Cesare Marchi: differenze tra le versioni

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*Nella satira terza del libro primo [[Orazio]] deride quei cantanti che, pregati dagli amici di esibirsi, se ne stanno ostinatamente zitti; se invece nessuno desidera sentirli, si scatenano e non c'è modo di farli tacere. Uno di questi era il sardo Tigellio, che avrebbe detto di no anche all'imperatore, ma quando gli veniva la voglia si metteva a gorgheggiare {{centrato|''{{Small|[[ab ovo]] usque ad mala}}''}} dall'uovo fino alle mele, cioè dall'antipasto alla frutta. (p. 13)
*Il primogenito del re di Francia, in attesa di salire al trono, portava il titolo di Delfino (Dauphin), essendo il Delfinato (Dauphiné) il feudo assegnato, a partire dal XIV secolo, al principe ereditario della casa regnante. Delfino era quindi l'equivalente del Krönprinz germanico e dello zarevič russo. ''Ad usum Delphini'', a uso del Delfino, era l'etichetta riservata ai libri prevalentemente purgati, in modo che potessero andare nelle giovanissime mani del principe. I tagli dei passi più scabrosi erano fatti da gente di Chiesa, tuttavia qualche volta capitava che i severi censori fossero distratti. [...] Oggi definiamo ''ad usum Delphini'' testi, dichiarazioni, discorsi politici rimaneggiati mediante tagli e aggiunte, in modo che servano a una determinata parte politica. (p. 18)
*Secondo [[Erasmo da Rotterdam|Erasmo]], la frase esatta, attribuita da [[Svetonio]] a [[Cesare]] è ''[[Alea iacta est|Alea iacta èsto]]'', il dado sia tratto. Milioni di casalinghe la ripetono ogni giorno, preparando il brodo artificiale, e restando anonime. Il fiume Rubicone segnava, presso Rimini, il confine tra la Gallia Cisalpina, provincia affidata alla giurisdizione di Cesare, e l'Italia. Schierato dalla parte del rivale Pompeo, il senato aveva bruscamente intimato al generale di deporre il comando e di rientrare a Roma come privato cittadino. Cesare si rese conto della gravità del momento. Varcare in armi quel fiume voleva dire la guerra civile, rinunciare all'azione equivaleva alla sua morte politica. Mentre meditava sulla decisione da prendere, gli apparve un prodigio. Un uomo bellissimo, di grande statura, sonava il flauto e, incantati dalla musica, accorrevano da ogni parte pastori, soldati e trombettieri; allora l'uomo misterioso afferrò una tromba, corse verso il fiume e lo varcò impavido, intonando il segnale di battaglia. Suggestionato da questa visione, Cesare esclamò: «Andiamo dove ci chiamano i prodigi degli dèi e l'iniquità degli uomini. Sia tratto il dado». (pp. 20-21)
*[[Festina lente|Affrèttati lentamente]]. Sembra, e formalmente è, una contraddizione in termini, non essendo pensabile che fretta e lentezza vadano d'accordo. Si tratta d'una figura retorica, detta [[ossimoro]], che unisce due termini antitetici per conferire provocante vivezza al pensiero (come ghiaccio bollente, convergenze parallele). Nella sostanza, il paradosso contiene una verità, e cioè che chi desidera arrivare alla meta prefissa deve evitare ogni precipitosa improvvisazione. (p. 86)