Primo Levi: differenze tra le versioni

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amplio e aggiusto La tregua, correggendo le citazioni presenti
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==''La tregua''==
===[[Incipit]]===
Nei primi giorni del gennaio 1945, sotto la spinta dell'[[Armata Rossa]] ormai vicina, i tedeschi avevano evacuato in tutta fretta il bacino minerario slesiano. Mentre altrove, in analoghe condizioni, non avevano esitato a distruggere col fuoco e con le armi i Lager insieme con i loro occupanti, nel distretto di Auschwitz operaronoagirono diversamente: ordini superiori (a quanto pare dettati personalmente da Hitler) imponevano di «recuperare», a qualunque costo, ogni uomo abile al lavoro. Perciò tutti i prigionieri sani furono evacuati, in condizioni spaventose, su Buchenwald e su Mauthausen, mentre i malati furono abbandonati a loro stessi. <br!-- p. 157 -->
{{NDR|citato in [[Fruttero & Lucentini]], ''Íncipit'', Mondadori, 1993}}
 
===Citazioni===
*''[[Sogni dalle poesie|Sognavamo]] nelle notti feroci | Sogni densi e violenti | Sognati con anima e corpo: | Tornare; mangiare; raccontare. | Finché suonava breve sommesso | Il comando dell'alba: | "«Wstawać"»; | E si spezzava in petto il cuore. || Ora abbiamo ritrovato la casa, | Il nostro ventre è sazio, | Abbiamo finito di raccontare. | È tempo. Presto udremo ancora | Il comando straniero: | "«Wstawać"».''<ref>Poesia (poesia introduttiva, p.</ref> 155)
*Non salutavano, non sorridevano; apparivano oppressi, oltre che da pietà, da un confuso ritegno, che sigillava le loro bocche, e avvinceva i loro occhi allo scenario funereo. Era la stessa vergogna a noi ben nota, quella che ci sommergeva dopo le selezioni, ed ogni volta che ci toccava assistere o sottostare a un oltraggio: la vergogna che i tedeschi non conobbero, quella che il giusto prova davanti alla colpa commessa da altrui, e gli rimorde che esista, che sia stata introdotta irrevocabilmente nel mondo delle cose che esistono, e che la sua volontà buona sia stata nulla o scarsa, e non abbia valso a difesa. Cosí(''Il disgelo'', p. 158)
*Così per noi anche l'ora della libertà suonò grave e chiusa, e ci riempíriempì gli animi, ad un tempo, di gioia e di un doloroso senso di pudore, per cui avremmo voluto lavare le nostre coscienze e le nostre memorie della bruttura che vi giaceva: e di pena, perché sentivamo che questo non poteva avvenire, che nulla mai piúpiù sarebbe potuto avvenire di cosícosì buono e puro da cancellare il nostro passato, e che i segni dell'offesa sarebbero rimasti in noi per sempre, e nei ricordi di chi vi ha assistito, e nei luoghi ove avvenne, e nei racconti che ne avremmo fatti. Poiché, ed è questo il tremendo privilegio della nostra generazione e del mio popolo, nessuno mai ha potuto meglio di noi cogliere la natura insanabile dell'offesa, che dilaga come un contagio. È stolto pensare che la giustizia umana la estingua. Essa è una inesauribile fonte di male: spezza il corpo e l'anima dei sommersi, li spegne e li rende abietti; risale come infamia sugli oppressori, si perpetua come odio nei superstiti, e pullula in mille modi, contro la stessa volontà di tutti, come sete di vendetta, come cedimento morale, come negazione, come stanchezza, come rinuncia. (''Il disgelo'', p. 158)
*LI [[Codice etico|codici morali]], tutti, sono rigidi per definizione: non ammettono sfumature, né compromessi, né contaminazioni reciproche. Vanno accolti o rifiutati in blocco. È questa una delle principali ragioni per cui l'uomo è gregario, e ricerca più o meno consapevolmente la vicinanza non già del suo prossimo generico, ma solo di chi condivide le sue convinzioni profonde (o la sua mancanza di tali convinzioni). (''Il greco'', pp. 184-185)
*In ogni gruppo umano esiste una [[vittima]] predestinata: uno che porta pena, che tutti deridono, su cui nascono dicerie insulse e malevole, su cui, con misteriosa concordia, tutti scaricano i loro mali umori e il loro desiderio di nuocere.
*Mi spiegò che essere senza scarpe è una colpa molto grave. Quando c'è la guerra, a due cose bisogna pensare prima di tutto: in primo luogo alle [[scarpa (calzatura)|scarpe]], in secondo alla roba da mangiare; e non viceversa, come ritiene il volgo: perché chi ha le scarpe può andare in giro a trovar da mangiare, mentre non vale l'inverso. – Ma la guerra è finita, – obiettai: e la pensavo finita, come molti in quei mesi di tregua, in un senso molto più universale di quanto si osi pensare oggi. – Guerra è sempre, – rispose memorabilmente Mordo Nahum. (''Il greco'', pp. 188-189)
*L'uomo è gregario, e ricerca più o meno consapevolmente la vicinanza non già del suo prossimo generico, ma solo di chi condivide le sue convinzioni profonde (o la sua mancanza di tali convinzioni).
*L'[[Unione Sovietica]] è un gigantesco paese, e alberga nel suo cuore fermenti giganteschi: fra questi, una omerica capacità di gioia e di abbandono, una vitalità primordiale, un talento pagano, incontaminato, per le manifestazioni, le sagre, le baldorie corali. (''Victory Day'', p. 219)
*Quando c'è la guerra, a due cose bisogna pensare prima di tutto: in primo luogo alle [[scarpa (calzatura)|scarpe]], in secondo alla roba da mangiare; e non viceversa, come ritiene il volgo: perché chi ha le scarpe può andare in giro a trovar da mangiare, mentre non vale l'inverso. – Ma la guerra è finita, – obiettai: e la pensavo finita, come molti in quei mesi di tregua, in un senso molto più universale di quanto si osi pensare oggi. – Guerra è sempre, – rispose memorabilmente Mordo Nahum.
*Nei suoi discorsi, il vero, il possibile e il fantastico erano intrecciati in un groviglio vario e inestricabile. Raccontava della prigione e del tribunale come di un teatro, in cui nessuno è veramente se stesso, ma gioca, dimostra la sua abilità, entra nella pelle di un altro, recita una parte; e il teatro, a sua volta, era un gran simbolo oscuro, uno strumento tenebroso di perdizione, la manifestazione esterna di una setta sotterranea, malvagia e onnipresente, che impera a danno di tutti, e che viene a casa tua, ti prende, ti mette una maschera, ti fa diventare quello che non sei e fare quello che non vuoi. Questa setta è la Società [...] (''I sognatori'', p. 229)
*La [[nostalgia]] è una sofferenza fragile e gentile, essenzialmente diversa, più intima, più umana delle altre pene che avevamo sostenuto fino a quel tempo: percosse, freddo, fame, terrore, destituzione, malattia. È un dolore limpido e pulito, ma urgente: pervade tutti i minuti della giornata, non concede altri pensieri, e spinge alle evasioni. (''Il bosco e la via'', p. 269)
*InÈ antica osservazione che in ogni gruppo umano esiste una [[vittima]] predestinata: uno che porta pena, che tutti deridono, su cui nascono dicerie insulse e malevole, su cui, con misteriosa concordia, tutti scaricano i loro mali umori e il loro desiderio di nuocere. (''Da Iasi alla Linea'', p. 312)
 
