Julius Evola: differenze tra le versioni

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*Il fenomeno dell'irruzione dell'"elementare" è reale: e reale è anche il processo di enucleazione di un nuovo tipo, realistico, eroico, impersonale, capace di un controllo e d’un’azione assoluta, proteso verso una assunzione totale della vita. Anche se il mondo di questo nuovo tipo non corrisponde proprio a quello del "Forestaro", anche se esso ha lasciato dietro di sé il periodo delle distruzioni e dell’anarchia e nel suo avvento non si celebrino solo varie forme di quello del Quarto Stato, pure gli orizzonti non si schiariranno, e un temibile destino non sarà prevenuto, fino a che come controparte non si avrà appunto la tradizione spirituale nel senso più alto, un Ordine non nella prima assunzione soltanto attivistico-guerresca dello Jünger, ma appunto con riferimento a valori trascendenti, alle file segrete di qualcosa "che non è di questa terra" e che forse fino ad oggi è stato ancora custodito
*La sua forza rivoluzionaria deriva dal punto di vista metafisico, unico vero sbocco di una visione spirituale della vita, che acquisì dall'incontro con René Guénon.
* [ [[Benito Mussolini|Mussolini]] ] aveva un'autentica paura per gli iettatori di cui vietava si pronunciasse il nome in suo cospetto. (da ''Il cammino del cinabro'', citato in: Marcello Veneziani, ''Imperdonabili'', Venezia, 2017, ISBN 978-88-317-2858-4, p. 179)
*In realtà, le idee che ho difeso e che difendo, da uomo indipendente (…) non sono da dirsi «fasciste» bensì tradizionali e controrivoluzionarie. (…) io nego tutto ciò che, direttamente o indirettamente, deriva dalla Rivoluzione francese, a ciò contrapponendo il Mondo della Tradizione. (...) I miei principi sono solo quelli che prima della Rivoluzione francese ogni persona ben nata considerava sani e normali.
*Nel mondo tradizionale, che per noi è quello retto dai principî dell’autorità e della sovranità, della gerarchia dell’ordinamento dall'alto e verso l’alto – tutto ciò che è “patria” o “nazione” – ethnos – non ebbe un significato politico ma soltanto naturalistico: si è di una patria o nazione come si è di una data famiglia. L’ordine politico in senso proprio corrispondeva invece al principio dello Stato (in genere, concretizzatesi in monarchie e in dinastie) o dell’impero come unità sovrordinata rispetto a nazione o "popolo". È così che si ebbero formazioni politiche in cui patrie e nazioni ebbero bensì il loro posto, ma non come fattori determinanti, invece come semplice "materia" della gerarchia complessiva. E non sembrava strano, a tale stregua, che, per esempio, per combinazioni dinastiche, per matrimoni o successioni, un popolo passasse a far parte di uno Stato diverso: da ciò esso non si sentiva per nulla snaturato, appunto per via del carattere sopraelevato del principio politico. Tale situazione aveva anche una controparte etica: l’appartenenza allo Stato era legata ad una fedeltà, cioè presupponeva un atto libero, volontario (i vincoli feudali ne erano già stati forma eminente). L’essere di un popolo o di una nazione è invece qualcosa di semplicemente dato, di naturalistico (''Dietro le quinte della storia. Il vero volto del Risorgimento'', L'Italiano n. 3, marzo 1959)
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== ''Rivolta Contro il Mondo Moderno'' ==
 
* È compito della tradizione - lo si ripete - scavare dei saldi alvei, a che le correnti caotiche della vita fluiscano nella direzione giusta. Liberi, sono coloro che assumendo questa direzione tradizionale non la sentono come imposta, ma vi si sviluppano spontaneamente, vi si riconoscono, tanto da attenuare quasi con un moto dall'interno la possibilità più alta, "tradizionale", della loro natura.
