Epopea di Gilgameš: differenze tra le versioni

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==Citazioni==
*{{NDR|Su [[Gilgamesh]]}} Una dea lo ha fatto, forte come toro selvaggio; nessuno può resistere alle sue armi. Nessun figlio è lasciato a suo padre, poiché Gilgameš tutti li prende; e questi sarebbe il re, il pastore del suo popolo? La sua lussuria non lascia nessuna vergine all'amante, né la figlia del guerriero, né la moglie del nobile. (Sandars, cap. 1, p. 86)
*{{NDR|Su [[Enkidu]]}} C'era in lui la virtù del dio della guerra, di Ninurta stesso. Aspro era il suo corpo, lunghi i suoi capelli come quelli di una donna, ondeggiavano come i capelli di Nisaba, dea del grano. Il suo corpo era coperto di pelo arruffato come quello di Sumuqan, dio del bestiame. Era ignaro dell'umanità, nulla sapeva della terra coltivata. (Sandars, cap. 1, p. 87)
*Sono io il più forte, sono venuto a mutare l'ordine antico, sono colui che nacque sulle colline, sono colui che è più forte di tutti. ([[Enkidu]], Sandars, cap. 1, p. 90)
*{{NDR|Su [[Ḫumbaba]]}} Quando ruggisce è come lo scroscio della tempesta, il suo alito è come il fuoco, le sue fauci sono la morte stessa. Fa la guardia ai cedri così bene che quando una giovenca selvatica si muove nella foresta lui la ode anche a sessanta leghe di distanza. Chi è l'uomo che di sua volontà camminerebbe per quel paese e ne esplorerebbe i recessi? ([[Enkidu]], Sandars, cap. 2, p. 96)
*Chi è l'uomo che può scalare il cielo? Soltanto gli dèi vivono per sempre con Šamaš glorioso; invece noi uomini abbiamo i giorni contati, le nostre faccende sono un soffio di vento. ([[Gilgameš]], Sandars, cap. 2, p. 96)
*Quando due vanno insieme, ciascuno protegge se stesso e difende il compagno, e se essi cadono lasciano ai posteri un nome duraturo. ([[Gilgameš]], Sandars, cap. 2, p. 102)
*{{NDR|Su [[Ḫumbaba]]}} I suoi denti sono zanne di drago, il suo volto è quello di un leone, la sua carica è come l'impeto di una piena, con lo sguardo abbatte gli alberi della foresta assieme alle canne della palude. ([[Enkidu]], Sandars, cap. 2, p. 106)
*Se il tuo cuore ha paura, getta via la paura, se in esso vi è terrore, getta via il terrore. Prendi in mano le scure e attacca. Chi lascia incompiuta la lotta non ha pace. ([[Gilgameš]], Sandars, cap. 2, p. 107)
*Il più forte fra gli uomini cadrà in preda al fato se non ha giudizio. Namtar, il fato maligno che non conosce distinzioni fra gli uomini, lo divorerà. Se l'uccello intrappolato ritornerà al nido, se l'uomo prigioniero farà ritorno tra le braccia di sua madre, allora tu, amico mio, non farai mai ritorno alla città dove attende la madre che ti ha fatto nascere. Egli ti sbarrerà la via della montagna e renderà i sentieri inaccessibili. ([[Enkidu]], Sandars, cap. 2, p. 109)
*{{NDR|Su [[Ištar]]}} I tuoi amanti ti hanno trovata come un braciere che va spegnendosi al freddo, una porta che non respinge né folata di vento, né tempesta, un castello che travolge la guarnigione, la pece che annerisce chi la porta, una fiasca che irrita la pelle di chi l'ha indosso, una pietra che cade da un parapetto, un ariete da assedio che ritorce i suoi colpi, un sandalo che fa incespicare chi lo calza. Quale dei tuoi amanti hai mai amato per sempre? Quale dei tuoi pastori ti ha soddisfatta in eterno? ([[Gilgameš]], Sandars, cap. 3, pp. 111-112)
*Amico mio, la grande dea mi ha maledetto e dovrò morire nella vergogna. Non morirò come un uomo caduto in battaglia; io temevo di cadere in battaglia: invece, felice è l'uomo che cade in battaglia, mentre io dovrò morire nella vergogna. ([[Enkidu]], Sandars, cap. 3, p. 120)
*''O Enkidu, fratello mio, | tu fosti la scura al mio fianco, | la forza della mia mano, la spada nella mia cintura, | lo scudo davanti a me, | una veste gloriosa, il mio più leggiadro ornamento; | un Fato malvagio mi ha derubato. | L'onagro e la gazzella | che padre e madre ti furono, | tutte le creature della lunga coda che ti nutrirono | ti piangono, | tutti gli esseri selvatici della piana e dei pascoli; | i sentieri che amavi nella foresta dei cedri | notte e giorno mormorano.'' ([[Gilgameš]], Sandars, cap. 3, p. 120)
*Come posso riposare, come posso aver pace? La disperazione è nel mio cuore. Ciò che è mio fratello ora, lo sarò io quando sarò morto. Poiché ho paura della morte farò del mio meglio per trovare [[Atraḫasis|Utnapištim]], colui che chiamano il Lontano; egli infatti è entrato nel consesso degli dèi. ([[Gilgameš]], cap. 4, p. 123)
