Franz Herre: differenze tra le versioni

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→‎Francesco Giuseppe: Rudolf von Alt
 
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*Il pittore [[Gustav Klimt]] fu il primo presidente della "Secessione" e il suo più insigne rappresentante. Non aveva dimenticato l'ornato e aveva ritrovato l'ordine, ravvivato il decorativo, mantenuto l'impressionismo e precorso l'espressionismo: aveva opportunamente riunito tutte le esperienze del passato per offrirle al futuro. (p. 400)
 
*Presidente onorario della "Secessione" votata allo stile floreale fu l'ottantacinquenne [[Rudolf von Alt]], acquarellista e paesaggista, che non seguiva la nuova tendenza artistica ma la proteggeva. L'Imperatore {{NDR|Francesco Giuseppe}} gli chiese se non fosse troppo vecchio per farlo, e il maestro gli rispose: "Sono sempre stato troppo vecchio, ma sono sempre abbastanza giovane per imparare qualche cosa". (p. 401)
 
*L'uomo nuovo della Ballhausplatz<ref>Sede del Ministero degli esteri dell'Impero austro-ungarico.</ref> si chiamava conte [[Leopold Berchtold|Leopold Berchtold von und zu Ungarschütz]], ed era stato proposto dall'erede al trono<ref>Francesco Ferdinando d'Asburgo-Este (1863–1914), arciduca ed erede di Francesco Giuseppe al trono austro-ungarico.</ref>, che lo riteneva maneggevole, e accettato dall'Imperatore, che in lui poteva vedere un secondo Tisza<ref>István Tisza (1861–1918), politico ungherese.</ref>: un esponente di quella feudalità che in Ungheria aveva dato prova ancora una volta di essere il sostegno della monarchia e che forse avrebbe potuto dimostrarsi tale anche in politica estera. Il nuovo ministro degli Esteri sembrava facile da manovrare, poiché non era orgoglioso ed energico come Tisza; era senza dubbio presuntuoso, ma in un modo tanto ovvio che non sembrava accorgersi affatto quando gli alti se lo mettevano in tasca. Forse era troppo pigro e indolente per contrastare la volontà degli altri. Quanto a questo, era un genuino esponente della grande nobiltà degenerata nell'indifferenza, non proprio quello che ci voleva per rappresentare la politica estera di una grande potenza e di cui la monarchia aveva bisogno in quei difficili momenti. (pp. 468-469)