Gianfranco Ferroni: differenze tra le versioni

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*Ferroni più incisore che pittore? Non questa è la scelta. La scelta è, se mai, sulla definizione del suo mondo poetico o di come possa venir pronunciato con esattezza. E lì, non esistono dubbi; la risposta pende tutta dalla parte del biancore che chiama se stesso dal nero; della luce che chiama se stessa dall'ombra; o viceversa; insomma, dalla parte della neve abbacinata e abbacinante e dei bui velluti, densi e fruscianti come licheni, che si formano, piano piano, sull'intero sunto e, insieme, sull'intera consunzione dell'umana storia; ma, soprattutto, sulla possibilità che tale storia venga vanificata dalla domanda che, a un determinato punto del processo, insorge circa la sua realtà e, insieme, circa la sua ragione d'essere veramente esistita e di veramente esistere. ([[Giovanni Testori]])
*Niente è più difficile che essere un pittore figurativo. Ciò che appare facile a chi guarda, per la quotidiana consuetudine con gli oggetti rappresentati; i più semplici: un tavolo, un letto, una sedia, una forbice, una bottiglia, gli accessori per dipingere, richiede una concentrazione superiore, qualcosa di simile al tiro al bersaglio. L'artista è in gara, deve afferrare la preda che continuamente tenta di sfuggirgli, anche se è ferma, immobile. Così la scommessa di Gianfranco Ferroni, nei ripetuti temi di nature morte, complementare a quella di [[Piero Guccione]] nei temi di paesaggio, è nella definizione di una immagine assoluta, attraverso una progressiva rarefazione della fenomenologia delle cose. ([[Vittorio Sgarbi]])
*Siamo soli, ecco la constatazione terribile e primaria, soli, pers sempre; e, chissà, soli da sempre. Trafitti dalla luce di ciò che fu; quella luce che diventa, sembra dirci Ferroni, tutto ciò che siamo stati e saremo. Così anche quando non esisteremo più come corpi, questi interni, questi studi, questi muri (o altri, forse differenziati, ma pur sempre eguali) vivranno ancora; e di noi, unico baluginio, cadrà, su di loro la luce in cui saremo andati, poco a poco, a finire; o a bruciare, come farfalle da lei troppo attratte, e disperate. ([[Giovanni Testori]])
*Un tavolinetto, un lettino, una sedia, pennelli e barattoli di colore, una cuccuma, un putto di gesso, una cornice e una spina elettrica. Questo scarno elenco di oggetti è tutto quello di cui Gianfranco Ferroni – pittore, incisore, ma soprattutto disegnatore – ha bisogno per rappresentare il mistero dell'esistenza umana. Per trovare un altro artista restio a varcare la soglia del proprio studio, bisogna andare indietro nel tempo fino al Seicento e bussare alla porta di [[Jan Vermeer|Vermeer]], il pittore olandese che ha saputo immortalare la vita silenziosa delle cose. Risulta più agevole trovare sodali di Ferroni tra i letterati, forse in ossequio all'etimologia comune, dal greco "graphein", di scrivere e disegnare. Vengono in mente almeno tre nomi: l'austriaco Adalbert Stifter, che fu anche pittore, e i francesi [[Georges Perec]] e [[Alain Robbe-Grillet|Robbe-Grillet]]. ([[Lillo Gullo]])