*Gilgameš, dove ti affretti? Non troverai mai la vita che cerchi. Quando gli dèi crearono l'uomo, gli diedero in fato la morte, ma tennero la vita per sé. (Siduri, Sandars, cap. 4, p. 128)
*A cagione di mio fratello ho paura della morte, a cagione di mio fratello vado ramingo per le lande. Come posso tacere, come posso riposare? Egli è polvere e anch'io [[morte|morrò]] e sarò disteso nella terra per sempre. ([[Gilgameš]], Sandars, cap. 4, p. 132)
*Nulla permane. Costruiamo forse una casa che duri per sempre, stipuliamo forse contratti che valgano per ogni tempo a venire? Forse che i fratelli si dividono un'eredità per tenerla per sempre, forse che è duratura la stagione delle piene? Solo la ninfa della libellula si spoglia della propria larva e vede il sole nella sua gloria. Fin dai tempi antichi, nulla permane. Dormienti e morti, quanto sono simili: sono come morte dipinta. Che cosa divide padrone e servo quando entrambi hanno compiuto il proprio destino? Quando gli [[Anunnaki|Anunnakkū]], i giudici, si radunano e anche Mammetun madre dei destini, assieme decretano i fati degli uomini. Vita e morte assegnano, ma non rivelano il giorno della morte. ([[Atraḫasis|Utnapištim]], Sandars, cap. 4, p. 133)
*{{NDR|Avvertendo [[Atraḫasis|Utnapištim]] del [[diluvio universale]]}} Uomo di Šuruppak, figlio di Ubara-Tutu, abbatti la tua casa e costruisci una nave, abbandona i tuoi averi e cerca la vita, disprezza i beni mondani e mantieni viva l'anima tua. Abbatti la tua casa, ti dico, e costruisci una nave. Ecco le misure del battello, così come lo costruirai: che la sua larghezza sia pari alla sua lunghezza, che il suo ponte abbia un tetto come la volta che copre l'abisso; conduci quindi nella nave il seme di tutte le creature viventi. ([[Enki|Ea]], Sandars, cap. 5, p. 135)
*{{NDR|Sul [[diluvio universale]]}} Alle prime luci dell'alba venne dall'orizzonte una nube nera; tuonava da dentro, là dove viaggiava [[Adad]], signore della tempesta. Davanti, sopra collina e pianura, venivano Šullat e Ḫališ, nunzi della tempesta. Poi sorsero gli dèi dell'abisso: Nergal divelse le dighe delle acque sotterranee, Ninurta dio della guerra abbatté gli argini e i sette giudici degli Inferi, gli [[Anunnaki|Anunnakkū]], innalzarono le loro torce, illuminando la terra di livida fiamma. Sgomento e disperazione si levarono fino al cielo quando il dio della tempesta trasformò la luce del giorno in tenebra, quando infranse la terra come un coccio. Per un giorno intero imperversò la bufera, infuriando sempre di più si riversava sulla gente come l'impeto di una battaglia; nessuno poteva vedere il proprio fratello, né dal cielo si potevano vedere il proprio fratello, né dal cielo si potevano vedere gli uomini. Anche gli dèi erano terrorizzati dal diluvio, fuggirono nel più alto cielo, il firmamento di Anu; si rannicchiarono contro le mura, acquattandosi come cani bastardi. Poi [[Ištar]], Regina del Cielo dalla dolce voce, gridò come donna in travaglio: "Ahimè, gli antichi giorni sono ormai polvere, poiché io ho ordinato il male. Oh, perché ho ordinato questo male al concilio di tutti gli dèi? Guerre ho ordinato per distruggere gli uomini, ma non sono forse essi la mia gente, dal momento che io li ho generati? Ora nell'oceano galleggiano come uova di pesci". ([[Atraḫasis|Utnapištim]], Sandars, cap. 5, p. 138)
*All'albeggiare del settimo giorno liberai una colomba e la lasciai andare. Volò via, ma non trovando dove riposarsi fece ritorno. Poi liberai una rondine ed essa volò via, ma non trovando dove riposarsi fece ritorno. Poi liberai un corvo e questo vide che le acque si erano ritirate, mangiò, volò all'intorno, gracchiò e non fece ritorno. ([[Atraḫasis|Utnapištim]], Sandars, cap. 5, pp. 138-139)
*''Imponi sul peccatore il suo peccato, | imponi sul trasgressore la sua trasgressione, | puniscilo un poco quando evade, | non incalzarlo troppo, altrimenti perisce. | Magari un leone avesse dilaniato l'umanità | invece del diluvio, | magari un lupo avesse dilaniato l'umanità | invece del diluvio, | magari la carestia avesse devastato il mondo | invece del diluvio, | magari la pestilenza avesse devastato l'umanità | invece del diluvio.'' ([[Enki|Ea]], Sandars, cap. 5, pp. 139-140)
*Che cosa farò, Utnapištim, dove andrò? Già il ladro nella notte ha ghermito le mie membra, la morte abita nella mia camera; ovunque si posi il mio piede, lì trovo la morte. ([[Gilgameš]], Sandars, cap. 6, p. 142)
 
==Explicit==