* Per contro, nella Appartenersi e nel darsi una forma, nell'avere in se il principio di una vita non più dispersa, non più a battente si qua e là in cerca di altro o di altri per completarsi e per giustificarsi, non più spezzata dalla necessità e dal conato irrazionale verso l'esterno e il diverso in una parola e l'esperienza dell'ascesi, si senti la via per comprendere il altra regione, il mondo dello stato dell' "essere", di quel che non è più fisico ma metafisico - "natura intellettuale priva di sonno" e di cui simboli solari, regioni uraniche, enti di luce o di fuoco, isole e altezze montane tradizionalmente furono le figurazioni. Tali le "due nature". E fu concepita una nascita secondo l'una e una secondo l'altra, e passaggio dall'una all'altra nascita perché fu detto: "Un uomo è un dio mortale e, un dio, un uomo immortale". Il mondo tradizionale conobbe questi due grandi poli dell'esistenza e le vie che dall'uno conducono all'altro. [...] Conobbe che l'esistenza esterna, il "vivere", è nulla, se non approssimazione verso il sovramondo, verso il "più che vivere", se il suo più alto fine non è la partecipazione ad esso e una liberazione attiva dal vincolo umano. Conobbe che falsa è ogni autorità, ingiusta e violenta ogni legge, vana e caduca ogni istituzione, quando non siano autorità, leggi ed istituzioni ordinate al principio superiore dell'Essere -dall'alto verso l'alto. Il mondo tradizionale conobbe La Regalità Divina. Conobbe l'atto del transito: l'Iniziazione - le due grandi vie dell'approssimazione: l'Azione eroica e la Contemplazione - la mediazione: il Rito e la Fedeltà - il grande sostegno: la Legge tradizionale, la Casta - il simbolo terreno l'Impero. Queste sono le basi della gerarchia e della civiltà tradizionale, in tutto e per tutto distrutte dalla trionfante civiltà "umana" dei moderni.
* Ove la Tradizione mantenne tutta la sua forza, la dinastia o successione dei re sacrali costituì un asse di luce e di eternità nel tempo e la presenza vittoriosa del sovramondo nel mondo, la componente "olimpica", che trasfigura l'elemento demonico del demos e dà un significato superiore a tutto ciò che è Stato, nazione e razza. E anche negli strati più bassi, il legame gerarchico creato da una dedizione cosciente e virile valeva come mezzo per un’ approssimazione e una partecipazione. Infatti anche la semplice legge, dall'alto, rivestita di un'autorità, era, per coloro che non potevano accendere a sè stessi il fuoco sovrannaturale, un riferimento e un sostegno di là dalla semplice individualità umana. In realtà, l'aderenza intima, libera e effettiva, di tutta una vita alle norme tradizionali, anche quando non era presente, a giustificarla, una piena comprensione della loro dimensione interna, faceva sì che tale vita acquistasse oggettivamente un significato superiore: attraverso l'obbedienza e la fedeltà, attraverso l'azione o conforme ai principi e ai limiti tradizionali, una forza invisibile le dava forma e la disponeva sulla stessa direzione di quell'asse sovrannaturale, che negli altri - nei pochi al vertice - viveva allo stato di verità, di realizzazione, di luce. Così si formava un organismo stabile ed animato, costantemente orientato verso il sovramondo, santificato in potenza e in atto secondo i suoi gradi gerarchici, in tutti i domini del pensare, del sentire, dell'agire, del lottare. In tale clima viveva il mondo della Tradizione.
* E quasi sempre va riconosciuto, con Nietzsche, che dovunque sorge la preoccupazione per una "morale", la vi è già una decadenza - il mos delle vichiane "età eroiche" mai ha avuto a che fare con limitazioni moralistiche. Specie la tradizione estremo-orientale ha messo bene in rilievo l'idea, che la morale e la legge in genere (in senso conformistica e sociale) sorgono laddove la "virtù" e la "Via" non sono più conosciute: "Perduta la via, resta la virtù; perduta la virtù resta l'etica; perduta l'etica resta il diritto; perduto il diritto resta il costume. Il costume è solo l'esteriorità dell'etica e segna il principio della decadenza." Quanto poi alle leggi tradizionali, esse, nel loro carattere sacro e nella loro finalità trascendente, come avevano una validità non-umana, così in nessun modo si potevano riportare al piano di una morale nel senso corrente. Nè l'antagonismo dei popoli, lo stato di guerra è da per sè causa della rovina di una civiltà: l'idea del pericolo, come quella della conquista, può invece rinsaldare anche materialmente le maglie di una struttura unitaria, rinfocolare una unità di spirito nelle manifestazioni esterne - mentre la pace ed il benessere possono condurre ad uno stato di tensione ridotta, il quale facilità l'azione delle cause più profonde di un possibile disfacimento.
