Géza Gárdonyi: differenze tra le versioni

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*Jancsi, in quella sua triste solitudine, s'annoiava terribilmente. Volse lo sguardo al soffitto. Vi era dipinto il cielo. Sotto c'era un uomo con una barba bianca, mezzo nudo, al cui fianco stava un uomo giovane, egli pure mezzo nudo, che teneva fra le mani una grande croce. Sopra le loro teste sembrava volare una colomba bianca. Tutto intorno una moltitudine di vescovi, di preti, di monache e di angeli. Jancsi vide anche dei gentiluomini, ma di contadini, benché li cercasse, non ne vide neppure uno. (''Parte prima'', p. 133-134)
* Margit, prendendo sottobraccio una delle quattro fanciulle, si accompagnò con loro. quando si fermarono, essa pure si fermò non staccando gli occhi da Jancsi, alzando la mano alla fronte per ripararsi dai raggi del sole. (Com'è bianca la sua mano). Ad un tratto essa si chinò e colse un tulipano rosso. <br/> Guardando il ragazzo con occhi sognanti, con gesto quasi inconscio, si pose il fiore fra i capelli sopra l'orecchio. <br/>– Margit! – esclamò suor Olimpiades – Che hai fatto? [...] Margit sussultò. Arrossì violentemente, vergognosa. Con lento gesto si levò il tulipano dai capelli e si volse, prendendosi il volto fra le mani. (''Parte prima'', p. 161)
*[...] L'uomo immerso nella vita del corpo non sente mai l'«io». Non potrebbe mai dire: «io» sono felice. La «mia» vita è bella. L'«io» è privo di luce e di colore come il diamante in un anello gettato nelle immondizie. Perciò noi soffriamo, lo si voglia o no, perché la nostra anima si purifichi e si rafforzi. ('''Frate Abris''', ''Parte seconda'', pp. 258-259) {{NDR|a Jancsi}})
*Nella sala, per qualche tempo, regnò un gran silenzio. Il re slovacco {{NDR|Ottocaro}} osservò ad uno ad uno i dipinti sul muro. Accennò alla immagine di Santa Erzsébet e domandò in tono rispettoso: <br/> – Chi è quella santa? <br/> – La mia sorella minore – rispose re Béla – è Santa Erzsébet.<br/>– E quell'altro santo? <br/> – È il mio fratello maggiore: il re San László. <br/> – E questo? <br/> – È mio nonno, il re Santo István. <br/> Il re slovacco, dopo ogni risposta, faceva cenni rispettosi verso l'immagine dei santi. (''Parte seconda'', p. 269)
*{{NDR|Frate Jackab scopre fogli scritti da Jancsi}} [...] Poté decifrare con grande difficoltà: «[...] ''Abbandono tutto, getto tutti i tesori nell'acqua, ma un'immagine la porterò con me, chiusa nel mio cuore. È l'immagine di una fanciulla, d'una santa fanciulla. La sua immagine è nascosta in fondo al mio cuore come quella della Santa Vergine in fondo ad un bosco, sul tronco d'un albero secolare. <br/> Non puoi portare nulla, neppure nel cuore. Tu vieni dal mondo della tristezza dove anche il pensiero è sofferenza. Noi ti faremo bere alla fonte dell'oblio... <br/> Non posso seguirvi, allora. Le bellezze dell'isola eterna non mi sono care come quell'immagine, come la mia dolce tristezza...''» (''Parte terza'', pp. 317-318)