Vincenzo Consolo: differenze tra le versioni

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*Tutti dovettero avere una grande superbia, un grande orgoglio, un alto senso si sé, di sé come individui e di sé come comunità, se subito dopo il terremoto vollero e seppero ricostruire miracolosamente quelle città, con quelle topografie, con quelle architetture barocche: scenografiche, ardite, abbaglianti concretizzazioni di sogni, realizzazioni di fantastiche utopie. Sembrano nei loro incredibili movimenti, nelle loro aeree, apparenti fragilità, una suprema provocazione, una sfida ad ogni futuro sommovimento della terra, ad ogni ulteriore terremoto; e sembrano insieme, le facciate di quelle chiese, di quei conventi, di quei palazzi pubblici e privati, nei loro movimenti, nel loro ondeggiare e traballare "a guisa di mare", nel loro gonfiarsi e vibrare come vele al vento, la rappresentazione, la pietrificazione, l'immagine, apotropaica o scaramantica, del terremoto stesso: la distruzione volta in costruzione, la paura in coraggio, l'oscuro in luce, l'orrore in bellezza, l'irrazionale in fantasia creatrice, l'anarchia incontrollabile della natura nella leibniziana, illuministica anarchia creatrice; il caos in logos, infine. Che è sempre il cammino della civiltà e della storia. (da ''Il barocco in Sicilia'')
*Un uomo, [[Pino Puglisi|don Pino]] {{Ndr|Puglisi}} in lotta contro i non uomini, i mafiosi e i sicari del quartiere, per salvare i bambini e i ragazzi da un destino di violenza, di illegalità, di miseria e ignoranza, di inciviltà.<ref name=":0" />
 
{{Int|Da ''La Trezza''|in [[Giovanni Verga]], ''[[I Malavoglia]]'' (1881), introduzione di Carla Riccardi, con un saggio di Vincenzo Consolo, Mondadori, Milano, 1983. ISBN 88-04-52519-3}}
*E simile a quella del [[Giacomo Leopardi|poeta di Recanati]] {{NDR|nella poesia ''[[Giacomo Leopardi#XXXIV .E2.80.93 La ginestra o il fiore del deserto|La ginestra]]''}} crediamo sia la visione di [[Giovanni Verga]]: di una natura matrigna, avversa e minacciosa, della sua aridità e desolazione, del suo aspetto di tempesta pietrificata, dell'impotenza dell'uomo, del suo fatale, ricorrente scacco, della fragilità sua di formica che il caso ha posto sotto il cratere d'un vulcano, nell'irredimibilità dell'esistenza. (p. 275)