Luigi Meneghello: differenze tra le versioni

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*Le due colonne si salutavano allegramente, da una parte in veneto, in piemontese, in bergamasco, dall’altra nei dialetti di segno contrario. Pareva che tutta la gioventù italiana di sesso maschile si fosse messa in strada, una specie di grande pellegrinaggio di giovanotti, quasi in maschera, come quelli che vanno alla visita di leva. Guarda, pensavo; l’Europa si sbraccia a fare la guerra, e il nostro popolo organizza una festa così. Indubbiamente è un popolo pieno di risorse. (cap. 2)
*Parlare mi era facile: bastava aprire la bocca, e venivano fuori idee, iniziative, programmi, e una volta venuti fuori parevano autorevoli: è un bel vantaggio l’educazione umanistica. Chi sa parlare, comanda. Ma io ce l’avevo con questa educazione umanistica; me ne aveva fatte di sporche. Non volevo comandare; però parlavo. Dicevo: «Non fatevi influenzare da nessuno, e tanto meno da me; fate quello che vi pare giusto»; e tutti dicevano: «Bravo, ostia: facciamo come dice lui» (cap. 3)
*È inutile dire oggi che i calcoli ci saranno stati; chi dice così non ha capito niente dei comunisti di allora; noi invece li abbiamo visti coi nostri occhi, e sappiamo cosa valevano. Venivano in mente per contrasto quei compagni di scuola, a Vicenza e a Padova, che continuavano a occuparsi, forse presso una zia in campagna, di Kierkegaard e di Jaspers, o addirittura di esami universitari, per avvantaggiarsi nella vita e nella carriera, magari con qualche lirica ermetica in proprio, trasudata negli intervalli. Di questi grandi villeggianti della guerra civile, la borghesia urbana ne ha prodotti parecchi; non pochi di loro sono oggi energicamente schierati dalla parte degli angeli, hanno fatto carriera, e speriamo che siano contenti. (cap. 3)
*Che cos’è una patria se non è un ambiente culturale? cioè conoscere e capire le cose. (p. 46)