Michele Prisco: differenze tra le versioni

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Freddy84 (discussione | contributi)
m wikifico (ma anche qui, com'è questo incipit?)
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'''Michele Prisco''' (1920 – 2003), scrittore e giornalista italiano.
 
===[[Incipit]] ''di alcune sue opere''===
{{NDR|Michele Prisco, ===''La provincia addormentata'', BUR, 1978.}}===
====''La sorella gialla''====
Nella camera c’era un odore caldo e sgradevole, mi prese subito alla gola: quasi mi pareva d’essere rientrata nella stalla, quando la mucca s’era sentita male. Mancava il puzzo del letame, ma c’era la stessa aria densa e appiccicaticcia. Marina dormiva. Mi avvicinai lentamente al letto: non era più gialla, era bianca, adesso. Ma aveva il letto, la coperta, sporca di sangue pareva, c’erano macchie rosse che affioravano spandendosi sulla stoffa, c’era quell’odore caldo, fortissimo qui. Istintivamente le tirai di dosso con violenza il lenzuolo, per quanto respinta da quell’alito pesante; vidi il sangue, le aveva bagnato la camicia, le mani aderenti ai fianchi, era scuro e quasi aggrumato appena percettibile, subito si rapprendeva. Lei non mi aveva sentito, non aveva avuto un gesto: io invece tremavo assalita da una frenetica ebbrezza di disinganno e di angoscia. Ma riuscii a gridare ugualmente:<br>Marina! Marina!<br>Entrarono tutti, come se fossero stati dietro l’uscio ad aspettare il mio grido: ma ormai bisognava solo lavarla, e metterle un’altra camicia. (da ''La sorella gialla'', incipit)
 
====''LaIl provinciacapriolo addormentataferito''====
Quando la sera è carica e silenziosa, i rumori si spogliano d’ogni loro umanità, molti ridiventano semplice suono e acquistano, nella raggiunta impersonalità che li isola, una vibrazione tanto pura da sembrare crudele, traslucida risonanza. (da'' Il capriolo ferito'', incipit)
Nella camera c’era un odore caldo e sgradevole, mi prese subito alla gola: quasi mi pareva d’essere rientrata nella stalla, quando la mucca s’era sentita male. Mancava il puzzo del letame, ma c’era la stessa aria densa e appiccicaticcia. Marina dormiva. Mi avvicinai lentamente al letto: non era più gialla, era bianca, adesso. Ma aveva il letto, la coperta, sporca di sangue pareva, c’erano macchie rosse che affioravano spandendosi sulla stoffa, c’era quell’odore caldo, fortissimo qui. Istintivamente le tirai di dosso con violenza il lenzuolo, per quanto respinta da quell’alito pesante; vidi il sangue, le aveva bagnato la camicia, le mani aderenti ai fianchi, era scuro e quasi aggrumato appena percettibile, subito si rapprendeva. Lei non mi aveva sentito, non aveva avuto un gesto: io invece tremavo assalita da una frenetica ebbrezza di disinganno e di angoscia. Ma riuscii a gridare ugualmente:<br>Marina! Marina!<br>Entrarono tutti, come se fossero stati dietro l’uscio ad aspettare il mio grido: ma ormai bisognava solo lavarla, e metterle un’altra camicia. (da ''La sorella gialla'', incipit)
Arnaldo pianse, senza ritegni più, lasciandosi scuotere dai singhiozzi con uno spasimo di ritrovamento e d’espiazione che avrebbe potuto dargli ancora un approdo pensato perduto e aiutarlo a risalire dalla profondità della colpa, non importa a che prezzo. Soffocava contro il guanciale i singhiozzi e il suo grosso corpo sussultava a tratti, sembrava un pino tagliato alla base del tronco, caduto senza possibilità di ritrovare con la chioma il cielo, che lo spaurito brusio degli uccelli sbattuti dal nido colma intorno di lamenti e stridori.<br>« Emanuele,» diceva « ma non sono un assassino? Quel giorno era così bella, Emanuele, e io l'amavo e pensavo di ucciderla...»( da ''Il capriolo ferito'', incipit ) {{da controllare|citazione necessaria|e questa?}}
 