* Se un corpo è libero solo quando esso obbedisce alla sua anima, non ad un'anima eterogenea - allora riceve un senso profondo di verità l'affermazione di Federico II, secondo la quale gli Stati che riconoscono l'autorità dell'Impero sono liberi, mentre schiavi sono quelli che alla Chiesa - esponente di un'altra spiritualità - si sottomettono.
* D'altronde, è già stata ricordata la relazione tra aeternitas e imperium presentata dalla tradizione romana, donde un carattere trascendente, non-umano a cui vi viene elevata l'idea del "regere", sì che la paganità attribuì agli dèi la grandezza della città dell'Aquila e dell'Ascia. Da ciò, il segno più profondo che può presentare anche l'idea, secondo la quale il mondo non sarebbe finito fino a quando si sarebbe mantenuto l'Impero romano: idea da riportare a quella della funzione, appunto, di mistica salvazione attribuita all'Impero, una volta che si intenda "mondo" non fisicamente o politicamente, ma nel senso di "cosmos", di diga d'ordine e di stabilità opposta alle forze del caos e della disgregazione.
* Peraltro leggi ed istituzioni, come erano dall'alto, così, nei quadri di ogni tipo veramente tradizionale di civiltà, erano verso l'alto. Un ordinamento politico, economico e sociale reato in tutto e per tutto per la sola vita temporale, e cosa propria esclusivamente al mondo moderno, cioè al mondo dell'anti tradizione. Lo Stato, tradizionalmente, aveva invece un significato e una finalità in un certo modo trascendenti: esso era una apparizione del "sovramondo" e una via verso il "sovramondo".
* Ancora una volta, non si dimentichi la verità, da cui il mondo tradizionale era compenetrato: nulla accade quaggiù, che non sia simbolo ed effetto concordante di avvenimenti spirituali - fra spirito e realtà ( e quindi anche potenza) vi è una intima relazione. Come conseguenza particolare di tale verità, si è già accennato che il vincere o perdere non furono mai considerati come puro caso. La vittoria, tradizionalmente, implica sempre significato un significato superiore. Permane ancora, e con particolare risalto, tra le popolazioni selvagge l'idea antica, che lo sfortunato è sempre un colpevole: gli esiti di ogni lotta, epperò anche di ogni guerra, sono sempre i segni mistici, risultati, per così dire, di un "giudizio divino", capaci dunque di rivelare, o attuare, un destino umano.
* Nel mondo moderno, sì è deprecata l' "ingiustizia" del regime delle caste, ancor più sono state stigmatizzate le civiltà antiche che conobbero la schiavitù e si è ha ascritto a vanto dei tempi nuovi l'aver rivendicato il principio dell' "umana dignità". Anche questa è pura retorica. Quel che vale piuttosto mettere in rilievo è che, se vi è mai stata una civiltà di schiavi in grande, questa è esattamente la civiltà moderna. Nessuna civiltà tradizionale vide mai masse così grandi condannate ad un lavoro buio, disanimato, automatico: schiavitù, che non ha nemmeno per controparte l'alta statura e la realtà tangibile di figure di signori e di dominatori, ma che viene imposta anodinamente attraverso la tirannia del fattore economico e le strutture assurde di una società più o meno collettivizzata. E poiché la visione moderna della vita, nel suo materialismo, ha tolto al singolo ogni possibilità di conferire al proprio destino qualcosa di trasfigurante, di vedervi un segno e un simbolo, così la schiavitù di oggi è la più tetra e la più disperata di quante mai se ne siano conosciute.
