Aulo Cornelio Celso: differenze tra le versioni

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*{{NDR|Sull'[[ictus|apoplessia]]}} Se tutt'i membri sono fortemente paralizzati il salasso o uccide o sana; ed ogni altro genere di cura quasi mai non reintegra la sanità, spesso non facendo altro che differire la morte, rende penosa la vita. Dopo il salasso se non ritornano il movimento e la intelligenza, non vi è più speranza; ma se ritornano, può anche aspettarsi la guarigione perfetta. (libro III, capitolo XXVII; pp. 180-181)
*La [[tosse]] poi, la quale si contrae in varii modi, quando è provocata da esulcerazioni delle fauci è quasi sempre molesta; ma cessa appena queste sono guarite. Inoltre suole talvolta per propria natura riuscir dannosa, e quando è invecchiata diffìcilmente si toglie. Essa talvolta è secca, altre volte provoca espettorazione di pituita. (libro IV, capitolo X, pp. 193)
*Innanzi tutto convien ricordare il [[colera]], il quale può riguardarsi come morbo comune allo stomaco ed agl'intestini. ImperocchèImperocché avvi contemporaneamente scioglimento di ventre e vomito, ed inoltre vi è rigonfiamento per i fiati, e tormini intestinali, la bile esce fuori con impeto dalla parte superiore e dall'inferiore, in sul principio simile all'acqua, indi come se in essa siesi lavata la carne, talvolta è bianca, non di rado nera, o anche di svariato colore. E perciò dalla bile appunto i Greci chiamarono questo morbo ''coléra''. Oltre a' segni de' quali sopra ho discorso, spesso ancora si aggiungono le contrazioni alle gambe o alle braccia, una sete ardente, ed i deliquii: né sorprende se concorrendo questi segni tutti, l'infermo muore in breve tempo. (libro IV, capitolo XVIII, p. 202)
*La [[diarrea]] è malattia ancor più leggiera quando è recente. In essa le dejezioni del ventre sono più liquide e più frequenti del solito, talora accompagnate da tollerabile dolore, ed altre volte con dolore più intenso, il che la rende più grave. Ma la diarrea che dura un giorno solo spesso è in vantaggio della sanità; e talvolta giova anche quella di più lunga durata, quando non vi è febbre, e quando cessa fra sette giorni. (libro IV, capitolo XXVI, pp. 208-209)
[[File:De medicina V00117 00000006.tif|thumb|''De medicina'']]