Manlio Sgalambro: differenze tra le versioni

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*Là dove domina l'elemento insulare è impossibile salvarsi. Ogni [[isola]] attende impaziente di inabissarsi. Una teoria dell'isola è segnata da questa certezza. Un'isola può sempre sparire. Entità talattica, essa si sorregge sui flutti, sull'instabile. Per ogni isola vale la metafora della nave: vi incombe il naufragio. Il sentimento insulare è un oscuro impulso verso l'estinzione. L'angoscia dello stare in un'isola come modo di vivere rivela l'impossibilità di sfuggirvi come sentimento primordiale. La volontà di sparire è l'essenza esoterica della [[Sicilia]]. Poiché ogni [[Sicilia|isolano]] non avrebbe voluto nascere, egli vive come chi non vorrebbe vivere: la storia gli passa accanto con i suoi odiosi rumori ma dietro il tumulto dell'apparenza si cela una quiete profonda. Vanità delle vanità è ogni storia. La presenza della catastrofe nell'anima [[siciliani|siciliana]] si esprime nei suoi ideali vegetali, nel suo taedium storico, fattispecie del nirvana. La Sicilia esiste solo come fenomeno estetico. Solo nel momento felice dell'arte quest'isola è vera.<ref>Da ''Teoria della Sicilia'', prologo dell'opera lirica ''Il Cavaliere dell'Intelletto''; citato in Guido Guidi Guerrera, ''Battiato: Another link'', Verdechiaro edizioni, 2006, [https://books.google.it/books?id&#61;DJZjWpN4zakC&pg&#61;PA117 p. 117]. ISBN 8888285253</ref>
*La [[mafia]] in sé non mi fa venire in mente nulla. Come la patria, i morti di Solferino. Cose vetuste. [...] [[Leonardo Sciascia|Sciascia]] era lo scrittore civile, un maestro di scuola che voleva insegnarci le buone maniere sociali. Ma rivisitarlo oggi è come rileggere [[Silvio Pellico]]. La sua funzione s'è esaurita. Sciascia non ci serve più. Occorre una nuova riflessione, un'altra coscienza siciliana.<ref>Dall'intervista di Francesco Battistini, ''Sgalambro: Sciascia addio, non servi più'', ''Corriere della Sera'', 11 febbraio 2005, p. 33.</ref>
*{{NDR|Su [[Angelo Scandurra]]}} Col suo linguaggio questo poeta spella vive le cose. L'immaginazione non sbriga affari correnti ma bussa con imperio alle porte dell'universo. L'immagine di un enorme ragno cresce sotto i nostri occhi. Il ragno con cui Spinoza giuoca, gettandogli mosche e ridendo, evoca nel filosofo l'immagine dell'''orto divinus'' la cui insistita geometricità è l'implacabilità di un Dio senza passioni. Come un'enorme massa che incombe su esseri atterriti. Nel nostro poeta il ragno è un "dio scontroso e scaltro". L'immagine prepotente però non si accontenta. Il tema balena dietro gentilezze da uomo di mondo. Il poeta è sempre vigile. Secche staffilate o carezze, egli ci prende alle spalle. Come in un agguato in cui rischiamo la nostra prudente quiete. Si muovono da lontano vecchie sensazioni, emozioni ormai logore si ridestano e alla fine ci si incontra con se stessi.<ref> Da ''Prefazione'' a Angelo Scandurra, ''Trigonometria di ragni'', All'Insegna del Pesce d'oro, Milano, 1993, pp. 7-8 </ref>
*{{NDR|Sul rapporto con la Sicilia}} Per quanto ne sono consapevole – e di questo solo rispondo, non delle cose cosiddette inconsce, che non mi picco d'indagare — non ho "rapporti", è piuttosto l'estensione della mia pelle [...] Ho scritto qualcosa sulla Sicilia. Ma quanto al vivere qui, devo dire che mi trovo bene, ho un collegamento immediato, da ragazzino vivevo a Lentini dov'ero nato — non c'erano i giardini che avrebbero sostituito le pensioncine — mio padre era farmacista, mio zio avvocato e aveva delle campagne, dove ogni tanto andavamo. Ricchissima terra, dove poi ci sono stati ritrovamenti archeologici, e così mi sono trovato a giocare con le ossa — dei greci, dei graeculi, di tutti quelli che vi avevano abitato o comunque erano passati da lì (si ritrova in un mio poemetto...); ebbene, mi trovavo bene, mi ci trovo bene in mezzo.<ref>Citato in ''[http://www.psychiatryonline.it/node/3343 Il pessimismo osé di Manlio Sgalambro]'', ''PsychiatryOnline.it'', 4 marzo 2013.</ref>