Friedrich Meinecke: differenze tra le versioni

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*[...] nella stessa [[Strasburgo]] non si scorgevano vuoti fra passato e presente. Medioevo romanico e gotico, barocco e le più recenti costruzioni dopo il 1871, stavano tutti l'uno addosso all'altro, costituendo, non proprio un'unità armoniosa, ma tuttavia quella unità e continuità della vita storica che sovrasta anche le più enormi tensioni e ricorda la continua lotta e le alterne fortune dei popoli. Il [[Cattedrale di Strasburgo|duomo di Strasburgo]] costituisce il più possente centro di questa unità. Spesso ci sembrava che fosse stato costruito non dalla mano dell'uomo, a dall'eternità, quale monito alle passeggere generazioni degli uomini, perché servissero l'eterno con le loro deboli forze, e in particolare servisse ai Tedeschi perché si mostrassero degni di questo duomo. [...] E nel guardare la meravigliosa abside romanica, avevo la sensazione che qui fosse nascosto ancora un supremo e impenetrabile mistero (come accade forse in ogni grande esperienza storica).(pp. 184-185)
*[[Firenze]] divenne per me una rivelazione che mi rese infinitamente felice. Per quante opere d'arte del [[Rinascimento]] italiano avessi già veduto in riproduzioni, e negli originali dei musei di [[Berlino]], [[Monaco di Baviera|Monaco]] e [[Parigi]], solo ora esso mi apparve non solo come una bellezza da godere esteticamente, ma come il culmine supremo della vita di un popolo altamente dotato, in cui civiltà e Stato operavano nel modo più intimo l'uno sull'altro. E ovunque sentii anche la tragicità insita in questa grandezza e nella sua caduta. (p. 206)
*La politica di potenza e realistica, una volta liberata da motivi universalistici (cioè in fondo etici), poteva troppo facilmente degenerare in ibrida politica di violenza. Questo naturalmente lo sapevamo anche allora, e ne trovavamo l'esempio in [[Napoleone Bonaparte|Napoleone]]; ma ci consolavamo guardando a tutto quello che di positivo era scaturito dalla sua azione. Questo stato d'animo somigliava alla fiduciosa speranza nel genio dell'Occidente – che sempre tornava ad affermarsi salvando – [...] Ma questi accenti hanno cominciato a spostarsi per me a causa e dopo la guerra mondiale. Vidi un'orribile degenerazione della politica realistica in quegli strati del popolo tedesco che fino a quel momento avevano rappresentato la sua civiltà. La speranza che la sconfitta servisse loro di lezione, andò a vuoto. E vidi la ''hybris'', forse ancor peggiore, della [[Trattato di Versailles (1919)|pace di Versailles]]. Ma quando più tardi volevo spiegare al mio amico danese [[Aage Friis]] il turbamento della mentalità del popolo tedesco come dovuto al trattamento fattogli dalla pace di Versailles, egli domandò: «La Germania, se avesse vinto, avrebbe imposto una pace più moderata?». La mia delusione non mi ha fatto cadere nell'estremo opposto, di dichiarare malvagio il potere in sé, come fa [[Jacob Burckhardt|Burckhardt]]. Esso è solo un tentatore che vuole indurre al male. Ma il demonismo del potere fu da me sentito da quel momento in modo tutto diverso e più acuto che non nell'anteguerra. (pp. 317-318)
 
==Bibliografia==