver vita tranquilla non è da intromettersi in molti affari pubblici o privati, primieramente dico, che troppo ci fan costar cara la tranquillità dell'animo, volendo farcela comprar col prezzo dell'[[ozio]] [...]. (II; 1827, p. 323)
*[...] non è vero che menino vita tranquilla coloro, che non operan molto: per questa ragione dir si dovria che le [[donne]] per lo più dimoranti in casa, più riposatamente vivessero, che non fanno gli uomini. [...] [N]ondimeno i dolori dell'animo, i turbamenti, le scontentezze, rea semenza che germoglia nella selva delle gelosie, delle superstizioni, dell'ambizione e vanagloria, sì varia e numerosa, che non si potrebbe annoverare giammai, si versano in grande abbondanza nelle segrete camere delle donne. (II; 1827, p. 323)
*Ma sì come gli uomini di povero cuore, che nel navigare sentono offendersi dal commovimento dell'onde, credono di star meglio se lasciata la scafa montano sopra il brigantino, dal brigantino sopra la galea, e non di meno nulla operano a lor profitto, perché portano, ovunque vanno, la [[collera]] e la [[paura]]; così il cangiar maniera di vita non toglie all'anima le cagioni che l'attristano e conturbano [...]. (III; 1827, p. 325)
*[[Alessandro Magno|Alessandro]] udendo discorrere Anassarco dell'infinita [[Pluralità dei mondi|moltitudine de' mondi]], lagrimò; e domandando gli amici, che cagione gli traesse fuori le lagrime, rispose: Non ho ragione di piangere, se, essendo i mondi infiniti, ancora non siamo signori d'un solo? (IV; 1827, p. 326)
*[...] [[Platone]] rassomigliò la vita nostra al giuoco del tavoliere, ove conviene co' dadi fare i punti migliori, ma saper anche rivolgere al meglio i peggiori. (V; 1827, p. 328)
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*[...] se sarai scontento del non aver [[figli]]uoli, sovvengati che niuno imperador romano lasciò l'impero a' figliuoli. (VI; 1827, p. 329)
*[...] una lasciva figliuola di Stilpone non fece che egli non menasse vita più lieta di qualunque altro filosofo: anzi rimproverandogli Matrocle questo fallo della figliuola, rispose: Dimmi il fallo è mio, oppur di mia figlia? Il fallo è di lei, e la sventura è tua, replicò Matrocle. Com'è questo (soggiunse l'altro), i falli non son cadute? Sì (rispose Matrocle), e le cadute non sono danni di coloro che caggiono, e i danni non sono sventure de' danneggiati? Con dolce e filosofico progresso di punto in punto avendo fatto palese che la maldicenza del cinico altro non era che vano abbaiamento. (VI; 1827, p. 330)
*[...] gli affari commessi alla tua non s'amministrano da persone di semplici e buoni costumi, quasi strumenti atti e ben disposti, ma per lo più con ruvidi e distorti; il raddrizzare i quali non credere appartenersi a te, nè agevole a farsi; ma se tali gli userai quali son per natura, come fa il cerusico {{NDR|chirurgo}} del cane {{NDR|pinza}} da cavar denti, e delle fibbie {{NDR|grappette}} da riserrar le ferite, apparirai grazioso e moderato, quanto comporta il fatto ch'hai fra mano, e prenderai più piacere dalla tua disposizione, che dispiacere per l'altrui ritrosie e malvagità [...]. (VII; 1827, p. 331)
*[...] non fermar lo sguardo solamente nelle parti risplendenti e gloriose di coloro che ammiri e stimi felici; ma squarciato ed aperto quel fiorito velo dell'opinione e dell'[[apparenza]] che gli cuopre, penetra dentro, e vedraivi molti travagli e noie. (XI; 1827, p. 337)
*Non meno adunque nuoce alla tranquillità dell'animo la volontà disproporzionata al potere, in guisa delle vele troppo grandi, che fanno traboccare la navetta; perché promettendosi più alte speranze che non deggiono, e non le conseguendo, ne incolpano Iddio e la Fortuna, e non la propria follia. Non è sventurato chi vuol saettare coll'aratolo, o col bue pigliar la lepre, nè s'oppone rea fortuna a chi non inviluppa i cervi con le reti da pescare; ma la propria mattezza e malvagità per aver tentate cose impossibili. Principal cagione di tale errore è il cieco [[amor proprio|amor di stesso]], che gli fa divenire in tutte l'occasioni desiderosi de' primi onori, ed ostinati, e voler tutto per stessi, senza saziarsi giammai. (XII; 1827, p. 339)
*Ma sì come il pittore i colori più lieti e più chiari mette di sopra nella tavola, e nasconde i meno piacenti e i più scuri, così conviene che nell'anima nostra [[Felicità e infelicità|i gioiosi ed illustri avvenimenti ricuoprino e adombrino i torbidi e dolorosi]]. (XV; 1827, p. 345)
*[...] ala ragione fa svanire tutte l'altre tempeste della mente, ma il [[pentimento]] si fabbrica da stessa, il quale con onta morde e gastiga medesimo: che sì come chi s'agghiaccia, e s'infiamma per lo ribrezzo o caldo interno della febbre sente maggiore ambascia ed affanno che quelli, i quali ricevono di fuori gelo ed arsura delle stagioni, così i casi di fortuna fanno i dolori più {{sic|leggieri}}, comeché vengano di fuori. (XIX; 1827, p. 353)
 
==''Moralia''==