Sergio Givone: differenze tra le versioni

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Dal libro "I sentieri della filosofia"
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{{intestazione|''I sentieri della filosofia''}}
*Ma che cosa significa togliere di mezzo la [[verità]]? Significa per esempio che non sarà più il diritto ad aver dalla sua la forza (la forza della verità, che lo legittima), ma la forza (la forza senza verità) ad aver dalla sua il diritto e a farne ciò che vuole: magari legittimando un sopruso sulla base di prove false, inventate, create per fini ideologici e per obiettivi di potere. L'idea che, tolta la verità, si apra finalmente lo spazio di una conversazione civile in cui spontaneamente fiorisce ciò che è degno di essere creduto o ciò che, non creduto, merita di far parte del patrimonio umano, è una bella idea, ma forse l'ermeneutica dovrebbe esercitare su di essa un po' di quell'arte del sospetto che le appartiene.<ref>Citato nel libro di {{cita web | autore = Sergio Givone | autore2= Ugo Perone (prefazione a cura di) | url = https://books.openedition.org/res/1049 | titolo = ''I sentieri della filosofia''}}, capitolo 5-"Ermeneutica ed estetica" (pp. 91-101, capoverso 19), Rosenberg & Sellier editore, 2015, OCLC 1089437280, ISBN 9788878854475. Testo disponibile in modalità Open Access nel sito ''[[w:it:Books.openedition.org|Books.openedition.org]]''. URL archiviato il [http://archive.is/WZQTf/ 21 settembre 2019].</ref>
*A un suo personaggio, Versilov, [[Fëdor Dostoevskij|Dostoevskij]] mette in bocca un'idea simile: che basti rinunciare agli assoluti, disfarsi di qualsiasi pretesa all'[[immortalità]], perché gli uomini imparino a riconciliarsi con la terra, cioè con la loro finitezza e la loro fragilità, finalmente amandosi gli uni gli altri, perché non c'è amore se non là dove c'è condivisione d'un destino comune e sentimento di [[pietà]] per chi muore, cioè per tutti. Quest'idea nel romanzo dostoevskiano non viene confutata, ma semplicemente messa sulla bocca del [[diavolo]], e smontata col più amaro dei sorrisi. (cap. 5)
 
*Dice ancora qualcosa il nome di Dio agli uomini di oggi? Secondo [[Friedrich Nietzsche|Nietzsche]], poco o nulla. Lo stesso annuncio che "Dio è morto" è destinato a cadere nel vuoto. Magari tutti ripetono la frase a proposito di questo o di quello (secolarizzazione, scristianizzazione, pensiero unico, e così via). Ma come se fosse un'ovvietà, una cosa scontata, di cui prendere atto per poi archiviarla senza farsi troppi problemi. Un po' come dire: siamo moderni, emancipati, la [[fede]] in Dio appartiene al passato. Dovranno passare secoli – è sempre Nietzsche a sostenerlo – prima che gli uomini tornino a interrogarsi sul senso profondo e misterioso di questa morte.
*Che la morte di Dio appaia come un evento che è ormai alle nostre spalle e che ci lascia sostanzialmente indifferenti non è ateismo. È [[nichilismo]]. (cap. 6)
*L'[[ateismo]] a suo modo tiene ferma l'idea di Dio. Non fosse che per distruggere e negare quest'idea, liquidando al tempo stesso ogni forma di trascendenza: sia la [[trascendenza]] della legge morale, sia la trascendenza del senso ultimo della vita. Tutte cose che dal punto di vista dell'ateismo costringerebbero l'uomo in uno stato di sudditanza e gli impedirebbero di realizzare la sua piena [[Umanità (qualità)|umanità]]. L'ateismo vede in Dio il nemico dell'uomo. Perciò gli muove guerra. (cap. 6)
 
== Note ==