Cesare Brandi: differenze tra le versioni

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*{{NDR|[[Canaletto]]}} La precisione miracolosa, la purezza incandescente del più piccolo tratto, della più piccola lineetta resteranno, in queste beate pitture, fra i più grandi raggiungimenti di una civiltà al suo culmine. Solo un pittore che era l'erede qualificato di tutta la pittura italiana, poteva arrivare a fondere in una concezione formale d'una così osata perfezione, la prospettiva italiana e l'evidenza di Vermeer. Sarà chiaro ormai come un'altra interpretazione semplicistica da scartare sarebbe quella che facesse discendere unicamente la specialissima ellissi cromatico-luminosa di Canaletto, dal suo impareggiabile virtuosismo di disegnatore e di incisore. Nella progressiva maturazione dello stile di Canaletto [...] si è constatato come disegno e pittura non siano che fasi di un'unica visione: né, per il fatto che, cronologicamente, il disegno precede la pittura "finita" corrispondente, si può dedurre questa da quello. Uno era l'artista, una l'intenzione formale. La particolare ellissi stenografica non nasce per ragioni di formula disegnativa, di affidare cioè alla linea tutto il fardello dell'immagine, ma proprio per la inconfondibile necessità spaziale [...], per cui luci e ombre, per determinare la visione stereoscopica, devono continuamente avanzare o retrocedere rispetto all'oggetto cui si riferiscono: dissociarsene e scaglionarsi in profondità. Donde qualsiasi modulazione chiaroscurale o plastica deve per forza essere risolta in giustapposizioni, in scaglionamenti, in trapassi secchi. È in quanto che il piccolissimo punto bianco (che poi sarà un naso o un bottone) avanza più del dovuto – per così dire – che nella totalità dell'immagine riuscirà a ristabilire il nesso spaziale, lo spessore dell'oggetto, senza bisogno di termini intermedi. Chi rimprovera ciò a Canaletto non ha capito nulla dell'altissima ricerca formale e non imitativa che ha sempre retto la sua pittura. Senza quella particolare ellissi, senza quella sottile tecnica quasi ad intarsio, né a Vermeer né a Canaletto riuscirebbe di raggiungere la loro inarrivabile spazialità, che è come uno scandaglio nel mare. Non è una spazialità affiorante, non chiede la sua valenza al medium della luce: ma si serve della luce, come per messa a punto definitiva. È in quei punti luminosi, che brillano simili a pagliette, che si ha come la riprova dell'operazione riuscita [...]. Altro che naturalismo, obbiettività manuale, inerte virtuosismo ottico. E quelle vedute ideate, come le chiamò lui stesso, che arrivavano fino al capriccio di impianto, allora quasi panniniano, quanto mal celato fastidio hanno sempre dato ai suoi critici, fissi nel volerlo vedere nei suoi panni reali solo quando sembra che copi esattamente dal naturale. [...] Che colpo, per chi ambirebbe farne il coscienzioso pre-impressionista, sempre in plein air.<ref name="multi">Citato in ''Canaletto'', I Classici dell'arte, a cura di Cinzia Manco, Rizzoli/Skira, Milano, 2003, pp. 181-188.</ref>
*La storia della pittura di Guttuso comincia da quella ''Fuga dall'Etna'' durante un'eruzione che Natale Tedesco ha chiamato la «Guernica siciliana», però siciliana è un po' anche la Guernica di Picasso; e forse Picasso ha studiato lo schema compositivo del ''Trionfo della morte'' di Palermo più di quanto Guttuso abbia dipinto la Fuga sotto l'impressione della Guernica che Cesare Brandi gli aveva allora mandato in cartolina. (da ''Scritti sull'arte contemporanea'', Einaudi, Torino 1976, pp. 401-404)
*Per chi un viaggio in Sicilia non ha rappresentato un premio, o quasi il compimento di un voto? L'uomo non ha cessato, neanche nei tempi storici, di favoleggiare sulla Sicilia, che è la terra stessa del mito: qualsiasi seme vi cada, invece della pianta che se ne aspetta, diviene una favola, nasce *{{NDR|sul [[Golfo di Napoli]]}} Vi sono panorami che rappresentano assai più che una favolabellezza naturale o lo spettacolo di una grande città, addirittura le fattezze della Patria. (incipitIn Italia, per quanto ricca si creda, sono in numero limitatissimo. [...] Ad esempio la vista dal viale dei Colli sulla città e sulle colline di Firenze; quella dal Gianicolo su Roma; la Riva degli Schiavoni a Venezia; ma su tutte, inutile negarlo, troneggia il panorama del Golfo di Napoli [...]. E' questa la porta celeste dell'SiciliaItalia, la porta che non è retorico chiamare augusta, e provoca nostalgia e rimpianto non solo ai napoletani emigrati. (da mia''Così andai al Sud, SellerioGuida , PalermoNapoli 1998, 1989p.34)
*[[Golfo di Napoli]] Vi sono panorami che rappresentano assai più che una bellezza naturale o lo spettacolo di una grande città, addirittura le fattezze della Patria. In Italia, per quanto ricca si creda, sono in numero limitatissimo. [...] Ad esempio la vista dal viale dei Colli sulla città e sulle colline di Firenze; quella dal Gianicolo su Roma; la Riva degli Schiavoni a Venezia; ma su tutte, inutile negarlo, troneggia il panorama del Golfo di Napoli [...]. E' questa la porta celeste dell'Italia, la porta che non è retorico chiamare augusta, e provoca nostalgia e rimpianto non solo ai napoletani emigrati.
 
==Note==