Curzio Malaparte: differenze tra le versioni

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*La Rivoluzione d'ottobre {{NDR|rivoluzione fascista dell'ottobre 1922}} non può e non deve ripetere gli errori del [[Risorgimento]], finito in malo modo nel compromesso antirivoluzionario del Settanta, che preparò il ritorno al potere attraverso il liberalismo, la democrazia, il socialismo, di quegli elementi borbonici, granducali, austriacanti, papalini che avevano sempre combattuto e bestemmiato l'idea e gli eroi del Risorgimento. È necessario che il Fascismo prosegua senza esitazioni il suo fatale cammino rivoluzionario. (su ''L'Impero,'' 18 aprile 1923<ref>Citato in [[Paolo Mieli]], ''Tradimenti senza fine'', ''Corriere della Sera'', 11 gennaio 2017, pp. 34-35.</ref>)
*Mi si biasimi pure, ma io sono un uomo e amo la [[guerra]]. Non ho l'ipocrisia di dire: "Non amo la guerra". Io l'amo, come ogni uomo ben nato, sano, coraggioso, forte, ama la guerra, come ogni uomo che non è contento degli uomini, né dei loro misfatti. (da ''Diario di uno straniero a Parigi'', Vallecchi, Firenze, 1966, p. 103)
*Muore tutto ciò che l'Europa ha di nobile, di gentile, di puro. La nostra patria è il cavallo. Voi capite quel che voglio dire. La nostra patria muore, la nostra antica patria. (da ''Kaputt'' in ''Opere scelte'', Mondadori, Milano, 1997, p. 499)
*Non sarà mai ripetuto abbastanza che una cosa è l'Italia, altra cosa è lo Stato italiano, e che tanto è cosa meravigliosa l'Italia, quanto è misera cosa lo Stato italiano.<ref>Citato in ''Il Tempo'', 4 ottobre 1956.</ref>
*Non so quale sia più difficile, se il mestiere del vinto o quello del vincitore: di una cosa sono certo, che il valore umano dei vinti è superiore a quello dei vincitori.<ref>Citato in Paolo Granzotto, ''Montanelli'', Bologna, il Mulino, 2004, p. 119. ISBN 88-15-09727-9.</ref>
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===Citazioni===
*Muore tutto ciò che l'Europa ha di nobile, di gentile, di puro. La nostra patria è il cavallo. Voi capite quel che voglio dire. La nostra patria muore, la nostra antica patria. (daParte ''Kaputt'' in ''Opere scelte'', Mondadori, Milano, 1997prima, p. 49976)
*Quando finalmente [[Oswald Mosley|Mosley]] entrò da Laure, eran quasi le quattro del pomeriggio. Nicolson ed io avevamo già bevuto cinque o sei Martini, e avevamo cominciato a mangiare; non ricordo più quel che stavamo mangiando, né di che cosa ci mettemmo a discorrere, ricordo soltanto che Mosley aveva una testa molto piccola, una voce dolce, che era alto, altissimo, magro, indolente, un po' curvo, e che, per nulla dispiaciuto anzi perfettamente soddisfatto del suo ritardo, «on n'est jamais pressé quand il s'agit d'arriver en retard» disse, non per scusarsi, ma per farci intendere che non era così stupido da non capire che era giunto in ritardo. Nicolson ed io ci mettemmo subito d'accordo con un'occhiata, e, per tutta la durata della colazione, Mosley non ebbe neppure il più lieve sospetto che ci fossimo messi d'accordo per prenderci gioco di lui. Mi parve che fosse largamente dotato di ''sense of humour'': ma, come tutti i dittatori (Mosley non era se non un pretendente alla dittatura, aveva però, senza alcun dubbio, ahimè, la stoffa del perfetto dittatore, e si sa di che lana è fatta quella stoffa!) non sospettava neppur lontanamente che si potesse prendersi gioco di lui. (Parte seconda, p. 123)
*Mussolini crede in se stesso, se tuttavia crede in qualcosa: ma non crede all'incompatibilità fra la logica e la fortuna, tra la volontà e il destino. La sua voce è calda, grave, eppur delicata. Una voce che talvolta ha strani, profondi accenti femminili, un che di morbosamente femmineo. (Parte sesta, p. 376)