Michel de Montaigne: differenze tra le versioni

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→‎Libro I: citazione di Aristippo piuttosto che di Montaigne, già direttamente citata nella voce relativa
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*Quante cose, che ieri tenevamo per articoli di [[fede]], oggi le consideriamo favole? (XXVII; 2014)
*Se sentivo parlare o degli spiriti che tornano o della profezia di cose future, degli incantesimi, delle stregonerie, o raccontare qualche altra cosa che non potevo comprendere [...] ero preso da compassione per il povero popolo ingannato con tali follie. E ora trovo che ero per lo meno altrettanto da compatire io stesso: non che l'esperienza mi abbia in seguito fatto veder nulla al di là delle mie prime opinioni (e tuttavia questo non è dipeso dalla mia curiosità); ma la ragione mi ha insegnato che condannare con tanta sicurezza una cosa come falsa e impossibile, è presumere d'avere in testa i limiti e i confini della volontà di [[Dio]] e della potenza di nostra madre [[natura]]. E che non c'è al mondo follia più grande che giudicarli in proporzione alla nostra capacità e competenza. Se chiamiamo prodigi o miracoli le cose a cui la nostra ragione non può arrivare, quanti se ne presentano continuamente al nostro sguardo? Consideriamo attraverso quali nebbie e quasi a tastoni siamo condotti alla conoscenza della maggior parte delle cose che abbiamo a portata di mano; certo troveremo che è piuttosto l'abitudine che la scienza a non farcene vedere la stranezza, [...] e che se quelle stesse cose ci venissero presentate per la prima volta, le troveremmo altrettanto o più incredibili di qualsiasi altra. (XXVII; 2012, p. 325)
*[[Aristippo]]: quando gli fu ricordato l'affetto che doveva ai propri [[Figlio|figli]] perché erano usciti da lui, si mise a [[Sputo|sputare]], dicendo che anche quello era pur sempre uscito da lui. (XXVIII; 2014)
*In verità, se confronto tutto il resto della mia vita, che pure, per grazia di Dio, mi è trascorsa dolce, facile e, salvo la perdita di [[Étienne de La Boétie|un tale amico]], esente da gravi afflizioni, piena di tranquillità di spirito, essendomi accontentato dei miei agi naturali e originari senza cercarne altri; se la confronto, dico, tutta quanta ai quattro anni in cui mi è stato dato di godere della dolce compagnia e familiarità di quell'uomo, essa non è che fumo, non è che una notte oscura e noiosa. (XXVIII; 2014)
*{{NDR|Parlando dell'amicizia con Etienne de La Boétie}} Nell'amicizia di cui parlo, {{NDR|le anime}} esse si mescolano e si confondono l'una nell'altra con un connubio così totale da cancellare e non ritrovar più la commessura che le ha unite. Se mi si chiede di dire perché l'amavo, sento che questo non si può esprimere che rispondendo: «Perché era lui; perché ero io». (XXVIII; 2014)