Tat'jana L'vovna Tolstaja: differenze tra le versioni

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*Di solito, all'inizio dell'autunno, la mamma partiva per Mosca con i bambini che andavano ancora a scuola. Mio padre, mia sorella e io restavamo a Jasnaja Poljana ancora qualche mese. Facevamo una vita da Robinson sull'esempio di nostro padre. Tenevamo la casa sole, senza l'aiuto di domestici, e preparavamo pasti strettamente [[Vegetarianismo|vegetariani]].<br />Un giorno ci annunciarono l'arrivo di una nostra zia, amica di tutti, alla quale volevamo molto bene. Sapendo che la zia apprezzava la buona tavola e particolarmente la carne, ci chiedevamo che cosa fare.<br />Preparare il «cadavere», chiamavamo così la carne, ci faceva orrore. Mentre discutevo la faccenda con mia sorella venne papà. Messo al corrente dei nostri dubbi, ci rassicurò, promettendoci di occuparsi del menu della zia.<br />«Quanto a voi,» disse, «preparate il pranzo come al solito.»<br />La zia, bella, allegra, piena di vita come sempre, arrivò quel giorno stesso. Venuta l'ora passammo nella sala da pranzo. E cosa vi trovammo? Al posto della zia c'era un enorme coltello da cucina e, attaccato alla seggiola con una cordicella, un pollo vivo. La povera bestia si dibatteva trascinandosi il sedile.<br />«Sappiamo che ti piace mangiare gli esseri viventi,» disse papà, «così ti abbiamo procurato questo pollo. Ma nessuno di noi vuole commettere un assassinio: quel coltello omicida è a tua disposizione per compierlo.»<br />«Un'altra delle tue burle!» esclamò zia Tatiana scoppiando a ridere. «Tania! Maša! Sciogliete subito quella povera bestia e ridatele la libertà.»<br />Ci affrettammo a obbedire alla zia. Liberato il pollo, venne servito quanto avevamo preparato per il pasto: maccheroni, legumi e frutta. (p. 187)
*Quando in un quadro, in una commedia o in un libro ogni particolare viene messo in evidenza, di solito ci si stanca. Se, al contrario, l'autore si limita a presentare l'aspetto generale dell'opera e lascia allo spettatore o al lettore la cura di immaginare il resto, provoca interesse, in quanto dà agli altri l'impressione di collaborare. A condizione, ben inteso, che il disegno generale riesca a toccare l'immaginazione, l'interesse e la curiosità dello spettatore. (p. 196)
*Era l'epoca in cui Tolstoj, già vecchio, scriveva ''[[Resurrezione (romanzo)|Resurrezione]]'', il suo ultimo grande romanzo. Un giorno entrai nel suo studio e lo vidi al tavolo da lavoro mentre disponeva le carte per fare un [[solitario]]. Ne faceva sovente, per riposarsi o per riflettere su ciò che stava scrivendo. Qualche volta domandava alle carte perfino di decidere per lui. A seconda della riuscita o della non riuscita del gioco avrebbe preso certe decisioni.<br />Sapendo di questa abitudine domandai:<br />«Hai pensato a qualcosa?»<br />«Sì...»<br />«A cosa?»<br />«Se il solitario riesce farò sposare Nechiudov<!-- sic --> a Katjuša. Se s'incaglia non li farò sposare.»<br />Finito il solitario chiesi:<br />«Allora?»<br />«È riuscito...» disse. «La seccatura è che Katjuša non può sposare Nechiudov.» (pp. 198-199)
*Si discuteva una sera a Jasnaja Poljana della divisione del lavoro. In quel tempo mio padre stava scrivendo il saggio ''[[Lev Tolstoj#Che fare?|Cosa bisogna fare?]]'', opera colma di appassionata rivolta contro lo sfruttamento dei lavoratori da parte della classe privilegiata, che dimostra l'ingiustizia della cosiddetta «divisione del lavoro».<br />«Il lavoro manuale è sempre necessario,» diceva, «mentre il più delle volte il nostro lavoro, scientifico o artistico, non serve che a un cerchio ristretto di persone [...].»<br />Il pittore [[Il'ja Efimovič Repin|Repin]], nostro ospite, l'interruppe:<br />«Permettete Lev Nikolaevič, una mia osservazione personale. [...] Mi capita spesso di vedere operai attaccati ai cavi, che alano parti del battello in costruzione. Un giorno che il pezzo era più pesante del solito, e gli operai sembravano esausti dalla fatica, vidi due di loro staccarsi dal gruppo e saltare sulla trave che stavano trascinando. Con bella voce vigorosa, intonarono un'allegra canzone. La loro energia si comunicò ai compagni che, ritrovate le forze, sentirono meno grave il loro compito.»<br />«E allora?» chiese mio padre, che aveva ascoltato attentamente e aspettava la conclusione.<br />«Ebbene,» disse Repin in modo discreto, «penso che debbano pure esistere coloro che confortano la vita dei lavoratori con la loro arte. Hanno un compito da assolvere. Mi sento uno di loro. Voglio essere fra coloro che cantano.»<br />«Molto bene,» riprese mio padre ridendo. «Il male è che sono in troppi a voler saltare sulla cosa che si sta trascinando e pochi a trascinarla. Il problema è questo!» (pp. 199-200)
*Un nostro amico, Vasilij Maklakov, spirito aperto e colto, parlando dei discepoli di Tolstoj era solito dire: «Coloro che capiscono Tolstoj non l'imitano. Coloro che l'imitano non lo capiscono.»<br />Ho potuto constatare più di una volta l'esattezza di tale riflessione. Fra i numerosi visitatori arrivati da ogni parte del mondo per conoscere mio padre, molti erano tolstoiani soltanto di nome: si limitavano a copiare il comportamento e le maniere del «maestro» senza capire il significato profondo delle sue idee. Quelli che capivano sapevano anche che Tolstoj lasciava ognuno libero di vivere e di risolvere i suoi problemi come credeva. E non cercavano di imitarlo nel comportamento esteriore, che per loro non aveva nessuna importanza.<br />Una volta notai, che coloro che stavano attorno a mio padre, un giovane sconosciuto con un camiciotto russo, pantaloni a sbuffo e grosse scarpe.<br />«Chi è?» domandai.<br />Papà si chinò verso di me e, con la mano davanti alla bocca, mi sussurrò all'orecchio:<br />«È un giovane membro della setta che mi è più estranea e incomprensibile: quella dei [[Tolstoismo|tolstoiani]]. (p. 208)