Quando la sera è carica e silenziosa, i rumori si spogliano d’ogni loro umanità, molti ridiventano semplice suono e acquistano, nella raggiunta impersonalità che li isola, una vibrazione tanto pura da sembrare crudele, traslucida risonanza. (da'' Il capriolo ferito'', incipit)
 
Arnaldo pianse, senza ritegni più, lasciandosi scuotere dai singhiozzi con uno spasimo di ritrovamento e d’espiazione che avrebbe potuto dargli ancora un approdo pensato perduto e aiutarlo a risalire dalla profondità della colpa, non importa a che prezzo. Soffocava contro il guanciale i singhiozzi e il suo grosso corpo sussultava a tratti, sembrava un pino tagliato alla base del tronco, caduto senza possibilità di ritrovare con la chioma il cielo, che lo spaurito brusio degli uccelli sbattuti dal nido colma intorno di lamenti e stridori.<br>« Emanuele,» diceva « ma non sono un assassino? Quel giorno era così bella, Emanuele, e io l'amavo e pensavo di ucciderla...»( da ''Il capriolo ferito'', incipit ) {{da controllare|citazione necessaria|e questa?}}
 
{{NDR|Michele Prisco, ''La provincia addormentata'', BUR, 1978.}}
 
==''Una spirale di nebbia''==
E così continuava a fissare assorta la fotografia di sua madre e a rincorrere l’immagine di Valeria, ormai persa abbandonata dietro questo giuoco di sovrimpressioni: e forse perché adesso doveva pensarla morta, eliminata per sempre, avvertiva a un tratto un vago turbamento, un rimorso, no, non proprio un rimorso, semmai un’insofferenza confusa e delusa, una specie di, come poteva definirla, di necessità di riparazione, ma neppure è l’espressione giusta, di maggiore tolleranza e umanità, di ordine, ecco, di pulizia. Per quel bisogno che abbiamo , di fronte alla morte, di sistemare per bene i nostri rapporti con coloro che ci hanno preceduti evitando di lasciare zone d’ombra, sentimenti di cruccio o d’acredine, quasi per sentirsi in pace con noi stessi più che per non sentirsi in debito con loro. Quasi per farci perdonare d’essere ancora vivi…
{{NDR|Michele Prisco, ''Una spirale di nebbia'', BUR, 1977.}}
 
===''Le parole del silenzio''===
Andavano: senza una meta precisa, e come se non li guidasse un itinerario da rispettare ma soltanto quell'abbandono fiducioso alla macchina che pareva condurli essa per suo conto, e scegliere il percorso e il traguardo. Già da poco avevano lasciato la città, e forse tra breve avrebbe piovuto. Per adesso c'era soltanto questo vento caldo, sonoro, che a intermittenze spingeva verso il centro della via, sull'asfalto, a folate mucchi d'aghi di pino secchi, gli ultimi dell'inverno appena finito, esilissimi fuscelli accoppiati come le forcine: li vedeva alla luce dei fari ed era soprattutto quest'immagine d'arsura ad accrescere il presentimento della pioggia ( ma lontano c'erano già lampi silenziosi ).
 
{{NDR|Michele Prisco, ''Le parole del silenzio'', Club Italiano dei Lettori, 1981}}
 
==Bibliografia==
{{NDR|*Michele Prisco, ''UnaLa spiraleprovincia di nebbiaaddormentata'', BUR, 19771978.}}
 
*Michele Prisco, La''Una provinciaspirale addormentatadi nebbia'', BUR, 19781977.
*Michele Prisco, Una''Le spiraleparole didel nebbiasilenzio'', BURClub Italiano dei Lettori, 19771981.
*Michele Prisco, Le parole del silenzio, Club Italiano dei Lettori, 1981
 
 
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