Efraim Medina Reyes: differenze tra le versioni

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==''Quello che ancora non sai del Pesce Ghiaccio''==
*è seduta sul bordo del mio letto con le gambe accavallate. Potrei azzardarmi a dire che sono infinite, se il timore di cadere in un eccesso poetico o in una bestemmia matematica non inibisse la mia brama di assoluto. Nella posizione di osservatore privilegiato di cui godo, non ho problemi a diluire il significato ulteriore di infinite. Più difficile sarebbe descrivere a un pubblico che non le abbia mai viste. Sono seduto sotto una luce fioca e sento un brusio che si spegne nel buio del teatro scendendo al livello che chiamiamo del silenzio. Comincerei il mio esercizio teorico dicendo che il concetto di infinito di cui l’essere umano dispone non rende giustizia alle gambe di Vlues, che sarebbe più corretto definire un miracolo. Il problema è che una definizione di quel calibro potrebbe annullare la misteriosa essenza. La parola miracolo ha un puzzo insopportabile di populismo che la rende altrettanto arrogante dell’idea di infinito. Sono entrambe opzioni riduttive, che pongono un inevitabile dilemma etico: inchinarsi o definire? La vita, soprattutto quella sentimentale, insegna che si ottiene solo ciò che si chiede con indifferenza. Forse è più saggio ridimensionare il discorso e adottare un tono minimalista. Basta soffermarsi a sufficienza su qualcosa che ci appare bello per scoprire che spesso l’effetto di bellezza è il prodotto di un frammento isolato che contamina il resto. Nelle gambe di Vlues ci sono un paio di punti su cui la luce si ostina a creare sfumature straordinarie. La forma snella dei piedi è un vero piacere e so che è li, in un punto indefinito tra un’estremità delle dita e l’altra, che nascono le sue gambe. Quella linea deliziosa e arbitraria viaggia esternamente dalla punta del mignolo fino all’altezza del ginocchio, e dopo una deviazione impercettibile sale a formare l’ampia curva dei fianchi per perdersi subito dopo nell’abisso della vita. Internamente, avanza rapida dalla punta dell’alluce alla fine del polpaccio, e senza fermarsi disegna un morbido arco e sale indemoniata lungo la coscia fino a raggiungere l’intimo vertice del sesso. Vlues è bianca, alta, occhi verdi e capelli castani che il mare e il sole schiariscono scurendo al tempo stesso la pelle e mettendo in risalto la tonalità delle labbra. La malinconia che mi è connaturata si fa più acuta quando guardo le sue gambe, mi si spezza il cuore al pensiero che un giorno non ci saranno più. Nell’insieme, lei è bella quasi come le sue gambe, e so che ci sono migliaia di ragazze al mondo con un bel viso e i capelli lucidi, ma non ne esistono più di una dozzina (comprese le creature di altre galassie) con delle gambe così. Ci siamo conosciuti per caso e ricordo con esattezza il tempo che è passato da allora. Ci siamo scontrati per strada, il libro che aveva in mano è caduto in una pozzanghera e quando ci siamo chinati per raccoglierlo la sua testa ha cozzato contro il mio petto; d’istinto mi sono aggrappato a lei per non cadere e siamo finiti tutti e due nella pozzanghera insieme al libro (una vecchia copia dei racconti completi di Franz Kafka). E proprio lì, tra Kafka e l’acqua fetida e scura delle fogne di città immobile, c’erano quelle gambe, e più su la voce dispiaciuta e gli occhi sorridenti. Ho amato quella ragazza lì, nel fetore della pozzanghera e diecimila anni prima. L’ho amata in un futuro confuso e nell’aurora primordiale del peccato originale. L’ho amata prima che i suoi preziosi geni percorressero gli intricati labirinti delle mutazioni, i viaggi verso l’ignoto, la percezione e l’estasi delle forme e dei segni. L’ho amata prima della paura e delle sue guerre incessanti, prima della sottomissione e dell’angoscia, prima del dolore continente e della felicità insipida e del tormento di saperli innocui e inafferrabili. Se la chiamo Vlues è per renderla unica e cancellare il passato iscritto nel suo nome. Vlues, per sentirla più mia che delle sue origini e rendere il mio richiamo inconfondibile. Vlues, perché abbia qualcosa in più da perdere con me e si incida nella mente questo suono come un tatuaggio