* Più in generale, va detto che quando il diritto di proprietà cessa di esser privilegio delle due caste superiori e passa alle caste inferiori - dei mercanti e dei servi - si ha di necessità una virtuale regressione naturalistica, si restaura la dipendenza dell'uomo da quegli "spiriti della terra", che nell'altro caso - nel quadro della tradizionalità solare dei signori del suolo - "presenze" superiori trasformavano in zone di influenze propizie, in "limiti creatori" e preservatori. La terra, che può anche appartenere ad un "mercante", vaisha - i proprietari dell'èra capitalistico-borghese possono considerarsi come gli equivalenti moderni dell'antica casta dei mercanti - o ad un servo (il moderno lavoratore), è una terra profanata: non altra è dunque quella che - conformemente appunto agli interessi propri alle due caste inferiori, riuscite a strapparla definitivamente all'antico tipo dei "signori" - non vale più che come un fattore di "economia", da sfruttare ad oltranza in ogni suo aspetto con macchine ed altre escogitazioni moderne. Senonché, giungendo a tanto, è naturale incontrare gli altri sintomi caratteristici per una tale discesa: la proprietà tende sempre più a passare dall'individuale al collettivo. [...] Si ha cioè proprio un ritorno dell'impero del collettivo sull'individuale, col quale si riafferma altresì il concetto collettivistico e promiscuo della proprietà proprio alle razze inferiori, come "superamento" della proprietà privata, come statizzazione, socializzazione e proletarizzazione dei beni e delle terre.
* Non tanto dei nuovi "fatti" potranno portare al riconoscimento di diversi orizzonti, quanto un nuovo atteggiamento dinanzi ad essi.
* Anche nella morale Cristiana la parte avuta da influenza e meridionali e non arie è abbastanza visibile. Che sia di fronte a un Dio, e non ad una dea, che non si riconosce spiritualmente alcuna differenza fra uomo e uomo e si elegge per supremo principio l'amore, è di poco momento. Questa eguaglianza appartiene essenzialmente ad una concezione generale, una variante della quale è quel "diritto naturale", che aveva trovato modo di insinuarsi nel diritto romano della decadenza: è in funzione antitetica rispetto all'ideale eroico della personalità, al valore dato a tutto ciò che un essere differenziandosi, dando a se stesso una forma, conquista per sè in un ordine gerarchico.
* Qui aveva preso parimenti forma l'idea della "salvazione" in senso ormai semplicemente religioso e si era affermato l'ideale di una religione aperta a tutti, estranea ad ogni concetto di razza, tradizione e casta, quindi, praticamente, andando incontro a coloro che è di razza, di tradizione e di casta non me avevano nessuna. In questa massa, presso l'azione concomitante dei culti universalistici di provenienza orientale, si andò sempre più diffondendo un bisogno confuso - finché nella figura del fondatore del cristianesimo apparve, per così dire, ciò che produsse la precipitazione catalitica, la cristallizzazione di quel che saturava l'atmosfera. Ed allora non si trattò più di uno strato, di una influenza diffusa, bensì di una forza precisa contro ad un'altra forza.
* L'anima è in ogni essere ragionevole, il principio che decide circa tutto ciò che il corpo eseguirà.
* È compito della tradizione - lo si ripete - scavare dei saldi alvei, a che le correnti caotiche della vita fluiscano nella direzione giusta. Liberi, sono coloro che assumendo questa direzione tradizionale non la sentono come imposta, ma vi si sviluppano spontaneamente, vi si riconoscono, tanto da attenuare quasi con un moto dall'interno la possibilità più alta, "tradizionale", della loro natura. Gli altri, quelli che seguono materialmente le istituzioni, obbedendo, ma senza comprenderle e viverle, sono i sorretti: per quanto privo di luce, il loro ubbidire li porta virtualmente oltre la loro limitazione di individui, li dispone sulla stessa direzione dei primi. Ma per coloro che non seguono né nello spirito, né nella forma l'alveo tradizionale, non vi è che il caos. Sono i perduti, i caduti.
