Franz Kafka: differenze tra le versioni

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*Ora vediamo anche il capannone di [[Louis Blériot|Blériot]] e, accanto, quello del suo allievo Leblanc, costruiti nel campo stesso. Appoggiato a una delle ali dell'apparecchio e subito riconosciuto sta Blériot che, la testa salda sul collo, osserva i suoi meccanici affaccendati intorno al motore. Con quest'inezia pretende di alzarsi nell'aria? Allora è più facile, per esempio, nell'acqua. Si può esercitarsi da principio nelle pozzanghere, poi negli stagni, poi nei fiumi e soltanto dopo arrischiarsi in mare, mentre per costui esiste soltanto il mare. Ed ecco, Blériot è accomodato sul sedile e tiene in mano una leva, ma ancora lascia fare ai meccanici come fossero ragazzi zelanti. Gira gli occhi lentamente verso di noi, li volge poi altrove, ma è sempre padrone del proprio sguardo. Ora volerà, niente di più ovvio. Il senso di naturalezza insieme con quello dell'eccezionalità che non si può tenere lontano da lui gli conferisce questo atteggiamento. (da ''Gli aeroplani di Brescia [settembre 1909]'', pp. 14-15)
*[[Louis Blériot|Blériot]] cede il posto a un meccanico, il meccanico a Leblanc. Ora uno, ora l'altro danno strappi all'elica, ma il motore è spietato come uno scolaro che tutti aiutano, tutta la classe gli suggerisce, ma no, egli non sa, s'impunta continuamente, rimane continuamente incagliato allo stesso punto e non ce la fa. Per un po' Blériot se ne sta quieto sul sedile, i sei collaboratori gli stanno attorno senza muoversi, sembra che tutti sognino. A un certo memento gli spettatori possono tirare un sospiro e guardarsi intorno. Passa la giovane signora Blériot dal viso materno, seguita da due figli. Quando suo marito non può volare non è contenta e quando vola sta in pensiero; oltre a ciò il suo bel vestito è un tantino pesante per questa temperatura. Di nuovo si dà una spinta all'elica, meglio forse di prima, forse anche no; il motore si mette in moto con fracasso, quasi fosse un altro; quattro uomini trattengono l'apparecchio e nella bonaccia tutt'intorno la corrente suscitata dall'elica attraversa a ventate i camiciotti di questi uomini. Non si ode una parola, chi comanda è il rumore dell'elica, otto mani lasciano andare l'apparecchio che scorre a lungo sulle zolle come una persona maldestra su un pavimento cerato. (da ''Gli aeroplani di Brescia'' [settembre 1909], pp. 15-16)
*Finora fu mostrato soltanto l'apparecchio di Leblanc. Ora viene invece quello col quale [[Louis Blériot|Blériot]] ha volato sopra la Manica; nessuno lo ha detto, tutti lo sanno. Una lunga pausa e Blériot è nell'aria. Si vede il suo busto eretto sopra le ali, le gambe affondate nella macchina ne sono quasi parte. Il sole è sceso verso l'orizzonte e passando sotto il baldacchino delle tribune illumina le ali librate. Tutti guardano in aria con ammirazione, in nessun cuore c'è posto per altri. Egli fa un giro e si presenta quasi a perpendicolo sopra di noi. E tutti torcendo il collo vedono come il monoplano ondeggia, come è afferrato da Blériot e fatto persino salire. Che succede? Quassù, venti metri sopra il suolo, un uomo è imprigionato in una gabbia di legno e si difende da un pericolo invisibile volontariamente assunto. Noi invece siamo respinti quaggiù, ridotti a nulla, e osserviamo quest'uomo. (da ''Gli aeroplani di Brescia'' [settembre 1909], p. 17)
*L'antenna dei segnali indica che il vento è migliorato e Curtiss volerà per conquistare il Gran Premio di Brescia. Ci siamo dunque. Si fa appena in tempo a scambiarsi la notizia che il motore di Curtiss incomincia a rombare, si fa appena in tempo a guardare da quella parte ed egli già si allontana a volo sopra la pianura che si allarga davanti a lui, verso i boschi lontani che appaiono soltanto ora. Il suo volo sosta a lungo sopra quei boschi, egli scompare, noi vediamo i boschi e non lui. Dietro certe case, Dio sa dove, sbuca alla stessa altezza di prima e viene velocemente verso di noi; quando sale vediamo inclinarsi le superfici inferiori del biplano, quando si abbassa le superfici superiori brillano al sole. Egli gira intorno all'antenna indifferente al vocio dei saluti, fila diritto verso il punto donde è venuto e ridiventa piccolo e solitario. Esegue cinque di tali giri e percorrendo cinquanta chilometri in quarantanove minuti e ventiquattro secondi si aggiudica il Gran Premio di Brescia, trentamila lire. (da ''Gli aeroplani di Brescia'' [settembre 1909], pp. 17-18)
*VI. A Milano: direttamente a Parigi (eventualmente Fontainebleu). VII. Scesi a Stresa. Con ciò il viaggio assume la prima volta una buona visione avanti e indietro, è formato e perciò viene preso alla vita. Così piccoli come in [[Galleria Vittorio Emanuele II|Galleria]]<ref>Nota del curatore del volume: S'intende la Galleria Vittorio Emanuele di Milano.</ref>non ho ancora mai visto gli uomini. [[Max Brod|Max]] afferma che la Galleria è alta soltanto quanto le case che si vedono all'aperto, e io lo nego con un'obiezione dimenticata, come del resto prenderò sempre le parti di questa Galleria. Essa non ha, si può dire, alcun ornamento superfluo, non trattiene lo sguardo, e per questa ragione, come anche per l'altezza, sembra corta, ma sopporta anche questo. Dal tetto del [[Duomo di Milano|Duomo]] le persone sembrano diventare più grandi di fronte alla Galleria. (da ''Viaggio a Lugano, Parigi, Erlenbach'' [agosto-settembre 1911], p. 43)