Paolo Emilio Pavolini: differenze tra le versioni

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===Citazioni===
*Mentre dalle poche pagine degli Evangeli la figura del Cristo ci appare in tutta la sua grandezza, quella del Buddha non ci è mostrata che in modo assai vago e scolorito dall'immenso ''Tipitaka''<ref>Canone buddistico, dal sanscrito ''Tripiṭaka'', il triplice canestro.</ref>. Né poteva essere altrimenti, dato il contrasto fra le due dottrine, l'antitesi perfetta tra lo spirito e le tendenze del cristianesimo e del buddismo. Brevi e semplici le parole del Redentore, quali si convenivano alle turbe che lo ascoltavano: ma nella loro brevità quanto significanti e quanto sublimi nella semplicità! Lunghe, uniformi, monotone, gelide le prediche dell'[[Gautama Buddha|Illuminato]]: non il dolore dell'individuo è dinanzi ai suoi occhi o in fondo al suo cuore, ma il dolore universale, la miseria di ogni cosa creata: e di questa miseria {{sic|ei}} dimostra la natura, le cause ed i mezzi di distruggerla, con una serie di ragionamenti astratti e severi, modellati tutti sopra uno stesso schema, svolti tutti con le stesse formule, con infinite tediose ripetizioni. Mai forse lo stile rispecchiò il pensiero come in questi libri buddistici: stile schematico, uniforme e scolorito, espressione di quietismo, di indifferenza, di assenza di individualità. (cap. II, pp. 40-41)
 
*Come il cristianesimo è stato definito la religione dell'amore, così si potrebbe chiamare il [[Buddhismo|buddismo]] la religione del dolore. L'esistenza è dolore, col cessare dell'esistenza cessa ogni dolore: e dall'esistenza può liberarsi soltanto chi conosca le quattro sublimi verità e segua l'ottuplice sentiero. (cap. III, p. 51)
 
*[...] si può concludere che per essa {{NDR|l'ontologia buddistica}} niente esiste e niente non esiste: ma «ogni cosa ''diventa''» ogni cosa è soggetta ad un continuo mutamento, πάντα ῥεῖ<ref>Pánta rheî o Panta rei, in greco antico "tutto scorre", celebre aforisma attribuito a Eraclito.</ref> (cap. III, p. 69)
 
*[...] è evidente la parentela della filosofia dello [[Arthur Schopenhauer|Schopenhauer]] con la metafisica del Buddha: per ambedue ogni esistenza è dolore, per ambedue la liberazione dal dolore sta nella negazione della volontà ossia dell'esistenza; e solo la scienza (''{{sic|vidyá}}''<ref>Vidyā, in sanscrito "conoscenza".</ref>) ci conduce a questa negazione che ha per termine ed effetto il nirvana. (cap. III, p. 69)
 
*È facile capire come in una religione senza Dio {{NDR|il buddismo}}, il concetto del bene e del male debba essere ben diverso da quello che ci è familiare nelle nostre religioni teistiche. Il peccato è peccato in quanto ostacola e ritarda il raggiungimento della verità, o meglio delle quattro sublimi verità: ma ciò che c'impedisce di riconoscere queste ultime non è che l'«ignoranza» e da questa, come vedemmo, non possiamo liberarci che liberandoci dal desiderio, dalla cupidigia e dalle passioni. Quindi male e bene, vizio e virtù, diventano sinonimi di ignoranza e scienza, di cupidigia e assenza di desiderî. (cap. III, p. 70)
 
*Alla teoria delle influenze buddistiche sul cristianesimo o cristiane sul buddismo, non sono mancati ardenti sostenitori: come già ad alcuni parve di riscontrare affinità e parentela fra il culto e le leggende relative ad alcune divinità indiane (p. es. {{sic|Krsna}}<ref>Trascrizione dal sanscrito, [[Krishna]].</ref>) e il culto e le tradizioni cristiane. Tanto queste che quelle teorie appaiono ora, grazie al progresso degli studi ed allo spirito di più sana critica che li anima, o del tutto o in parte inattendibili. Il cristianesimo ''primitivo'' non può aver influito sul ''primitivo'' buddismo, perché questo si era già svolto un cinque secoli prima di quello; né dogmi e leggende del buddismo primitivo possono esser passate nel cristianesimo perché è ora dimostrato impossibile che potessero esser conosciute e diffuse nella Palestina (anche col tramite dei Persiani o dei Siri) prima della nascita di Cristo; infatti di esse nessuna traccia si trova nella letteratura giudaica di poco anteriore all'E. V.<ref>Era volgare.</ref> (cap. VI, pp. 156-157)
 
==Note==