Xavier de Maistre: differenze tra le versioni

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*No, [[dio|quegli]] che inonda così l'oriente di luce, non la fa brillare a' miei sguardi, per inabissarmi bentosto nelle tenebre del nulla. Quegli che stende quest'orizzonte incommensurabile, quegli che elevò queste masse enormi, le cui ghiacciate sommità or tutte sfolgoreggiano de' primi raggi del sole, è pur quegli che ordinò al mio cuore di battere e al mio spirito di pensare. (XXI; 1824, p. 78)
*Sempre verace e imparziale uno [[specchio]] rinvia agli occhj della persona, che in esso guarda, le rose della giovinezza e le rughe dell'inoltrata età, senza detrazione e senza lusinghe. — Solo, tra tutti i consiglieri de' grandi, ei loro dice costantemente la verità.<br>Ciò mi fece desiderar l'invenzione di uno specchio morale, in cui tutti gli uomini potessero vedersi co' loro vizi e colle loro virtù. Pensai anzi una volta a proporre per esse un premio a qualche accademia; se non che riflessioni più mature me ne provarono l'inutilità.<br>Oh quanto è raro che la bruttezza riconosca sè stessa! Indarno gli specchj si moltiplicano intorno a noi, e riflettono con tanta esattezza la luce e la verità. All'istante che i raggi, che da essi partono, sono per penetrare nel nostro occhio, e dipingerci a noi stessi quali siamo, l'amor proprio introduce il suo prisma ingannevole fra noi e la nostra immagine, e ci rappresenta una divinità.<br>E di tutti i prismi, dal primo che uscì dalle mani dell'immortal Newton, fino a quelli dell'ultimo lavoro, nessuno ha posseduto una forza di refrazione così possente, e prodotto sensazioni così vive e così aggradevoli, come il prisma dell'amor proprio.<br>Ora, poiché gli specchj comuni annunziano invano la verità a uomini sempre contenti della loro figura; poiché non possono fare ad essi conoscere le loro fisiche imperfezioni; a che servirebbe il mio specchio morale? Pochissimi fisserebbero in esso gli occhi; e nessuno vi ravviserebbe sè medesimo. (XXVII; 1824, pp. 99-100)
*Ho detto che mi piace in modo speciale meditare nel dolce calore del letto, e che il suo piacevole colore contribuisce molto al [[piacere]] che vi provo.</br>Per procurarmi questo piacere, il mio domestico ha ricevuto l'ordine d'entrare in camera mia mezz'ora prima di quella in cui ho stabilito di alzarmi. Lo sento camminare con passo leggero e ''brancicare'' con discrezione nella stanza; e quel rumore mi dà il piacere di sentirmi sonnecchiare: piacere delicato e sconosciuto a molte persone.</br>Si è svegli abbastanza per accorgersi di non esserlo del tutto, e per calcolare confusamente che l'ora delle faccende e delle difficoltà è ancora nel ventre del tempo. (XIV; 1990, p. 36)
*Che ricco tesoro di [[piacere|piaceri]] la buona natura ha elargito agli uomini il cui cuore sa godere! e quale varietà in quei piaceri! Chi potrà contarne le innumerevoli sfumature nei diversi individui e nelle diverse età della vita? – Il ricordo confuso di quelli della mia infanzia mi fa ancora trasalire. (XL; 1990, p. 65)
 
===[[Explicit]]===
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*{{ndr|La mia nuova stanza}} riceve la luce da una sola finestra larga due piedi e mezzo e alta sei o sette piedi circa dal suolo, cui s'arriva utilizzando una scaletta.<br>La distanza della finestra dal pavimento era uno di quei casi fortunati da attribuire sia alle circostanze, sia all'ingegno dell'architetto. Un'aria di mistero veniva poi creata dalla luce pressoché verticale che si diffondeva nel mio rifugio, illuminato nello stesso modo dell'antico tempio del Pantheon.<br>Né si vedeva nessun oggetto esterno che potesse distrarmi.<br>Come i naviganti che, persi nella vastità dell'oceano, non vedono nient'altro che cielo e mare, io vedevo solo il cielo e la mia stanza.<br>Gli oggetti esterni più vicini sui quali potevo posare gli occhi, erano la luna e la stella del mattino: quanto mi metteva in immediato contatto col cielo, facendo volare i miei pensieri a un'altezza che non sarebbe stata possibile se avessi scelto un alloggio al pianterreno. La citata finestra s'alzava sopra il tetto e formava un abbaino assai grazioso. Era talmente alta sull'orizzonte che, quando i primi raggi del sole giungevano a illuminarla, nella strada era ancora buio.<br>Godevo, insomma, d'una delle vedute più belle che si possano immaginare.<br>Ma anche il panorama migliore finisce per annoiare quando lo si goda troppo spesso: l'occhio s'abitua e non ci fa più caso.<br>Invece, la posizione della finestra mi preservava anche da simile svantaggio, dato che non vedevo mai lo spettacolo magnifico della campagna di Torino se non quando risalivo quattro o cinque scalini: questo mi dava un piacere sempre vivo perché gustato con lentezza. (VI; 2009, pp. 30-31)
