Neri Pozza: differenze tra le versioni

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*''Salutate, compagni, un impiccato anni diciotto. || La forca nella nebbia del cortile e guardie nere, | anni diciotto penderanno da una trave | come un vecchio abito. || Che storia, che storia! Ardeva la casa | e cucinava il grano nei solai, | dalla cantina il vino mandava fiamme d'alcol | al cielo carico di anelli e di collane. || Mia madre, mio padre ostaggi fucilati | sull'aia deserta di cristiani. | Ecco la storia, domani non la falsificate | con bandiere e cerimonie, vani discorsi. || riunitici piuttosto sotto l'olmo, | lasciateci tranquilli riposare.'' (''Epigrafe sul muro della cella'', p. 35)
*''Questo il mio sbaglio: averti creduta | una belva divertente e festosa | e amare i tuoi occhi mori, | la figura gentile abbagliante di grazie, | i capelli dove misi | avide le mani. || I boschi di Lusiana ci videro beati | e fin le nuvole udirono | sopra il brusio del vento le nostre grida. || Così non ti lessi mai negli occhi mori | d'animale capriccioso e bugiardo. || Sicuro; non era giusto che tu fossi | mia soltanto, che a me solo | donassi le tue grazie. Va', vivi | e sii felice d'altri inganni.'' (''Io non ti lessi mai negli occhi mori'', p. 132)
*''Non so che cosa dolcemente strolegavi | alla finestra, quando nel fetido | del Retrone cantavano le rane, – | ma ne ascoltavi le chitarre tetre, | pizzicate fra le canne e il fango, | gli strappi iterati e rabbiosi delle corde | staccati di pause improvvise, placidamente. || Pareva a me, come nel Lete paonazzo | un rantolare di femmine angosciate, – | anche uno strombettare intermittente di clacson – ai semafori chiusi. || Che idee! Era quella per te una voce | benigna, che suscita fantasie | di ràccole girate il giovedì santo, | di tamburini di latta percossi dai putini | in marcia verso uno scontro in girotondo; | e cresceva la luna, e nella luce verde i timbri | calavano di lunghezza | e affondavano nel fango avvinato delle canne, | diventavano un gorgoglio. || Le rane palustri | gracidavano le notti di siccità, | mandavano gorgogli sibilanti o fessi, | suoni di piatti di ferro sbattuti, | scrosci di catarri secolari | nell'ombra torva della notte. | A volte si udivano gorgheggi di vecchi soprani, | di bassi sfiniti, | tube che stonavano in una | rappresentazione d'opera sbagliata. | Con l'alba che cresceva i rantoli parevano | quietarsi come voci | estenuate da un lungo patire.'' (''Le rane'', pp. 202-203)
 
==Bibliografia==