Lazarillo de Tormes: differenze tra le versioni

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==[[Incipit]]==
===Originale===
''Pues sepa Vuestra Merced, ante todas cosas, que a mí llaman Lázaro de Tormes, hijo de Tomé González y de Antona Pérez, naturales de Tejares, aldea de Salamanca. Mi nacimiento fue dentro del río Tormes, por la cual causa tomé el sobrenombre; y fue de esta manera: mi padre, que Dios perdone, tenía cargo de proveer una molienda de una aceña que está ribera de aquel río, en la cual fue molinero más de quince años; y, estando mi madre una noche en la aceña, preñada de mí, tomóle el parto y parióme allí. De manera que con verdad me puedo decir nacido en el río.''
 
===Ferdinando Carlesi===
Bisogna anzitutto che voi sappiate che mi si chiama Lazzaro di Tormes, che son figliolo di Tommaso Gonzales e d'Antonia Perez, abitanti di Tejares, villaggio dei dintorni di Salamanca, e che son nato nel fiume Tormes, cagione per cui mi son buscato il soprannome che ho attualmente. La faccenda andò proprio così. Mio padre, buon anima, era incaricato di provvedere un mulino posto lungo il corso del fiume, e nel quale egli fu mugnaio per più di quindici anni.<br>Una notte in cui la mamma gravida di me si trovava al {{sic|molino}}, fu colta dai dolori del parto e mi mise al mondo: di guisa che io posso veramente dire d'esser nato nel fiume.
 
