Silvio D'Amico: differenze tra le versioni

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*Boutet arrivò a' suoi cinquantanove anni, attraverso le delusioni più sfibranti che uomo fidente in un'idea abbia mai sopportato, con le convinzioni de' suoi diciotto, e con la serietà e la preoccupazione del suo apostolato, immutabili. «Fede, mistero, religioso, santo, sacro», sono appunto le parole che s'incontrano più frequenti ne' suoi scritti. Poteva accadere che scherzasse, forse nello stesso numero del giornale in cui Boutet scriveva, l'autore dell'articolo dove si trattava di politica, di pace, di guerra, o che so io: ma non scherzava lui, Boutet. Perché potevano essere mestieranti gli altri: lui si sentiva sacerdote. (p. 30)
 
*Accade un po' dei giornalisti come degli attori: che la loro opera, avendo carattere momentaneo e quotidiano, non sopravviva alla loro morte: e non c'è chi possa poi ricordarla e discuterla, se non tra chi n'abbia avuto in tempo diretta e personale conoscenza. Che sappiamo e che sapremo mai, noi giovani, di [[Gustavo Modena]] e d'[[Adelaide Ristori]]? Parole. Che sappiamo noi delle famose critiche giornalistiche, che Eduardo Boutet sparse ne' quotidiani in voga durante la sua giovinezza, ora introvabili sin nelle biblioteche, introvabili a lui stesso che in questi ultimi tempi non ne serbava più se non il ricordo?<br>Una fama le ha accompagnate nell'ambiente teatrale: la fama d'una grande severità. Per lo meno, chi le rammenta, ebbe questa impressione: che Boutet «stroncasse». (p. 31)
 
*[...] noi italiani, mentre non abbiamo una grande tradizione d'autori drammatici e comici, ne abbiamo una senza confronto più importante e gloriosa di esecutori, che va dalle vecchie compagnie delle ''maschere'' ai nomi di Gustavo Modena, di Adelaide Ristori, Tommaso Salvini, di Ernesto Rossi, di Giovanni Emanuel, di Eleonora Duse, di Ermene Novelli.<br>Ora questo fatto ha creato, nella realtà della nostra vita di teatro, un disequilibrio e un capovolgimento di valori, per cui l'attore è tutto e l'autore è nulla: l'attore è, invece che il fedele esecutore, il despota; e l'autore è, invece che il creatore, l'umile fornitore del {{sic|canevaccio}}, dello schema-pretesto, su cui il comico verrà poi a ricamare le soggettive meraviglie della sua virtuosità. (p. 36)