Cesare Marchi: differenze tra le versioni

Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
→‎Citazioni: Rimozione wlink erroneo
→‎Citazioni: + 1 e ordine citazioni
Riga 53:
*Il primogenito del re di Francia, in attesa di salire al trono, portava il titolo di Delfino (Dauphin), essendo il Delfinato (Dauphiné) il feudo assegnato, a partire dal XIV secolo, al principe ereditario della casa regnante. Delfino era quindi l'equivalente del Krönprinz germanico e dello zarevič russo. ''Ad usum Delphini'', a uso del Delfino, era l'etichetta riservata ai libri prevalentemente purgati, in modo che potessero andare nelle giovanissime mani del principe. I tagli dei passi più scabrosi erano fatti da gente di Chiesa, tuttavia qualche volta capitava che i severi censori fossero distratti. [...] Oggi definiamo ''ad usum Delphini'' testi, dichiarazioni, discorsi politici rimaneggiati mediante tagli e aggiunte, in modo che servano a una determinata parte politica. (p. 18)
*Secondo [[Erasmo da Rotterdam|Erasmo]], la frase esatta, attribuita da [[Svetonio]] a [[Cesare]] è ''[[Alea iacta est|Alea iacta èsto]]'', il dado sia tratto. Milioni di casalinghe la ripetono ogni giorno, preparando il brodo artificiale, e restando anonime. Il fiume Rubicone segnava, presso Rimini, il confine tra la Gallia Cisalpina, provincia affidata alla giurisdizione di Cesare, e l'Italia. Schierato dalla parte del rivale Pompeo, il senato aveva bruscamente intimato al generale di deporre il comando e di rientrare a Roma come privato cittadino. Cesare si rese conto della gravità del momento. Varcare in armi quel fiume voleva dire la guerra civile, rinunciare all'azione equivaleva alla sua morte politica. Mentre meditava sulla decisione da prendere, gli apparve un prodigio. Un uomo bellissimo, di grande statura, sonava il flauto e, incantati dalla musica, accorrevano da ogni parte pastori, soldati e trombettieri; allora l'uomo misterioso afferrò una tromba, corse verso il fiume e lo varcò impavido, intonando il segnale di battaglia. Suggestionato da questa visione, Cesare esclamò: «Andiamo dove ci chiamano i prodigi degli dèi e l'iniquità degli uomini. Sia tratto il dado». (pp. 20-21)
*Domenico Biancolelli era un Arlecchino bolognese (XVII secolo) bravissimo nell'improvvisare, secondo gli schemi della commedia dell'arte, frottole e monologhi, prendendo lo spunto da qualunque cosa gli capitasse in mano. Una sera preso un fiasco improvvisò una chiacchierata che, caso strano, non fece ridere il pubblico. Irritato per la magra figura, il Biancolelli disse al fiasco «È colpa tua se non mi applaudono» e lo buttò via. Da allora, quando un attore fallisce la scena, si dice «Ha fatto il fiasco dell'Arlecchino» e più semplicemente «Ha fatto fiasco». (p. 45)
*Sono i due corni d'un dilemma: o... o... L'uno esclude l'altro. Dare a una persona l'[[aut aut| ''aut aut'']] vuol dire obbligarla a una scelta fra due possibilità. «Il padre pose al figlio l'''aut aut'': o studi, o ti mando a lavorare.» Nei telegrammi si scrive ''aut'' in sostituzione di ''o'', per evitare che questa vocale, isolata, subisca errori di trasmissione. (p. 28)
*Domenico Biancolelli era un Arlecchino bolognese (XVII secolo) bravissimo nell'improvvisare, secondo gli schemi della commedia dell'arte, frottole e monologhi, prendendo lo spunto da qualunque cosa gli capitasse in mano. Una sera preso un fiasco improvvisò una chiacchierata che, caso strano, non fece ridere il pubblico. Irritato per la magra figura, il Biancolelli disse al fiasco «È colpa tua se non mi applaudono» e lo buttò via. Da allora, quando un attore fallisce la scena, si dice «Ha fatto il fiasco dell'Arlecchino» e più semplicemente «Ha fatto fiasco». (p. 45)
*L'espressione ha trovato fortuna in Francia, dove si dice tuttora ''faire fiasco''. Ma non minore fortuna ebbe il Biancolelli che, fiasco a parte, fu chiamato a Parigi dal cardinal Mazzarino. Pregato dal Biancolelli, il letterato Jean de Santeul dettò un motto latino da scrivere sul busto di Arlecchino che ornava il proscenio della Comédie Italienne: ''Castigat ridendo mores'', ridendo correggo i costumi. (p. 45)
*Quando la polizia trova il cadavere di un assassinato, il primo ragionamento che fa, anche senza aver studiato latino, è quello che fa [[Seneca]], nella tragedia ''Medèa'': ''[[Cui prodest?|Cui prodest]] scèlus is fècit'', il delitto l'ha commesso colui al quale reca vantaggio. Se per esempio la vittima ha lasciato una grossa polizza di assicurazione, si comincia a indagare fra gli eredi. Oltre che in materia penale, il cui ''cui prodest'' è una bussola preziosa per orientarci nella vita politica e chiarirne i misteri. Di certe leggi e provvedimenti varati in nome degli immortali princìpi, basta chiederci ''cui prodest?'' a chi giova? e scopriremo quali interessi di parte o di corporazione si celano sotto il manto delle supreme idealità. (pp. 52-53)
*La locuzione completa è ''de cuius hereditàte àgitur'', della cui eredità si tratta. Il ''[[de cuius]]'', in altre parole è il testatore. Estratta dalla cassaforte una busta, generalmente gialla, il notaio legge ai condolenti, reduci dalla mesta cerimonia, ancora odorosi di candele, le ultime volontà del morto. (p. 57)