Sergio Romano: differenze tra le versioni

Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
Etichette: Modifica da mobile Modifica da web per mobile
Riga 7:
*{{NDR|Sulla [[Guerra Iran-Iraq]]}} Benché i risultati del conflitto fossero modesti, Saddam ne uscì politicamente rafforzato e dovette credere che l'Iraq fosse ormai una grande potenza militare.<ref name="settevite"/>
*[[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] non perde occasione per spiegare al Paese che l'ideologia del suo movimento è in realtà l'ideologia della sua impresa.<ref>Da ''La politica di Berlusconi. Il partito-azienda'', ''La Stampa'', 17 dicembre 1993, p. 1.</ref>
*[[Silvio Berlusconi|Berlusconi]] non può scendere in campo contro lo statalismo assistenzialista e dimenticare che la sua azienda è ancora un oligopolio costruito in combutta con il vecchio regime […]. Si presenta al paese come uomo di regole nuove e principi trasparenti ma l’uso che ha lasciato fare in questi giorni dei suoi canali televisivi tradisce le regole e i principi e rappresenta un rischio per la democrazia e per la correttezza della lotta elettorale.<ref>Da ''Ora basta con le carte truccate'', ''La Stampa'', 8 febbraio 1994.</ref>
*Commetteremmo un errore, a mio avviso, se pensassimo di essere il principale bersaglio dell'Islam jihadista. La vera guerra, oggi, è quella che si combatte all'interno del mondo musulmano. È la guerra tra una setta fanatica e regimi politici spesso incerti, titubanti, ma tutti più o meno collegati, per ragioni di affinità o convenienza, con l'Europa, gli Stati Uniti e la Russia. È una guerra civile senza quartiere dove le vittime musulmane sono incomparabilmente più numerose di quelle provocate dagli attentati terroristici nelle nostre città. Ed è ulteriormente complicata dall'antico odio fra le due famiglie religiose dell'Islam: sunniti e sciiti.<ref name="guerranonvaperduta">Da [http://www.corriere.it/esteri/15_gennaio_11/guerra-che-non-va-perduta-020eac8c-995f-11e4-a615-cfddfb410c4c.shtml ''Una guerra che non va perduta''], ''Corriere.it'', 11 gennaio 2015.</ref>
*Credo che non dovremmo più parlare di "primavera araba", piuttosto constatare che quei movimenti, quelle piazze piene di gente che protestava contro il regime di Ben Ali in Tunisia e contro quello di Mubarak in Egitto erano il segno di una protesta reale, non c'è dubbio che c'era una grande insoddisfazione, soprattutto generazionale. Nuove generazioni che avevano in qualche modo ambizioni suscitate anche dal fatto che potevano, a differenza dei loro padri e dei loro nonni, vedere meglio grazie alle nuove tecnologie quello che stava accadendo altrove, quello che la modernità rappresentava in altri Paesi.<br>Però in quelle piazze non c'erano movimenti o partiti politici quindi sono certamente riusciti a cacciare Ben Ali e far dimettere Mubarak ma non sono stati in grado poi di istituire un regime nuovo, creare nuove stabilità basate su progetti organici e quindi i paesi sono in modo diverso precipitati nel caos.<ref name="attentatiparigi"/>