Giuseppe La Farina: differenze tra le versioni

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*[...] ben presto il nuovo imperio {{NDR|di Claudio}} si guastò. Dicono per le libidini di [[Valeria Messalina|Messalina]] moglie del principe e per le insolenze e male arti di Narciso suo liberto; come se i Narcisi e le Messaline viver potessero e governare un imperio, se non in tempi e luogo di tanta bruttura capaci. Né Claudio era sì buono d'indole, se, come è scritto nelle storie, tanto deliziavasi de' giuochi gladiatorii, se gran numero di schiavi e liberti faceva gittare alle fiere, se sgozzar faceva gladiatori, pel piacere di vederli in viso trafelanti, E da' plebei passò subito a' nobili, e il primo a cadere fu Caio Appio Silano, reggente la Spagna. (vol. II, cap. III, pp. 114-115)
*In Messalina cupidità di denaro, ambizione di dominio e bestiale libidine si congiungevano; ond'ella, d'accordo co' liberti, le prefetture degli eserciti e delle provincie e i più alti uffici dell'imperio sfacciatamente vendea, e le sue medesime lascivie, ne' lupanari, all'insaputa del marito, i più nobili e belli de' due sessi stimolando, favorendoli se cedeano, spegnendoli se ripugnavano: {{sic|lo che}} tutta Roma sapeva, meno Claudio<ref>L'imperatore Claudio, suo marito.</ref>, [...]. (vol. II, cap. III, p. 116)
*Dicono che in fine degli spettacoli {{NDR|nell'Anfiteatro Flavio}} [[Tito (imperatore romano)|Tito]] spargesse gran pianto, non per compassione di tanta gente sbranata, e trucidata, ma per sentimento o della propria, o della comune fralezza; e andò poi in Sabina, attristato, non pel sangue fatto spargere, ma per non so quali tristi presagi. Alla prima posta fu preso da febbre. Indi tratto in lettiga, levata la cortina, mirò in cielo, e molto si dolse che, nol meritando, sì tosto morir dovesse. Portato in quella medesima villa, ove il padre suo era morto, s'aggravò il male. Dicono alcuni che {{NDR|il fratello minore}} [[Domiziano]], schivo d'indugi, a titolo di rimedio, lo abbia fatto mettere in bagno di neve e lasciarvelo: altri affermano gli facesse propinar veleno. (vol. II, cap. IV, p. 195)
*Morì [[Tito (imperatore romano)|Tito]] di anni quarantuno, dopo due anni e due mesi d'imperio. Fu detto allora, e forse con ragione, essere stato a lui fortuna il morir giovine, come ad [[Augusto]] il morir vecchio. Questi che moltissime atrocità commise nel principio del principato, ebbe necessità di lunga vita e grande industria per farle obliare; quegli, ch'era in possesso del pubblico amore, se fosse più vissuto correva pericolo di perderlo, non potendo mantenere {{sic|que' diportamenti}} che glielo avevano procurato. (vol. II, cap. IV, p. 195)
*Nel principio [[Domiziano]] era solito ogni giorno di starsi un'ora appartato e solo in un luogo segreto, né ad altro attendeva che a pigliar mosche, e di poi infilzarle in uno stiletto bene aguzzo che aveva; ma di questa follia chi v'era che si {{sic|dasse}} pensiero, o ne traesse cattivo augurio? Come dir male di un principe che, oltre all'avere festeggiato il popolo, lo convitava a splendido banchetto; e gli dava tre volte il congiario, cioè un dono di 300 nummi per testa; e gli gittava grandissima quantità di tessere, nelle quali era un segno di qualche regalo, carne, grano, uccelli, vino, che si andava poi a prendere nelle canove del principe? (vol. II, cap. IV, pp. 197-198)
 
==''Storia d'Italia narrata al popolo italiano''==