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*È forse da credersi che il soldato, il quale monta prima di tutti sulla breccia, abbia in odio la vita più d'un altro? No certamente: ma il desiderio della [[lode]] lo fa esporre al pericolo (p. 1).
*Quante persone ci devon essere nel mondo che fuggono gli altri perché non si vedono per sè! (p. 5)
*Così partimmo da Salamanca, e, arrivati a quel ponte dove in principio c' è una statua di pietra che press'a poco ha la forma di un toro, il {{sic|ceco}} mi fece mettere proprio col viso accosto all'animale, e mi disse: «Lázaro, appoggia l'orecchio sul toro, e sentirai un gran rumore nel suo corpo.» Io, semplicione com'ero, gli credetti e m'accostai; ma quando il ceco ebbe sentito che la mia testa toccava quasi la pietra, me la spinse così forte verso il {{sic|maladetto}} toro, che il dolore del colpo mi durò tre giorni. «Sciocco che sei» diss'egli, sentita la zuccata, e ridendo del tiro che m'aveva giocato «sappi che il ragazzo d'un {{sic|ceco}} ne deve sapere un po' più del [[diavolo]]».<br>In quel momento mi parve d'uscire dal sonno dell'[[infanzia]] in cui fin allora ero rimasto immerso, e mi dissi : «Davvero egli ha ragione! son [[solitudine|solo]] al mondo e mi bisogna metter giudizio, aprire gli occhi, e pensare ai casi miei». (p. 8).
*Ci mettemmo a sedere sul ciglio d'una fossa, ed egli {{ndr|il cieco}} allora mi disse: «Oggi ti voglio fare un regalo. Noi mangeremo insieme quest'uva, e tu n'avrai una parte eguale alla mia. Ecco come faremo. Piluccheremo una volta per uno, col patto che tu prometta di non prenderne che un chicco per volta; e io farò lo stesso, fino a che non avremo terminato. Così non ci sarà campo a soperchierie.» Fatto il trattato, cominciammo a piluccare, ma al secondo attacco quell'assassino mutò parere e si mise a prendere i chicchi a due per volta, considerando senza dubbio che io dovessi fare altrettanto. Come vidi che infrangeva il contratto, non mi contentai d'andar di pari passo con lui, ma prendevo i chicchi a due e tre per volta, inghiottendoli come potevo. Quando l'uva fu finita, restò un po' col racchio in mano; poi, scotendo la testa: «Lazzarino» mi disse «tu m' hai ingannato. Giurerei davanti a Dio che tu hai mangiato i chicchi a tre per volta.» «Chiè!» risposi io «ma perché v'è saltato in mente quest'idea?» «Perché suppongo che tu gli mangiassi a tre per volta ?» rispose il vecchio furbo. «Perché io gli mangiavo a due per volta e tu stavi zitto.» Io risi sotto i baffi, e, quantunque ragazzo, non mi sfuggì la finezza della sua osservazione. (pp. 14-15).
*{{NDR|Lo scudiero}} si vestì placidamente, si pettinò, si lavò le mani, attaccò la spada al cinturone, e mi disse mentre che glie la cingevo: «Se tu sapessi, Lazzarino, che lama ch'è questa! Non la baratterei con tutto l'oro del mondo, perché fra tutte quelle che ha fatto Antonio non ce n'è un'altra, a cui sia riuscito a dare la tempra di questa.» Allora la tirò fuori del fodero, la fece scorrere tra le dita e riprese: «Con questa qui scommetto di tagliare in due una rocca carica di lana.» «E io» dissi fra me «coi miei denti, benché non sieno d'acciaio, scommetto di troncare in due un [[pane|pan]] di cinque libbre!» (p. 42)
*O Signore, Signore! Quanta gente dovete aver messo al mondo che soffre per quello che essa chiama decoro {{NDR|''[[Onore|honra]]''}} ciò che non soffrirebbe per voi! (p. 43)
*Lo vedevo ritornare {{NDR|Lo scudiero}} ogni giorno verso mezzodì, col corpo più smilzo d'un levriere di razza, ma sempre nel mezzo della strada. E per mantenere il suo benedetto decoro, prendeva un fil di paglia (neanche di quelli ce n'eran molti in casa) e andava a piantarsi sull'uscio di strada per ripulirsi i denti che eran pulitissimi [...]. (p. 50)
*{{NDR|Lo scudiero}} «E non ci son forse in me le doti necessarie a servire e contentare i signori di quella specie {{NDR|altolocati}}? Scommetto che, se ne trovassi uno, diventerei subito il suo favorito, perché gli renderei mille servigi. Saprei ingannarlo bene quanto un altro, rendermegli grandemente simpatico, trovar buoni tutti i suoi capricci e le sue abitudini, quand'anche non fossero le migliori del mondo; non dirgli mai cosa che l'affliggesse, quantunque potesse essergli utilissima; occuparmi con la più grande diligenza in fatti ed in parole della sua persona, senza star poi a confondersi intorno alle cose che egli non ha sott'occhio; rimproverare acerbamente i servitori quando può sentire, per provargli il mio zelo riguardo ai suoi interessi, e, quando gli sgridi egli stesso, acuire ancora il suo corruccio con delle bottate che sembrino dette in favore dell'accusato; parlargli bene di coloro a cui è affezionato e esser mordaci verso gli altri; accusare con indifferenza quelli di casa e quelli di fuori, e cercar di conoscere i fatti degli altri per tenerlo allegro raccontandoglieli. Io avrei in fine mille altre qualità di questo genere, che ora a corte son di moda e che i signori hanno in grazia, perché non cercano d'aver presso di loro uomini dabbene, ma li odiano chiamandoli dei gonzi ai quali non si possono confidare affari nè chieder pareri. Per questo appunto oggi i furbi usano con loro dei mezzi di cui userei io pure, se la sorte volesse farmi trovare un impiego per questa mia abilità». (pp. 55-56).
 
==Bibliografia==
*{{es}} Anónimo, ''[http://www.cervantesvirtual.com/obra-visor/la-vida-de-lazarillo-de-tormes-y-de-sus-fortunas-y-adversidades--0/html/ La vida de Lazarillo de Tormes y de sus fortunas y adversidades]'', Biblioteca Virtual Miguel de Cervantes, Alicante, 2004.
*''Vita e avventure di Lazzarino de Tormes'', traduzione di Ferdinando Carlesi, Lumachi, 1907.