===[[Explicit]]===
È un [[Sogni dai libri|sogno]] entro un altro sogno, vario nei particolari, unico nella sostanza. Sono a tavola con la famiglia, o con amici, o al lavoro, o in una campagna verde: in un ambiente insomma placido e disteso, apparentemente privo di tensione e di pena; eppure provo un'angoscia sottile e profonda, la sensazione definita di una minaccia che incombe. E infatti al procedere del sogno, a poco a poco o brutalmente, ogni volta in modo diverso, tutto cade e si disfa intorno a me, lo scenario, le pareti, le persone, e l'angoscia si fa più intensa e più precisa. Tutto è ora volto in caos: sono solo al centro di un nulla grigio e torbido, ed ecco, io ''so'' che cosa questo significa, ed anche so di averlo sempre saputo: sono di nuovo in Lager, e nulla era vero all'infuori del Lager. Il resto era breve vacanza, o inganno dei sensi, sogno: la famiglia, la natura in fiore, la casa. Ora questo sogno interno, il sogno di pace, è finito, e nel sogno esterno, che prosegue gelido, odo risuonare una voce, ben nota; una sola parola, non imperiosa, anzi breve e sommessa. È il comando dell'alba in Auschwitz, una parola straniera, temuta e attesa: alzarsi, «Wstawać». <!-- p. 325 -->
 
==''Ranocchi sulla luna e altri animali''==
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==Bibliografia==
*Primo Levi, ''Se questo è un uomo/La tregua'', Einaudi, Torino, 19561989. ISBN 88-06-11605-3
*Primo Levi, ''La tregua'', Einaudi, Torino, 1962.
*Primo Levi, ''Storie naturali'', Einaudi, Torino, 1966.
*Primo Levi, ''Vizio di forma'', Einaudi, Torino, 1971.