*È un incanto sempre nuovo per me, contemplare il [[cielo]] [[stella]]to, e non ho da rimproverarmi d'aver fatto un solo viaggio, neanche una semplice passeggiata notturna, senza pagare il tributo d'ammirazione che devo alle meraviglie del firmamento. (XIII; 1990, p. 90)
*Spettatore effimero d’uno spettacolo eterno, l’uomol’[[uomo]] alza per un istante i suoi occhi al cielo, e poi li chiude per sempre! Ma durante quel rapido istante che gli viene concesso, un raggio consolatore, partendo da ciascuno dei mondi, da tutti i punti del cielo, dai confini dell’universo, viene a colpire il suo sguardo per fargli sapere che esiste una relazione tra lui e l’immensità. (XIII; 1999)
*Aveva osservato, nel corso della mia vita, che allorquando io era innamorato secondo il metodo solito, le mie sensazioni non corrispondevano punto alle mie speranze, e la mia immaginazione si vedeva sempre delusa in tutti i suoi piani. Riflettendovi sopra con attenzione pensai che, se mi fosse stato possibile di stendere il sentimento che mi portava all'amore particolare sopra tutto quel sesso che n'è l'oggetto, verrei a procacciarmi dei godimenti inusitati, e senza compromettermi in veruna guisa. Perché, qual rimprovero potrebbe mai farsi ad un uomo che si trovasse dotato di un cuore energico in modo tale da amare tutte le amabili donne del mondo? Sì, madama, io le amo tutte, e non solo amo quelle che conosco, o che spero di conoscere, ma tutte quelle ancora che esistono. Anche più; io amo tutte le donne che hanno vissuto, e quelle che viveranno, senza contarne poi un numero maggiore che la mia immaginazione trae dal niente; e finalmente tutte le donne possibili sono comprese nell'ampio circolo dei miei affetti. (XXIII; 2014, p. 130)
*{{ndr|Sistema del mondo}} Credo insomma che se lo spazio è infinito, sia infinita anche la creazione; e che, nella sua vita eterna e nell'immensità dello spazio, Dio abbia creato un numero infinito di mondi. (XVI; 2009, p. 55)
*Essendo la maggior parte dei nostri [[piacere|piaceri]] null'altro che un gioco dell'[[immaginazione]], è essenziale offrirle una pastura innocente per distoglierla dagli oggetti ai quali è giocoforza rinunciare, press'a poco come si offrono i balocchi ai bambini, quando si rifiutano loro le caramelle. (XXVII; 1990, p. 104)
*O [[tempo]]!... divinità terribile! non è già la tua falce crudele che mi spaventi, sono i tuoi orridi figli che io temo, l'indifferenza e l'oblio, i quali fanno una lunga morte di tre quarti della nostra vita. (XXVI; 2014, p. 135)
*"Che strane macchine," esclamai allora "[[Cuore e cervello|la testa e il cuore]] dell'uomo! Ogni volta che viene trascinato da questi due motori delle sue azioni in due direzioni diverse, l'ultima che segue gli pare sempre la migliore!... 'Follia dell'entusiasmo e del sentimento!' dice la fredda ragione. 'Debolezza e incertezza della ragione!' dice il sentimento. Chi potrà mai, chi oserà scegliere fra i due?" (XXIX; 2009, p. 85)
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*Nè è sempre tra le selve e le rupi la [[solitudine]]; il misero è solo per ogni dove. (1854, p. 314)
:''La solitude n’est pas toujours au milieu des forêts et des rochers. L’infortuné est seul partout''. (1880, p. 205)
*Ei v'ha nell'estrema [[miseria]] un piacere non sentito d'altrui, e che forse vi parrà strano, il piacere di esistere e respirare. (1854, p. 315)
:''Il est d’ailleurs encore, au dernier terme de l’infortune, une jouissance que le commun des hommes ne peut connaître, et qui vous paraîtra bien singulière : c’est celle d’exister et de respirer''. (1880, p. 208)