invisibile. Vlues, perché è strano, comico, evocativo ed esagerato. Vlues, perché rifulge e corregge l’errore che i suoi genitori le hanno dato per nome. Vlues, perché lei è un Blues, uno strano e differente, e perché senza di lei l’idea che ho di me stesso sarebbe di nuovo arida e impossibile. Senza di lei sarei un’idiota, un’enfasi senza giudizio, un ragazzo della mia età senza attenuanti. Lei mi rende temporale, denso e concettuale, rinsalda la mia passione filosofica e mi allontana dalla narrativa più prevedibile e funzionale. Senza di lei non sono che un sempliciotto che fiuta lidi lontani. Lei emana stile e comprende il mio perenne bisogno di un linguaggio stravagante. Senza di lei la mia particolare ironia ed esasperata comicità non avrebbero il pubblico ideale, nonché una critica implacabile. Lei sana i miei dubbi inconfessabili e la mia incerta autostima. Lei è il mio sole di mezzanotte, la carezza che invento ogni volta che la tocco, il codice indistruttibile e la morte di ogni riferimento. Lei è un tiepido e solido dondolio d’amaca. Senza di lei sono volgare, osceno e vacuo, uno dei tanti nell’altrove fila delle speranze naufragate, del melodramma e del panico. Senza di lei tutte le stelle sono false, senza di lei le creme idratanti non funzionano, senza di lei Emily dickinson perderebbe la carica erotica che solo in lei trovo. (pp. 174-176)
* Te ne sei andata. E con te se n'è andata la possibilità di trovarti. Non che fosse molto diverso quando eri ancora qui con me. Mi sento terribile e vuoto e sicuramente stupido. Le cose cambiano ma non è questo il punto. Di solito i cambiamenti sono minimi e non si notano quasi, così possiamo pensare che tutto rimanga uguale. La notte scende sulle cose, e naturalmente, io sono una di quelle cose, forse la più indolente di tutte. I miei parametri e le mie ideologie sono sparse per la stanza. Mi piace pensare che ci sia qualcosa che significhi pensare ciò che penso. Cade l'ultima lacrima, l'ultima prima della prossima. Non fumo, non sono un vero bevitore, non posso battere il campione mondiale dei pesi massimi. So bene che odi lo sport, ma la boxe non è uno sport, amore. [...] Sono incapace di fare quel gesto/movimento che ti farebbe tornare. Il piacere di sentire e girare come un bambino nel bosco ghiacciato. Il piacere squisito di non essere opportuno. Il tipo che le figlie amano e le madri odiano. Non sono più musica per le tue orecchie, tesoro. E non pretendo di sapere niente a proposito di niente. Non che sappia fare qualcosa, a parte questo, ovvio. La mia abilità è giocare con il fuoco e manterene un precario equilibrio tra rischio e il dubbio. Non sarò musica per le tue insonnie. I falliti devono andare più lontano perchè nessuno li stima. [...] Non ho mai imparato a guidare e non ho la patente, e c'è una differenza significativa tra le due cose. Non che sappia fare qualcos'altro che non sia guidare, ovvio. Ma tutto ciò che non so fare ho un modo di non saperlo fare, un modo particolare che sfiora l'efficacia. Il piacere di piangere nel cuore della notte senza sapere il perchè, senza approfondirne il motivo, di tremare pensando alla forma del vuoto e toccare una volta dopo l'altra i duri bordi della realtà come uno strumento rotto, scordato. Non sono musica per chi ha idea di musica. Non sono ciò che pretendevi o speravi. Sono un professionista della delusione in servizio ventiquattrore su ventiquattro. Il piacere di starmene sdraiato sul pavimento e sentire l'eco dei tuoi passi diretti da nessuna parte. [...] So toccare corde che nessuno conosce, ho dita lunghe come radici e so che la vibrazione di una corda non termina nel silenzio. Bambina mia, la morte è un matrimonio. Mi sfoggerai alle tue nozze? Il piacere di stare tra gli oggetti senza che essi se ne possano accorgere. Di stare li come un gatto, come una ferita che attende il suo dolore. Il piacere di non essere schiavo di nessun piacere. (pp. 371-373)
*Puoi frantumarmi il cuore in mille pezzi e ciascuno di quei pezzi in altri mille, ma l'amore che nutro per te resterà vivo in ciascuno di essi, guizzante sulla fredda superficie come la stupida coda, solitaria e sanguinante, che qualcuno ha strappato a una lucertola. (p.422)