* Poi, si è vista la rivolta dei Comuni e il sorgere delle varie formazioni medievali di una potenza mercantile. La programmazione solenne dei diritti del "Terzo Stato" in Francia costituisce la tappa decisiva cui seguono le varietà della "rivoluzione borghese", cioè appunto della terza casta, cui fanno da strumento le ideologie liberali e democratiche. Corrispondentemente, é caratteristica per questa èra la teoria del contratto sociale: come legame sociale ora non si trova più nemmeno una fides di tipo guerriero, cioè rapporti di fedeltà e di onore. Il legame sociale assume un carattere utilitario e economico: è un accordo in base alla convenienza e all'interesse materiale - quello, che solo un mercante può concepire. L'oro fa da tramite e chi se ne impadronisce e sa moltiplicarlo  (capitalismo, finanza, trust industriali) dietro la facciata di demoratica controlla virtualmente anche il potere politico e gli strumenti di formazione della pubblica opinione. L'aristocrazia cede il posto alla plutocrazia; il guerriero, al banchiere e all'industriale. L'economia vince su tutta la linea. Il traffico con la moneta e con l'interesse, prima confinato nei ghetti, invade la nuova civiltà. Secondo l'espressione del Sombart, nella terra promessa del puritanesimo protestantico, con l'americanismo e il capitalismo, non vive che "spirito ebraico distillato". Ed è naturale che, date queste premesse di congenialità, i rappresentanti moderni dell'ebraismo secolarizzato abbiano quasi visto aprirsi dinanzi a loro, in questa fase, le vie della conquista del mondo. Sono caratteristiche queste espressioni di Karl Marx:"Qual è il principio mondano dell'ebraismo? L'esigenza pratica, il proprio vantaggio. Qual è il suo Dio terrestre? Il denaro. L'ebreo si è emancipato non solo in quanto si è appropriato della potenza del denaro, ma anche in quanto per suo mezzo il denaro è divenuto potenza mondiale. Il dio degli ebrei si è mondanizzato ed è divenuto il dio della terra. Il cambio è il vero Dio degli ebrei."
* Se il vertice delle civiltà tradizionali era costituito dal principio dell'universalità, la civiltà moderna sta dunque essenzialmente sotto il segno di quello del collettivo. Il collettivo sta all'universale come la "materia" sta alla "forma".<ref>{{NDR|[[proporzioni|Proporzione]]}}</ref> Il differenziarsi della sostanza promiscua del collettivo e il costituirsi di esseri personali mediante l'adesione a principi di interessi superiori è il primo passo di ciò che in senso eminente e tradizionale sempre si è inteso per "cultura". Quando il singolo è giunto a dare una legge e una forma alla propria natura sì dà appartenere a sé stesso anziché dipendere dalla parte semplicemente fisica del suo essere è già presente la condizione preliminare per un ordine superiore, in cui la personalità non è abolita, ma integrata: e tale è l'ordine stesso delle partecipazioni tradizionali nel quale ogni individuo ogni funzione e ogni casta acquistano il loro giusto senso attraverso il riconoscimento di ciò che è loro superiore e il loro organico connettersi ad esso.
* Per l'accennata azione orientatrice, è bene che tali "testimoni" vi siano, che i valori della Tradizione vengono sempre indicati, anzi in una forma tanto più in attenuata e dura, per quanto più lo posta corrente acquista forza. Anche se oggi questi valori non possono essere realizzati, non per questo essi si riducono a semplici "idee". Essi sono misure. Qualora anche la capacità elementare di misurare andasse completamente perduta, allora davvero l'ultima notte scenderebbe. Si lascino pure gli uomini del tempo nostro parlare, nel riguardo, con maggiore o minore sufficienza e improntitudine, di anacronismo e di antistoria. Noi sappiamo bene essere, questi, solo gli alibi della loro disfatta. Li si lascino alle loro "verità" e ad un'unica cosa si badi: a tenersi in piedi in un mondo di rovine.
