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*Tutti i dirigenti bolscevichi erano convinti assertori dello Stato monopartitico e monoideologico, dell'arbitrio legalizzato e della violenza come legittimi strumenti di governo, del centralismo amministrativo. Ne Lenin né gli altri dirigenti bolscevichi usavano questi termini, ma con le parole e i fatti mostravano il loro impegno. L'ipotesi che l'ordine bolscevico sarebbe stato più umano se Lenin non fosse morto è difficilmente conciliabile con questa gamma di principi affermatisi col [[bolscevismo]]. (Parte prima, cap. VIII, p. 176)
 
*Tra questa «gente del passato» (''bjvšie ljudi''), come erano {{sic|definiti}} le persone che erano stati influenti prima della rivoluzione d'Ottobre, {{NDR|con il primo piano quinquennale del 1928-1932}} l'odio per il bolscevismo era acceso. Molti contadini e operai condividevano lo stesso sentimento. E Stalin disi era procurato un numero incalcolabile di nuovi nemici all'interno del partito. La collettivizzazione, la [[Kulaki|dekulakizzazione]], i processi dimostrativi nelle città e il sistema dei lavori forzati {{sic|aveva}} inferto sofferenze pari a quelle subite durante la guerra civile. (Parte seconda, cap. IX, p. 210)
 
*Stalin riconosceva di non poter dominare solo con il terrore, e cercava sistematicamente il consenso delle varie élite nel governo, nel parito, nell'esercito e nella polizia segreta. I privilegi e il potere dei funzionari vennero confermati e la dignità delle istituzioni accresciuta. Mantenendo la distanza fra governanti e governati, Stalin sperava di prevenire lo scoppio dell'opposizione popolare. Per di più, cercava di accrescere il suo rapporto personale con l'etnia russa rafforzando una forma di nazionalismo russo insieme al marxismo-leninismo, e coltivava la propria immagine di capo la cui posizione al timone dello Stato sovietico era vitale per la sicurezza militare del paese e per il suo sviluppo economico. (Parte terza, cap. XVI, p. 336)