* A lato delle grandi correnti del mondo, esistono ancora individualità ancorate nelle "terre immobili". Sono, di massima, degli sconosciuti che si tengon fuori da tutti i trivi della notorietà e della cultura moderna. Essi mantengono le linee di vetta, non appartengono a questo mondo - pur essendo sparsi sulla terra e spesso ignorandosi a vicenda sono uniti invisibilmente e formano una catena infrangibile nello spirito tradizionale. Questo nucleo non agisce: ha solo la funzione a cui corrisponde il simbolismo del "fuoco perenne". In virtù di essi, la Tradizione è presente malgrado tutto, la fiamma arde invisibilmente, qualcosa connette sempre il mondo al sovramondo. Sono coloro che vegliano.
 
== ''Gli Uomini e le Rovine'' ==
*Il riconoscimento da parte dell’inferiore è la base di ogni gerarchia normale e tradizionale. Non è il superiore che ha bisogno dell’inferiore, ma è l’inferiore che ha bisogno del superiore.
* Ognuno ha la libertà che gli spetta, misurata dalla statura e dalla dignità della sua persona.
* Compito essenziale è dunque formulare una adeguata dottrina, tener fermo a principi rigorosamente pensati e, partendo da ciò, dar forma a qualcosa di simile, appunto, ad un Ordine. Questa élite, differenziandosi su un piano che si definisce in termini di virilità spirituale, di decisione e di impersonalità, su un piano dove cessa di aver forza e valore qualsiasi vincolo naturalistico, sarà la portatrice di un nuovo principio di imprescrivibile autorità e sovranità, saprà accusare la sovversione e la demagogia in qualunque forma esse si presentino, arresterà il moto discendente del vertice e ascendente della base. Da essa, come da un seme, potrà trarre vita un organismo politico e una integrata nazione, in una dignità non diversa da quelle già create da una grande tradizione politica europea. Tutto il resto non è che pantano, dilettantismo, irrealismo, obliquità.
* La legittimazione più alta e reale di un vero ordine politico, epperò dello stesso Stato, sta nella sua funzione anagogica: nel suo suscitare e alimentare la disposizione del singolo ad agire e pensare, a vivere, lottare ed eventualmente a sacrificarsi in funzione di qualcosa che va di là della sua semplice individualità.
* A lato della romanità delle origini, che riprodusse in forma speciale e originale un tipo di cultura e di costume comune alle principali civiltà superiori indoeuropee, ve ne è una grecizzata in senso negativo, ve ne è una "punicizzata", ve ne è una "ciceroniana", ve ne è una asiaticizzata, ve ne è una a cattolica e così via. I punti di riferimento non vanno cercati in esse. Quel che in esse può esserci di valido, ai nostri fini lo si può ricondurre alla prima. Questa romanità originaria ebbe la sua base in una figura umana definita da un certo gruppo di disposizioni tipiche. In primo luogo sono da considerarsi un'attitudine dominata, un'audacia illuminata, un parlare conciso, un agire preciso e coerente quanto medidato, un freddo senso di dominio, alieno da personalismo e da vanità. Allo stile romano appartengono la "virtus" non come moralismo bensì come virilismo e coraggio, epperò la "fortitudo" e la "constantia", cioè la forza d'animo; la "sapientia", nel senso di riflessività, di consapevolezza; la "disciplina" come amore per una propria legge e una propria forma; la "fides" nel senso specificatamente romano di lealtà e di fedeltà; la "dignitas", la quale nell'antica aristocrazia patrizia si potenziava in "gravitas" e "solemnitas", in misurata, seria solennità. Sempre allo stesso stile appartengono l'agire preciso, senza grandi gesti; un realismo che non significa materialismo bensì amore per l'essenziale; l'ideale della chiarezza, un equilibrio interno e una diffidenza per ogni abbandono dell'anima e per ogni confuso misticismo; un amore pel limite; l'attitudine ad unirsi senza confondersi, in vista di un fine superiore o per un'idea da esseri liberi. Possono aggiungersi anche la "religio" e la "pietas", non significanti la religiosità nel senso più recente, significanti invece, pel Romano, un atteggiamento di rispettosa e dignitosa venerazione, e in pari tempo, di fiducia, di riconnessione nei riguardi del sovrasensibile, sentito presente ed agente presso le forze umane individuali, collettive e storiche. Del pari, questi elementi di stile hanno una loro evidenza, non sono legati a tempi trascorsi, possono in qualsiasi periodo agire come forza informatrici del carattere e valere come ideali non appena si desti una vocazione corrispondente. Inoltre, non è il caso di pensare che essi dovrebbero essere fatti propri da tutti gli individui: ciò sarebbe assurdo e, del resto, non necessario: basterebbe che nella nazione un certo strato, tenuto a dare il tono al resto, li incorporasse.
* Vi è di più, per quel che riguarda i problemi interni di un popolo. Là dove si promuove, od anche soltanto non si combatte, l'indiscriminato accrescimento demografico, sono da attendersi gli effetti deleteri della legge della controselezione. Di fatto, sono le razze inferiori e gli strati sociali più bassi quelli più prolifici. Così si può dire che mentre il numero degli elementi superiori, più differenziati, aumenta in proporzione aritmetica, quello degli elementi inferiori cresce in proporzione geometrica, il che ha per risultato una fatale involuzione dell'insieme. Lo sfaldarsi e poi il franare dei grandi organismi imperiali e spesso avvenuto proprio in seguito a ciò: Come per una marea dal basso, per un dilatarsi teratologico della base, costituita da un elemento promiscuo e proletario. Vale qui ricordare che il termine proletario deriva da proles e riporta all'idea di un’ animalesca prolificità. Come giustamente ha notato il Marenshkowkij, esso si applicava soprattutto a coloro la cui unica capacità creativa era quella di generare figli - uomini nel corpo ma quasi enunchi nello spirito; siffatta direzione, nel suo logico sviluppo, conducendo verso quella società ideale in cui non esistono più classi, anzi né uomini né donne ma compagni e compagne, quasi cellule asessuate di un immenso formicaio.
* Così va detto che un partito che si fa "partito unico", con ciò stesso dovrebbe cessare di essere "partito". I suoi uomini o, almeno, i più qualificati di essi, allora è nella veste di una specie di Ordine, di classe specificamente politica che dovrebbe presentarsi e governare, non costituendo uno Stato nello Stato, ma andando a presidiare e rafforzare le posizioni-chiave dello Stato, non difendendo una loro particolare ideologia ma incarnando impersonalmente la stessa idea pura dello Stato.
* La creazione di uno Stato nuovo e di una civiltà nuova sarà sempre cosa effimera quando l'uno e l'altra non abbiano per substrato un uomo nuovo.
* Per le crisi che hanno travagliato e che travagliano la vita dei popoli moderni vengono addotte cause varie cause: storiche generali, sociali, economico-sociali, politiche, morali, culturali e via dicendo, a seconda dei punti di vista. Tuttavia è da porsi un problema superiore ed essenziale: sono, queste, sempre le cause prime, e hanno un carattere automatico come quelle del mondo fisico? E nel quadro di una simile problematica che si definisce il concetto della "guerra occulta". È, questa, la guerra condotta insensibilmente da quelle che, in genere si possono chiamare le forze della sovversione mondiale, con mezzi e in circostanze ignorati dalla corrente storiografia. [...] Ma se si considerano i veri agenti della storia negli speciali aspetti di questa, di cui ora stiamo trattando, le cose stanno diversamente: qui non si può parlare né di subconscio né inconscio, qui noi abbiamo invece a che fare con forze intelligenti le quali sanno benissimo che cosa vogliono e quali sono i mezzi più acconci per il raggiungimento - quasi sempre indiretto di quel che vogliono. La terza dimensione della storia non deve dunque esser fatta svaporare nella nebbia di astratti concetti filosofici e sociologici, ma va pensata come "un dietro le quinte" dove operano precise "intelligenze".
 
== ''Intellettualismo e Weltanschauung'' ==
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==Note==
<references />
 
== Opere ==
==Bibliografia==
*Julius Evola, ''Cavalcare la tigre'', Edizioni Mediterranee, 1961.
 
==Altri progetti==
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